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Accordo al Fatah e Hamas. Israele: "duro colpo al processo di pace"

di Paolo Cappellifatah hamas

Mercoledì scorso, il presidente palestinese e leader del partito di al Fatah Mahmoud Abbas e il capo di Hamas Khaled Mashaal hanno sugellato, con una stretta di mano, il raggiungimento di un accordo di riconciliazione che ha posto fine a una disputa prolungatasi per quattro anni tra le due maggiori fazioni palestinesi. Era la prima volta che i due uomini si incontravano da quando Hamas cacciò gli agenti di sicurezza fedeli ad Abbas e all’Autorità Nazionale Palestinese e assunse il controllo esclusivo della Striscia di Gaza nel giugno 2007. “Abbiamo definitivamente cancellato una pagina nera della nostra storia comune, quella della divisione interna”, ha detto Abbas nel corso della cerimonia di formalizzazione dell’accordo. Hamas, ha aggiunto, è sempre stato “parte della scena politica palestinese”. Mashaal, reggente della sede di Damasco di Hamas, ha detto che il suo movimento è pronto a pagare qualsiasi prezzo per la riconciliazione: “Combattiamo la nostra battaglia solo contro Israele e non contro le fazioni”. L’accordo tra il movimento islamico Hamas e quello laico Fatah, che ha potuto beneficiare della mediazione dell’Egitto ed è stato annunciato la scorsa settimana, mira alla formazione di un governo provvisorio di unità nazionale e a superare l’attuale status quo secondo cui Hamas gestisce la Striscia di Gaza e Fatah l’Autorità Palestinese in Cisgiordania.

 

Ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele non tratterà con alcun governo che comprende rappresentanti di Hamas e che rifiuta di accettare le condizioni imposte dal cosiddetto Quartetto (Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Stati Uniti). Hamas ha ripetutamente respinto queste condizioni, che prevedono di onorare i precedenti accordi israelo-palestinesi, di rinunciare alla violenza e di accettare il diritto di Israele ad esistere. Mercoledì scorso Netanyahu ha nuovamente respinto l’accordo, definendolo “un colpo tremendo per la pace e una grande vittoria per il terrorismo”. Inoltre, nel corso dei colloqui tenuti a Londra con il suo omologo britannico David Cameron mercoledì scorso, Netanyahu ha aggiunto che “tre giorni fa, il terrorismo aveva subito una tremenda sconfitta a seguito dell’eliminazione di Osama bin Laden. Oggi, invece, la riconciliazione tra Abbas e Hamas, un’organizzazione che ha condannato l’azione americana contro bin Laden, che chiede la distruzione di Israele e fa piovere missili sulle nostre città, sembra per il terrorismo una vera e propria vittoria”.

 

Nel suo discorso di mercoledì, però, Abbas ha detto che i palestinesi hanno rifiutato qualsiasi ingerenza nei propri affari interni e hanno accusato Israele di sfruttare la riconciliazione tra Fatah e Hamas come pretesto per eludere i colloqui di pace: “Israele deve scegliere tra la pace e gli insediamenti”. Mashaal ha gettato benzina sul fuoco aggiungendo che Hamas ha come obiettivo “l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente con piena sovranità sui territori della Striscia di Gaza e sulla Cisgiordania, senza insediamenti ebraici e con il diritto al ritorno dei profughi palestinesi e loro discendenti alle proprie case”. Funzionari di Hamas, in precedenza, avevano suggerito la possibilità di accettare l’esistenza di uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ma solo come un primo passo, e non in cambio della semplice fine del conflitto con Israele, ma di una tregua che durasse diverse generazioni. Mahmoud al Zahar, alto dirigente di Hamas, intervistato mercoledì da Al Jazeera, ha detto a chiare lettere che il suo movimento non riconoscerà mai Israele. Meshaal ha inoltre aggiunto che in passato i palestinesi hanno creato, in più momenti, le condizioni per raggiungere la pace e che “siamo pronti a crearne ancora, ma solo attraverso una strategia araba coerente e uniforme che obblighi Israele a garantire i nostri diritti”.

 

La cerimonia di mercoledì, iniziata con circa un’ora di ritardo per questioni di cerimoniale (Mashaal avrebbe tentato in tutti i modi, senza successo, di sedersi accanto a Abbas) ha visto la presentazione ad Abbas di una copia del contratto di riconciliazione firmato dalle 13 fazioni palestinesi, compresi Hamas e Fatah, da parte del responsabile dell’intelligence egiziana Murad Muafi. Successivamente, Nabil Shaath, uno dei funzionari di Fatah, ha rilasciato un’intervista a Radio Israele affermando che “ad Hamas non dovrebbe essere chiesto di riconoscere Israele” e ha bollato le condizioni del Quartetto come “inique e inattuabili” dal momento che – a suo dire – “non trovano spazio nella formula politica attuale”. Le conseguenze di questa transazione palestinese sono difficili da prevedere perché al momento non si intravedono risposte a molte delle domande principali. Ad ogni modo , il governo tecnico provvisorio non è ancora stato nominato e non è chiaro, dichiarazioni a parte, se intenderà riconoscere Israele. Se ciò non avvenisse, l’Amministrazione Obama avrà l’obbligo di tagliare 600 milioni di dollari di aiuti americani (anche se il Congresso può farlo in ogni caso). Se i prigionieri di Hamas attualmente detenuti in Cisgiordania venissero rilasciati, la stretta collaborazione tra Israele e le forze di sicurezza palestinesi addestrate dagli USA potrebbe terminare bruscamente. Le elezioni, che si terranno entro un anno, potrebbero portare a un ricambio nella leadership palestinese, ma ci si chiede se il voto potrà essere considerato equo e scevro da condizionamenti qualora Hamas non fosse obbligata a rinunciare al controllo repressivo che ha su Gaza.

 

L’amministrazione Obama, che aveva in programma nuove iniziative per la prosecuzione dei negoziati in Medio Oriente, dovrà ora ideare una nuova strategia. Il primo problema da risolvere è impedire un nuovo bagno di sangue tra israeliani e palestinesi dopo due anni di relativa calma. Ciò si traduce nella continuità dell’azione congiunta tra le forze di sicurezza palestinesi in Cisgiordania e quelle israeliane per fermare gli attacchi terroristici, nell’esercitare una pressione costante sull’Egitto e sul nuovo governo palestinese per imporre un cessate il fuoco ad Hamas e nell’invito a Netanyahu ad astenersi da azioni provocatorie da parte israeliana. Nel frattempo la diplomazia degli Stati Uniti dovrebbe puntare a rafforzare l’idea che uno stato palestinese, riconosciuto o meno dalle Nazioni Unite, deve essere il risultato di negoziati tra israeliani e palestinesi. L’esistenza di una leadership palestinese unica e democraticamente eletta rappresenta un prerequisito per la creazione di uno stato, al pari di un governo che rinuncia al terrorismo, ai missili e ad altre armi pesanti ed è disposto a riconoscere pienamente Israele. Se l’accordo palestinese avrà come effetto la creazione di un governo che accetta questi principi allora potremo dire di essere di fronte a una svolta decisiva. Viceversa, in mancanza di grandi cambiamenti nella politica di Hamas, si tratterà di un esercizio che avrà come risultato l’ennesima falsa partenza.

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