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Dal dualismo kantiano alla filosofia del neutrino

di Mariano Colla

 

Nel corso del recente festival della filosofia di Modena, il termine greco “phisis” (natura) è stato proposto nella sua accezione più completa, ossia come principio dell’eterno costituirsi degli enti, delle cose. Già nell’antichità si riteneva che ciò che si manifestava nelle “cose” non era necessariamente il visibile. Gli enti che si offrono allo sguardo e, quindi, alla luce, rappresentano la natura visibile, ma non la natura nella sua struttura originaria, che si nasconde all’occhio umano e le cui origini vanno ricercate negli ignoti principi costitutivi, nell’ “archè”, come la chiamavano i greci. La meraviglia della filosofia, già citata da Aristotele, non sta nel manifestarsi degli enti ma nella scoperta del loro “archè”, della loro origine primaria.

Ritorniamo ora all’esperimento del CERN di Ginevra. Dopo la grande notizia si è rapidamente attenuata l’eccitazione mediatica sulla sperimentazione scientifica del CERN, dando spazio a qualche riflessione aggiuntiva sull’evento fisico di portata storica. Il mondo scientifico possiede tutti gli strumenti per stimolare, nell’uomo comune, un’ampia gamma di sensazioni, dalla paura all’incredulità, dallo stupore alla meraviglia, dall’impotenza all’orgoglio, sensazioni che agiscono nelle insondate profondità dell’individuo, ogni qualvolta esso viene condotto sul labile confine tra conoscenza e ignoto.

Sono ormai passati alcuni giorni dalla notizia del secolo, ossia che i neutrini corrono, presumibilmente, più rapidamente della luce. Presumibilmente, perché la comunità scientifica si è riservata ancora un po’ di tempo per confermare gli esiti dell’eccezionale esperimento.

La stampa, e i media in generale, hanno trovato pane per i loro denti, attribuendo all’evento un carattere di eccezionalità che va oltre il semplice risultato scientifico e delinea nuovi orizzonti, dove il perenne domandare dell’uomo sfiora la metafisica, oltre a richiamare in causa la filosofia.

Nella gerarchia delle nostre percezioni, la luce ha goduto, da sempre, di un fascino particolare e la consapevolezza che molte delle verità dell’universo e del mondo subatomico ci fossero comunicate con la velocità insuperabile che le era propria, ha contribuito ad arricchirne la seduzione.

Sino a pochi giorni fa la luce rappresentava la barriera invalicabile e il parametro base nella formulazione delle teorie che hanno regolato per più di un secolo le certezze del mondo scientifico, ora anch’essa sembra abdicare dinanzi alla irriverente maggior rapidità con cui piccole particelle subatomiche, i neutrini, hanno percorso, paradossalmente immerse nei bui meandri della terra, i 750 chilometri che separano Ginevra dal Gran Sasso.

Così come la tradizionale concezione del rapporto spazio-tempo ha dovuto includere geometrie non euclidee, quali quelle di Riemann, e le contrazioni del tempo di Einstein, per dare struttura ad eccezioni di non linearità nel percorso della luce nello spazio, così ora la luce sembra cedere il suo scettro nella velocità.

Nella percezione dell’uomo comune, probabilmente, non cambierà nulla, la vita scorrerà come prima, applicazioni pratiche riconoscibili nell’impudente primato dei neutrini è difficile vederne, pur tuttavia la scoperta rimette in gioco la fragilità del nostro conoscere e del nostro sapere e riapre il tema dell’ignoto, della ricerca di senso e della verità.

Se quanto scoperto al CERN verrà confermato, paradossalmente, si aprirà una dimensione in cui, teoricamente, alcuni eventi precederanno la nostra percezione e visibilità, nonostante Odifreddi scriva: “la relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata. Ciò che la relatività prevede è soltanto che ci debba essere una velocità limite che non può essere superata.”

Pur in attesa di conferme definitive, è altresì vero che, ogniqualvolta le certezze scientifiche vengono messe in discussione, emergono le ataviche paure dell’uomo, riaffiorano le consapevolezze dei limiti, ricompaiono le domande di sempre sul perché, e allora ecco la ricerca della parola confortante della filosofia o, per i credenti, della fede.

Diceva Kant che la ragione, quando non è correlata con la sensibilità e le sensazioni, produce la metafisica. Produce le domande su Dio, sull’immortalità, sulla genesi dell’universo. Genera pensieri che non sono conoscenze perché sono pensieri che non nascono da esperienze percettive. Sono pensieri astratti, quindi, su cui non si fa scienza, anche se vi è una spinta insuperabile a passare da fisica a metafisica, dovuta al desiderio dell’essere umano di abbandonare i propri limiti corporali per essere solo oggetto pensante.

Il neutrino viaggia al confine della nostra percettività. Per rilevarlo è necessario inventarsi una complessa struttura di misurazione, quasi se la particella subatomica, di massa minima e interazione nulla con la materia circostante , non volesse svelarsi, rammentandoci, tuttavia, che la realtà del mondo e dell’universo va oltre il sensibile, oltre il percepibile da parte dell’essere umano, oltre il fattuale.

E non si tratta qui di dare spazio all’interpretazione del fatto o dell’evento come a un possibile superamento della sua oggettività.

Il postmodernismo, che ha impostato il proprio pensiero filosofico sull’interpretazione della realtà, più che sulla sua oggettività, forse, non privilegerebbe il terreno scientifico per dare sostanza al principio: far diventare favola il mondo vero.

Qui mi sembra che sia ancora applicabile la geniale intuizione kantiana dove il filosofo tedesco evidenzia la distinzione fenomeno-noumeno, distinzione che mi permetto di collegare alle considerazioni iniziali sull’archè. L’importanza di tale intuizione va posta in relazione al percorso della filosofia moderna e sul come Kant si correla con essa.

Cartesio, ha ricercato nel pensiero umano il criterio dell’evidenza, quale principio su cui costruire la filosofia, per poi addivenire a una prospettiva secondo la quale il soggetto conosce idee e non oggetti, in tal modo causando una divaricazione tra realtà e pensiero, frattura che la filosofia ha faticato non poco a superare nei secoli successivi.

Un dualismo che farà parte dell’intero pensiero moderno e che troverà in Kant un acceso sostenitore. Nel criticismo kantiano, infatti, l’oggetto della conoscenza non sono le idee, bensì ciò che proviene dal mondo sensoriale, adeguatamente elaborato dalla sensibilità. Da tale considerazione deriva che se noi conosciamo gli oggetti secondo i modi della nostra conoscenza, questo implica che noi non conosciamo gli oggetti nella loro realtà, ma come ci appaiono, in sostanza come essi si manifestano nell’incontro con le nostre strutture sensibili. La realtà in sé rimane consegnata all’inconoscibilità ed essa è chiamata da Kant noumeno (pensabile): essa è ciò che non si può conoscere ma che tuttavia è necessario pensare come concetto-limite del nostro conoscere.

Ebbene, la recente scoperta sul neutrino non esula dalle considerazioni filosofiche del pensatore tedesco.

Certamente i nostri sensi hanno a disposizione una tecnologia e una strumentazione che aumentano a dismisura la nostra capacità di rilevare e di percepire, ma ogni nostra conoscenza, per non essere astratta o puro pensiero, non potrà che articolarsi su modi conoscitivi e l’insondabile, pur nella sua concretezza, appartiene all’ignoto.

Come dimostra il neutrino, la natura si svela con sempre maggiore difficoltà, quasi a rivelare ed evidenziare i limiti del mondo sensibile. Rimane il pensiero e chissà che un giorno, superando il dualismo kantiano, qualcuno non ci dica che è lo stesso pensiero l’organo sensibile per eccellenza, aprendo un emozionante scenario in cui realtà e pensiero coincideranno.

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