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Roger Daltrey live…ed è grande musica!

Testo e foto di Vincenzo Nicolello
TORINO – Roger Daltrey è quello che in gergo viene definito un monumento della musica. Lui leader degli Who, classe ’44 continua ad essere sulla scena, nonostante le prossime settanta candeline.
Il suo nuovo tour, è una vera e propria chicca, perché mai in passato lui, o i suoi colleghi di band, erano venuti in Italia per proporre integralmente il “cult” Tommy  (Il fortunato album, diventato anche musical cinematografico e teatrale, che compie 40 anni e merita una giusta celebrazione). Se a questo aggiungiamo ancora una bella selezione dei brani che hanno fatto la storia del rock, del blues, del progressive, allora possiamo comprendere come un tour del genere non possa che avere un grande successo.
Lo scorso 12 marzo, al teatro Colosseo di Torino, su organizzazione della Barley’s Art, c’è stato il debutto italiano di questa tournee che toccherà anche Trieste, Milano, Firenze e Roma . In una platea festante di 50enni (anche se non mancava una ricca pattuglia di ragazzi che ai tempi di Tommy non erano nemmeno nati) che ben presto hanno rinunciato alla comoda poltrona per catapultarsi sotto il palco per far sentire il calore al cantante.
Pronti, via. Alle 21 in punto si accendono le luci e parte il concerto. Daltrey propone senza soluzione di continuità tutti i brani di Tommy. Un vero e proprio medley durato oltre un’ora e mezza. Lui canta, balla, suona i tamburelli e lancia il microfono in aria, così come se il tempo non fosse mai passato. La sua voce non è molto potente, ma per fortuna tiene (e lo farà quasi fino ai bis, quando purtroppo ci sarà qualche piccolo cedimento). Il pubblico è in visibilio e sottolinea con i cori e applausi tutti i pezzi, ed in particolare il refrain  “See me, feel me, touch me, heal me” . Quando finisce questa lunga cavalcata, tutti pensano ad un intervallo ed invece nulla, Roger prosegue, ben assecondato dalla band, che annovera tra gli altri il fratello di Pete Townshend, Simon. Così dopo 24 pezzi di Tommy, ne arrivano alti 14, in un crescendo felliniano. Si parte con I can see for miles, per proseguire con Kids are al right, Behind blue eyes e Pictures of Lily. Ma l’esplosione arriva quando partono le note di My generation, a cui fanno seguito quelle di Young man blues. Proprio quest’ultimo brano diventa il “canto del cigno” di Daltrey, che dà fondo a tutte le potenzialità vocali. Poco male, perché mancano soltanto due pezzi. In Baba O’Riley le difficoltà sono evidenti, ma la ballata finale Without your love, manda tutti a casa felici, senza ulteriori danni alle corde vocali.
Morale della favola? Sono stati 150 minuti di grande musica. Un tuffo nel passato che in tanti agognavano ed anno vissuto come un sogno ad occhi aperti. Ed il merito è tutto per questo 70 enne, che ha ancora tanto tanto da dire.
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