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Le metafore dell’universo

di Mariano Colla
In un’estate bollente, quasi storica per le alte temperature a cui ci sottopone, un evento remoto, molto remoto, mi ha destato qualche piccolo brivido.
Alcuni giorni fa ‘La Repubblica’ riportava un interessante articolo sull’ultimo urlo di una stella ingoiata da un gigantesco buco nero, vortice cosmico generatore di forze gravitazionali immense in grado di assorbire e far precipitare al proprio interno qualsiasi corpo celeste osi appena avvicinarsi all’oscuro mostro spaziale.
Le leggi della natura, spesso violente e spietate, sembrano discostarsi dalla loro apparente armonia per dare origine a fenomeni inquietanti, dinanzi ai quali la mente umana si ferma, incapace di dare una risposta razionale, una risposta scientifica, quasi se anch’essa fosse fagocitata in un oblio infinito, in una dimensione senza fine e senza speranza.
Già il solo fatto che la stella imprudente sia stata ingoiata dal buco nero nella costellazione del Dragone, lontana 3,5 miliardi di anni luce da noi, e che, tramite l’emissione di raggi X, analizzati dai potenti telescopi, siamo stati in grado di capirne la tragica fine, evidenzia ulteriormente la dimensione inquietante che circonda questi fenomeni, non tanto e non solo per la valenza scientifica, quanto per l’impatto emotivo che essi provocano.
Minacciose e in parte sconosciute appaiono ai nostri occhi le imponenti forze gravitazionali che si manifestano all’interno di un buco nero, tali da non consentire nemmeno alla luce di sfuggire.
Nel cuore di un buco nero tutte le leggi della fisica sembrano venire meno.
La gravità è illimitata, la curvatura dello spazio-tempo è infinita, il tempo si ferma. Un immenso serbatoio in cui la vita dell’universo si spegne.
E sull’orlo del buco nero, come il margine di un’ombra, sembra delinearsi il confine di un destino incombente.
Di un destino che comunque incombe su di noi, pronto a inghiottirci in una voragine senza fondo, in un nulla senza dimensioni.
Lo spazio, nella sua incommensurabile vastità, cela molti segreti, ma il mistero dei buchi neri, metafora di un pozzo senza fondo, ci pone, più di altre manifestazioni cosmiche, dinanzi all’angoscia che determina in ciascuno di noi il senso del nulla.
Non è del tutto azzardato pensare che l’universo ci proponga situazioni ed eventi che in qualche modo e nella giusta dimensione non trovino similitudini con l’esistenza umana, in un parallelismo che non può non indurre a pensare a uno schema unico che tutto raccoglie.
Il buco nero evoca il senso del nulla che, ancor più dell’infinito, parametro quest’ultimo che più comunemente siamo soliti attribuire a un universo dallo spazio e dal tempo senza limiti, ci sgomenta, proiettandoci in una dimensione che non ci appartiene e che sfugge alla nostra razionalità, turbata dalla propria impotenza nel descrivere, del nulla, una dimensione percepibile.
Quindi non tanto il vuoto che può essere considerato come il nulla privato delle sue prerogative più negative ma, appunto, il nulla.
E di fronte ad esso la nostra mente, preda di meccanismi logici, si appiglia a concezioni metafisiche che tuttavia non risolvono l’enigma, rischiando, così, di impazzire.
La stella, ignara, si avvicina al buco nero e, lentamente ma inesorabilmente, ne viene inghiottita: è un’immagine cosmicamente tragica che mi ha suscitato un confronto, accostamento forse un po’ ardito, con l’uomo e di come la sua vita possa avvicinarsi a dei buchi neri esistenziali che inesorabilmente lo privano di quella energia necessaria a riconoscersi nell’essere e lo rendono preda di un nulla che lo pervade e lo ingoia.
Nella nostra ricerca della verità, in un senso tuttora iscrivibile al significato dei due termini greci aletheia e episteme, dove il primo significa “non nascosto” e il secondo “dominio di ciò che sta al di sopra”, il nulla si pone come un ostacolo insormontabile nel nostro tentativo di esercitare il controllo su ciò che ha potere nell’universo.
Ma a questo nulla, parola che desta in ciascuno di noi ataviche paure e dinanzi alla quale percepiamo tutta la nostra impotenza, possiamo dare un significato, ha tale parola una sua ontologia?
La filosofia ha molto lavorato sul concetto di “nulla”, cercando, in qualche modo, di contestualizzarlo.
Da un lato delineandone la contraddizione in termini, come evidenziato dalle parole di Sergio Givone: “pensare il nulla è precisamente ciò che, secondo la tradizione metafisica, non va fatto. Non va fatto perché non è possibile farlo.
Pensare il nulla è cadere in contraddizione, è pensare qualche cosa, quindi attribuire l’essere a qualche cosa che non è.
Nella misura in cui io dico che il nulla non è o che il non essere non è, già entro in contraddizione perché attribuisco qualche cosa, sia pure il non essere, a qualche cosa che assolutamente non è ”.
Oppure nel nulla ideologico di Bonaventura che scrive: “io voglio guardare furente nel nulla e affratellarmi con lui, in modo da non avvertire più residui umani quando infine mi ghermirà”, dove proprio nel termine “ghermirà” sembra di poter cogliere la metafora di un orizzonte oscuro e minaccioso pronto a fagocitarci.
Parmenide diceva: “la via del nulla è impercorribile”.
Evocando il trascendente in una forma alquanto suggestiva, qualcuno ha scritto che il nulla è l’ombra di Dio.
Tante sono le forme in cui l’uomo ha cercato di definire il nulla, determinando contraddizioni, antinomie, evocazioni suggestive, senza nessun approdo certo.
L’immagine della stella, che attratta dall’immane forza gravitazionale del buco nero si dissolve in minuscole parti via via assorbite dal vortice cosmico, mi richiama alla mente la perenne lotta condotta dall’uomo contro il disincanto del mondo, tra il senso della completezza dell’essere e la sua implosione.
Implosione come frantumazione dei valori, come nulla ideologico e di senso, che si svolge nel buco nero della nostra psiche e dove ritrovo le raggelanti parole di Pascal: “inabissato nell’infinità immensa degli spazi che ignoro e che mi ignorano, io mi spavento”.
Un buco nero non tanto correlato al timore dell’ignoto, quanto alle domande inevase sul senso, una voragine esistenziale intorno a cui ruotano razionalità, consapevolezze, aspirazioni, desideri, emozioni racchiuse nel grande flusso della storia, in una lotta continua per non cedere il passo a un nichilismo passivo, lotta che nell’angoscia, sosteneva Heidegger, l’uomo poteva trovare una via esistenziale all’esperienza del nulla.
E anche qui un ultimo grido viene emesso per chi è disposto a coglierlo, con la differenza che rispetto a una stella disintegrata e senza speranza c’è sempre un ultimo approdo disponibile, identificabile nella fede per alcuni, nell’amore per altri, in un senso interiore della vita per altri ancora o, infine, nella sublimazione ultima della fisicità dell’universo nel “nulla”, per una nuova dimensione metafisica che ponga l’umanità in uno stato d’ascolto per percepire tutta la profondità dell’essere.

1 COMMENTO

  1. Penso che l’essere umano non potrà mai comprendere a fondo ciò che accade nell’universo. Non lo potrà in quanto gli unici mezzi che abbiamo a disposizione sono i nostri sensi. Tutti gli strumenti tecnologici finora costruiti altro non sono che amplificazioni dei nostri 5 sensi. L’essere umano non è adatto per comprendere lo spazio, così come la sardina non lo è per la giungla. Quindi rassegniamoci e puntiamo più sul fatto di comprendere noi stessi e la natura terrena che ci circonda, che tanta strada abbiamo ancora da fare.

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