Segnala un evento
HomeIn primo pianoOra la mafia investe nelle rinnovabili

Ora la mafia investe nelle rinnovabili

di Paolo Cappelli
 

Le energie rinnovabili sembrano essere più che appetibili per la criminalità organizzata, se ne è occupato anche il Time. Il tutto inizia nel settembre del 2010, quando le forze di polizia italiane effettuano un confisca di beni della mafia per un valore che supera il miliardo e mezzo di euro. Al centro dell’operazione c’è l’imprenditore Vito Nicastri, ritenuto dagli inquirenti vicino al boss latitante trapanese Matteo Messina Denaro, che sembrerebbe essere divenuto l’attuale capo di Cosa Nostra. Nicastri era già finito in manette nel novembre dell’anno precedente per aver percepito, secondo le accuse indebitamente, dei contributi pubblici. Il blitz antimafia era scattato al termine di una complessa indagine che aveva portato alla luce un articolato sistema di truffa ai danni dello Stato finalizzato all’indebita percezione di contributi pubblici per la realizzazione di parchi eolici.

Le energie rinnovabili sono il nuovo affare delle cosche, in Calabria come in Puglia e Sicilia. Proprio in queste regioni, avvicinandosi alla costa dal mare, si osservano panorami lunghi chilometri punteggiati di pale eoliche. Un settore apparentemente redditizio, ma che richiede sicuramente capacità professionali diverse da quelle cui la mafia è abituata e che si concentrano tradizionalmente sulle estorsioni e sulla violenza. Gestire contratti multimilionari come quelli dell’energia amica dell’ambiente richiede di sapere come organizzare contratti, acquisire terreni, ottenere il rilascio di permessi governativi, vincere gli appalti per la costruzione. La maggior domanda generata dai contributi di stato ha fatto comparire l’ombra della speculazione, rendendo il mercato particolarmente permeabile alle infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. Giosuè Marino, ex prefetto di Palermo ha palesato il motivo per il quale la mafia trova così semplice investire: “Non hanno problemi di liquidità, non devono chiedere prestiti, né patteggiare con i sindacati”. Inoltre, non è inusuale che molti degli investimenti criminali nell’energia pulita utilizzino fondi di provenienza meno nobile. Si tenta di arginare il fenomeno verificando tutte le piste più o meno calde, i numeri dell’illegalità ambientale sono tutt’altro che trascurabili, come mostra il Rapporto 2011 sulle ecomafie (a cura dell’Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente, Edizioni Ambiente (Annuari) – 432 pagine, 24euro).

Al primo posto svetta la Campania con 3.849 illeciti (12,5% del totale nazionale), 4.053 persone denunciate, 60 arresti e 1.216 sequestri. Seguono a breve distanza Calabria, Sicilia e Puglia, che insieme raccolgono circa il 45% dei reati ambientali; non manca un 12% di reati commessi nell’area del nord Italia, stante il forte incremento degli illeciti accertati in Lombardia. L’ecomafia fa affari appoggiandosi a un disciplinatissimo esercito di funzionari e imprenditori corrotti grazie al binomio tra grande disponibilità di denaro liquido e società di copertura.

Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio Ambiente e legalità ha ricordato che la situazione è “Paragonabile a quella di un virus”, che si trasmette per vie diverse e con grande facilità. “Un virus che colpisce e avvelena l’ambiente, l’economia e la salute delle persone; [un virus] che ha un sistema genetico in grado di connettersi a livello globale: può nascere da una parte e riprodursi altrove”, ha aggiunto. La criminalità ambientale sembra continuare a diffondersi come una marea, incurante degli ostacoli che le vengono frapposti, tanti sono i rivoli nei quali si dirama. “Nonostante i ripetuti allarmi – continua Fontana –nel campo della prevenzione si è fatto poco o nulla” ed è proprio questo a costituire il catalizzatore del virus eco mafioso, che così “continua a diffondersi e moltiplicarsi approfittando di gravi sottovalutazioni, molte complicità e troppi silenzi”.

Sulla questione è intervenuto anche il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza: “Gli affari dell’ecomafia si espandono e abbracciano posti chiave dell’economia, anche grazie al coinvolgimento di chi riveste ruoli fondamentali nelle amministrazioni ai vari livelli. Avevamo atteso con ansia il decreto col quale il governo deve recepire la Direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente, inserendo finalmente i delitti ambientali nel Codice Penale. Purtroppo, ad oggi, lo schema approvato rappresenta una vera e propria ‘occasione mancata’ ”, ha aggiunto. il nostro Paese, infattiregistra il più alto tasso di fenomeni di ecomafia, atti che andrebbero considerati, a rigor di logica, reati penali (forse anche con l’aggravante del tentato omicidio preterintenzionale a danno delle popolazioni (il delitto è preterintenzionale quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto da chi lo commette, ad esempio quando si spinge qualcuno per allontanarlo e quello cade, sbatte la testa e muore). Il recepimento delle direttive 2008/99 e 2009/123 si è tradotto nella stesura e all’adozione di un codice ambientale fatto prevalentemente di contravvenzioni, mentre la ratio alla base della norma europea è l’approvazione di una legge volta a disciplinare penalmente i reati ambientaliquali i delitti ambientali in forma organizzata, l’inquinamento ambientale, la creazione di un pericolo per l’incolumità pubblica, il disastro ambientale, l’alterazione del patrimonio naturale (inteso come flora e fauna), il traffico illecito di rifiuti, la frode ambientale e altri.

Secondo il rapporto di Legambiente, gli illeciti accertati nel 2010 sono stati 30.824, con un incremento del 7,8% rispetto al 2009. I reati relativi al ciclo illegale di rifiuti (dalle discariche ai traffici illeciti) e a quello del cemento (dalle cave all’abusivismo edilizio) rappresentano da soli il 41% del totale. Seguono quelli contro la fauna, (19%, con un +13,2% rispetto al 2009 e 3 miliardi di euro per un giro d’affari che sempre più globalizzato), gli incendidolosi (16%), quelli nel settore agroalimentare (15%), mentre tutti le altre violazioni, nel loro complesso, non superano complessivamente il 6% degli illeciti accertati.

Infine Il 2010 è stato un anno record per le inchieste (29) contro i professionisti del traffico illecito di veleni, unico delitto ambientale. La gestione illegale dei rifiuti speciali è scesa o da 7 a 3,3 miliardi: cifra che si ottiene dal censimento ufficiale dell’Ispra che confronta i quantitativi prodotti e quelli gestiti. Se nel 2009 i rifiuti spariti nel nulla erano 31 milioni di tonnellate, nel 2010 sono stati “solo” 14,5 milioni. È come se si mettessero in fila 82.181 TIR carichi di rifiuti, uno dietro l’altro, per un percorso lungo 1.117 chilometri, più o meno come da Reggio Calabria a Milano, con buona pace degli ingorghi sulle autostrade del meridione.

SCRIVI UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome

- Advertisment -

più popolari