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Le apparenti contraddizioni americane

di Mariano Colla
Gli Stati Uniti non smettono di stupire e, secondo paradigmi etico-economici apparentemente opposti, riaffermano il proprio ruolo guida sulla ribalta internazionale.
Due recenti articoli di Federico Rampini su “La Repubblica”, rispettivamente dal titolo “La terza vita della Silicon Valley” e “Il complotto del petrolio per negare l’allarme clima”, ci riconsegnano una America dal doppio volto, dove innovazione e cinismo convivono in un paese che mantiene ai massimi livelli la conflittualità ideologica interna e i cui effetti possono influenzare pesantemente la fragile struttura di un pianeta che si dibatte tra problemi economici, finanziari, industriali, occupazionali e ambientali.
Nei due articoli troviamo, dapprima, il volto della nuova frontiera americana, rappresentato dalla creatività, dalla innovazione tecnologica, dai giovani ingegneri e informatici che lavorano al confine del sapere per inventare e produrre nuovi gadget elettronici, in grado di trasformare la nostra vita ancor più di quanto è accaduto, in quest’ultimo ventennio, con l’avvento dei PC portatili, dei cellulari e di internet.
Nella celebre Silicon Valley, terra dei Steve Jobs e Bill Gates, della Apple, della Microsoft, di Google e dei social network, pare sia in corso un revival di energia creativa, di assunzioni e investimenti.
Un mondo virtuale in cui la fantasia può spaziare senza limiti ai confini dell’intelligenza artificiale ma che, tuttavia, non è privo di quelle forme di speculazione economica, le così dette bolle della new economy, che hanno caratterizzato, ben prima di del 2008, crisi e derive finanziarie.
Ma poi, Rampini, ci rappresenta il volto meno sano dell’America, il paese del capitalismo più bieco, del profitto fine a se stesso, dell’invadenza e dell’imperialismo, della corruzione e del lobbismo più esasperato.
E’ l’America dei grandi petrolieri, della Exxon Mobil, in particolare, di una società che, come dice Rampini, ha entrate annue che sfiorano i 500 miliardi di dollari, superiori alla maggior parte degli Stati-nazione del pianeta, e che se ne infischia di tutti gli accordi internazionali sul clima e dei gravi pericoli che sta correndo il nostro pianeta, anzi foraggia scienziati, politici, organi di stampa, media, al fine di disinformare l’opinione pubblica sugli effetti dei gas serra e di impedire accordi a tutela dell’ambiente.
Su questo tema sta uscendo negli USA un libro denuncia dal titolo “Private Empire“ di Steve Coll, firma del giornalismo investigativo e due volte premio Pulitzer.
Insomma gli Stati Uniti si ripropongono ancora una volta come luogo simbolo delle contraddizione dell’età moderna.
In tutto ciò quale è il ruolo della politica? Ha ancora senso parlare di politica quando temi sensibili per lo sviluppo dell’umanità, quali l’innovazione tecnologica e lo sfruttamento delle risorse naturali, sono nelle mani di strutture private fortemente condizionate dal profitto che esercitano, a modo loro, una forma di governo sugli usi e costumi dei cittadini americani e dell’intero pianeta?
Sorgono spontanei dei dubbi sul ruolo della politica istituzionale, la cui funzione guida sembra smarrirsi nei rivoli di una inefficienza burocratica e, contestualmente, asservirsi al potere tecnologico, economico e finanziario gestito da strutture multinazionali e sovranazionali.
Vi è ragione di credere che il potere sia migrato dalle mani dei politici, eponimi di una concezione ancora statuaria del pianeta, a dei nuovi soggetti che operano su scala sovranazionale e determinano le sorti del mondo. Soggetti spesso definiti “tecnici”, se non altro per sottolineare la necessità che essi incarnino le opportune competenze, richieste dalla complessità del mondo moderno, per tracciare strategie e prendere decisioni.
La competenza e la specializzazione quali nuove conoscenze per gestire le contraddizioni del mondo? Una nuova forma di potere, quindi, non più basata sui vecchi meccanismi della democrazia rappresentativa, ma sulla forza di indicatori economici che regolano consumi e aspettative della società sovranazionale.
Un potere che si regge su un sapere differenziato fatto di competenze e di managerialità, il cui obiettivo, non più mediato da una politica finalizzata a salvaguardare principi di uguaglianza, solidarietà, salute, qualità della vita, è definito da una pura razionalità di scopo.
La vetero politica alla sbarra, dunque.
Insorge la nuova politica delle competenze e non saprei dire se, in questo nuovo paradigma, vi è ancora posto per la politica di Hanna Arendt, ossia la politica vista come pratica di relazioni che hanno un carattere pubblico.
Quindi la soluzione dei problemi viene rimandata alla catena delle competenze. L’aumento della complessità viene gestito con la proliferazione delle professionalità specifiche.
I sociologi indagano per dare concretezza a nuovi scenari, ma la complessità del sistema non sempre lo consente.
Luhmann, sociologo tedesco che nei suoi studi si appoggia alla teoria cibernetica dei sistemi, sostiene che il sistema società si basa su una complessa rete di flussi e relazioni identificabili all’interno di un modello che si esplicita nella coppia sistema – ambiente .
Il modello tende progressivamente ad aumentare la propria complessità interna, sicché la sua governabilità viene assicurata attraverso una differenziazione funzionale che si sostituisce ai più tradizionali meccanismi di concentrazione di compiti, attività, responsabilità, non ultimo quello politico.
Nei modelli centralistici originali la sovranità non comprendeva la divisione dei poteri e la società europea, fortemente statuale, tuttora stenta ad aderire alla differenziazione funzionale.
Si sta quindi imponendo una società in cui si afferma la differenziazione dei poteri e subentra il concetto di razionalità sistemico-funzionale.
Nei nuovi meccanismi che regolano il potere, la politica istituzionale tende ad assumere un ruolo ancillare. Il potere non viene più colto come apparato, ma come un codice simbolico che pervade l’intera rete delle relazioni sociali.
In una nuova politica guidata da tecnici, o dai “ nuovi politici”, se preferiamo, e se ci rivolgiamo alle contraddizioni iniziali di questo articolo, riemergono tuttavia vecchi principi del Machiavelli.
Come non ritrovare infatti alle base della modernità politica il suo pensiero, quando afferma che il buon politico non si attiene a un’etica irreprensibile ma deve avere capacità, determinazione, saper coglier l’occasione. La politica non ha valenza etica, bensì è violenza, ma sarebbe stupida se non fosse funzionale a qualche cosa. Il principe agisce per calcolo e quindi non sono ammessi atti malevoli gratuiti.
In tale prospettiva le contraddizione di un sistema sovranazionale potrebbero avere giustificazione, ma resta sempre il giudizio finale di chi le subisce.

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