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La scienza e…Alberoni

di Mario Masi
A scuola era un allievo modello, perfezionista. All’università si iscrive a Medicina per diventare psichiatra come Sigmund Freud o Karl Jaspers, ma la sua vera vocazione era la psicologia. Attratto dallo studio sui consumi, pubblica il suo primo libro europeo di sociologia dei consumi, al quale sono seguiti numerosi saggi di successo. Sociologo, giornalista e docente universitario, è stato membro del Consiglio di amministrazione della Rai. Attualmente si occupa in veste di Presidente del Centro sperimentale di cinematografia di Roma ed editorialista del Corriere della Sera.
Il livello della comunicazione scientifica in Italia può dirsi soddisfacente?
Nei settori di mia competenza – sociologia e psicologia sociale – e riferendoci alla comunicazione fra studiosi direi di sì. Teniamo però presente che la nostra comunità scientifica è molto dipendente da quella anglosassone e in settori dove è coinvolto l’uomo e la società – a differenza di ciò che avviene in campi come la matematica, la fisica o la chimica e in qualche misura anche l’economia – giocano molto le tradizioni culturali, i modi di pensare che gli scienziati prendono inconsciamente dal loro ambiente. Di conseguenza le idee e tesi estranee o contrarie al tipo di vedute o di paradigmi dominanti in questa comunità non vengono recepite, non circolano.
Che consigli darebbe?
Per il problema delle concezioni devianti rispetto alla cultura scientifica anglosassone dominante non ci sono soluzioni istituzionali.
C’è qualche settore della ricerca che le interessa in particolare?
Io mi occupo delle passioni individuali e collettive, un settore estremamente specializzato che comprende fenomeni apparentemente diversissimi come i movimenti collettivi rivoluzionari, la formazione di partiti, di sette religiose ma anche la passione amorosa che unisce due sole persone, l’innamoramento.
Cosa si può fare per sostenere la ricerca in Italia?
Favorire un più stretto rapporto fra ricerca e imprese, aiutando con coraggio le aziende italiane che sono spesso di medie dimensioni e non riescono a competere con i colossi stranieri che fanno ricerca nei luoghi in cui hanno i centri di comando, il quartier generale. La ricerca serve all’impresa e l’impresa alla ricerca.
Qual è la sua opinione in merito al dibattito su tecnologia, scienza e limiti morali e religiosi?
La scienza e la tecnologia, creando nuove possibilità di azione hanno sempre fatto nascere problemi etici. Pensiamo nel campo bellico all’uso del gas asfissiante e il ricorso alla bomba atomica. La scoperta del Dna pone drammatici interrogativi sulla liceità di interventi di ingegneria genetica che vadano al di la della cura delle malattie ereditarie.
Come mai i bambini non vogliono più fare gli scienziati?
Perché i personaggi più ammirati del nostro tempo non sono Marconi, Einstein o Fermi, ma i calciatori, i divi del cinema, i ricchi finanzieri. Nell’immaginario collettivo e della rappresentazione televisiva lo scienziato viene rappresentato povero e con una vita monotona. Immagine falsa e che andrebbe corretta.
Qual era il suo rapporto con le materia scientifiche a scuola?
Riuscivo bene in tutte le materie anche se ho avuto una vocazione precocissima per lo studio dell’animo umano e delle sue passioni. Ero un buon matematico intuitivo, un teorico nato, inoltre disegnavo bene e inventavo favole e racconti. Potevo scegliere ed ho seguito la mia vocazione principale.
C’è una ricerca che le piacerebbe fosse eseguita, magari con successo?
Sì, uno studio empirico comparativo dell’innamoramento in Inghilterra, Usa, Russia, India, Cina e Giappone, ma sotto la mia assoluta direzione e facendo le domande che dico io e nel modo che dico io.

in collaborazione con l'Almanacco della Scienza del CNR

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