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Un giorno di luglio con Marta Sui Tubi (l'America può attendere)

di Francesco Corbsiero
“Oh, senti questa, loro son bravissimi. Ascolta, eh”
“Gian, ma che è ‘sta roba? Non si capisce niente!”
E invece erano le mie orecchie di ragazzo che non potevano ancora capire. Troppo abituate a tutta quella musica ‘normale’, a tutte le canzonette che s’ascoltano a iosa in provincia, non riuscivano a distinguere il significato della canzone che il mio storico compagno dei liceo aveva messo nell’autoradio, in una di quelle lunghissime passeggiate invernali in macchina sul litorale che si fanno una volta finito lo studio, nel tardo pomeriggio, tra una chiacchera e miliardi di sigarette. Invece lui aveva capito tutto, prima di me e fin troppo bene.
Succedeva due anni fa. Dopo la fatidica maturità, io mi son spostato a Roma e Gianluigi nel frattempo s’è trasferito a Milano, studia Economia e continua ad ascoltare i Marta Sui Tubi. E’ di loro che parliamo quest’oggi, perché la canzone nell’autoradio era loro e il sottoscritto, dopo tanta curiosità e svariate tappe nella Capitale del gruppo siciliano perse per colpa di

foto: Stefanino Benni

accompagnatori che danno buca, sbadataggine o coincidenze sfortunate, finalmente si  è deciso ad andare ad ascoltarli al Supersanto’s, l’area concerti di quel bel momento di ricreazione serale urbana che si chiama San Lorenzo Estate, per la prima data del loro ‘Cromatica Tour 2012’.
Curiosità. Perché una volta superata l’iniziale diffidenza o confusione, una volta capito che i Marta Sui Tubi fanno musica che non ha termine di paragone in Italia e all’estero ( inutile quindi cercare appigli che ne descrivano lo stile ), dopo il passaggio di quel momento in cui si rimane del tutto spiazzati dal folk schizofrenico e dai loro testi a metà tra la pièce teatrale e la pagina di diario con riflessioni semi-serie, quello che resta è proprio la curiosità di vederli dal vivo e verificare. Verificare se son proprio così, questi siciliani veraci e schietti quanto una rossissima arancia della loro terra che appoggiano la loro musica su un tappeto di ironica allegria, pungenti giochi di parole, tagliente sarcasmo e sfida dei luoghi comuni correnti. Andiamo.
L’area concerti è gremita, il bar pieno di gente che per ammazzare l’attesa ordina birra (me compreso) e il bicchiere non è ancora a metà quando compaiono sul palco, accompagnati da un lungo applauso. La scaletta è varia, prende brani da tutti e 4 i dischi e non delude nessuno, dai fans storici fino a quelli più recentemente avvicinatisi alle sorti della band. In sintesi (per quanto possa essere sintetica la cronaca di un live), il pubblico si ritrova con ‘Al guinzaglio’ (denuncia feroce dello stato di salute dello Stivale), ‘Licantropo’, ‘La spesa’ e ‘La canzone del labirinto’ tra capo e collo ad aprire il concerto. E si prosegue con la storia dolceamara di ‘Una donna e la sua semplicità’, il duetto tra Gulino e Pipitone in ‘Camerieri’ (dedicata in apertura ‘a tutti coloro che svolgono un lavoro stressante, con l’aggravante di avere un padrone stronzo’), la conta di tutte e birre e le bottiglie che berrai in ‘Di Vino’, ‘Dio come sta?’ (‘La paura degli esseri umani è paura di essere umani’, tenetelo a mente voi maledetti misantropi sociopatici che ci rovinate le giornate), ‘L’unica cosa’, a ricordare che ‘tupuoidiventaretuttoquellochetipare’ e che ‘l’unica cosa che devi fare E’ MASSACRARE LE TUE PAURE’ e la partecipazione della platea s’impenna, smorzata poi
foto: Stefanino Benni

dall’apparente dolcezza stesa su arpeggi di chitarra di un mondo che non è altro che una scatola un po’ sferica narrato in ‘L’abbandono’. E poi ‘Cinestetica’ (la canzone dell’autoradio in quel famoso pomeriggio sopra citato, quasi un lunghissimo scioglilingua) e immancabile, la canzone col nome di donna ( ogni gruppo che si rispetti, dai Subsonica ai Negrita, ne ha scritta una ): per loro è ‘Cristiana’. Il piatto forte però arriva ora: ‘Cromatica’, canzone sui colori e sulla loro mescolanza e la loro voglia di fare l’amore, che lasciò incantato Lucio Dalla tanto da voler collaborare con loro pochi mesi prima della sua scomparsa. ‘Il giorno del mio compleanno’ apre una lunga digressione recitativa su un’Italia da risalire in furgone per scoprire che, arrivati in Lombardia, il verde da paesaggistico diventa politico (‘Oh ragazzi, ma è davvero una figata che sia scomparsa la Lega Nord’, seguono applausi scroscianti con realtivi complici ammiccamenti degli astanti). Si conclude con ‘Muratury’ (‘che strane le donne: preferiscono ammogliarsi con rappresentanti delle forze dell’ordine e non con i muratori’) e la bellissima ‘Coincidenze’. Scompaiono per qualche minuto e poi ritornano, ché non si può andar via senza raccontare dei propri e altrui ‘Vecchi difetti’, climax ascendente massimo del concerto. E con un ‘Se potessimo portarvi tutti quanti in furgone con noi, lo faremmo’ i Marta Sui Tubi si congedano. Luci spente e giù il sipario.
La sera del 4 luglio per dare un senso alla vostra estate romana potevate scegliere ben due eventi: Mannarino al Foro Italico e i Marta Sui Tubi al Supersanto’s. Ergo, la scelta c’era eccome. Noi li abbiamo seguiti entrambi, ma il vostro inviato era presente solo al secondo. Perché? Perché i Marta Sui Tubi sono senza alcun dubbio una delle realtà più interessanti della scena indipendente italiana e di premi che attestano questo status ne hanno fatto ampiamente incetta per tutta la loro (ancora) breve ma intensa carriera. Serve altro? Ah sì, dimenticavamo di dire che su di loro, critica e pubblico vanno a braccetto: promossi. Perché coniugano spettacolari tecnicismi (maneggiano gli strumenti con una padronanza che fa impallidire chi ha passato una vita on the stage) a quello che ci potrebbe essere scritto su una pagina di diario di chiunque su una pagina di diario non ci scrive solo dei cazzi propri o di cosa ha mangiato a pranzo e alza la testa e si guarda intorno, alternando momenti seri a pause di gioco, il discorso impegnato al divertissement  più ludico e a briglie sciolte, momenti delicati e sussurrati a urla a piena voce. E poi mi son anche portato a casa ‘Il rap spiegato ai bianchi’ di David Foster Wallace. Che non c’entra un cavolo con il discorso, eh, però è per dire: cosa chiedi di più da una serata?

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