Segnala un evento
HomeIn primo pianoLe lapidarie argomentazioni su Sakineh

Le lapidarie argomentazioni su Sakineh

Di Anna Esposito
Leggevo e rileggevo l’articolo di Massimo Fini su Il Fatto Quotidiano , il quale storce il naso sulla mobilitazione dell’Occidente  nei confronti dell’iraniana Sakineh. Fini incastona la sua critica tra i motivi che spingono gli occidentali alla strenua difesa della donna, non legati prevalentemente alla lapidazione, da considerarsi a tutti gli effetti una “tortura” e dunque deprecabile assai, ma sull’assurda pretesa di evitarle del tutto la pena capitale e anzi figurarsi addirittura arrogarsi l’autorità di chiederne la liberazione. Già ci sarebbe la questione di Guantanamo che dovrebbe secondo Fini rafforzare la tesi se non altro dell’ipocrita “cultura superiore”, poi certo la lapidazione è impressionante, il dilemma tra pietas e la necessaria applicazione della legge sussiste. Eppure una omicida la vogliamo lasciare a spasso? Non sarebbe possibile neanche in paesi considerati civili come l’America. Cita finanche un perentorio “dura lex, sed lex” che mi stende. A metterci una pietra sopra nell’argomentazione poi la solennità dell’autonomia giuridica dell’Iran, la sua sovranità nel gestire la questione senza ingerenze inopportune, che allude caldeggiate da Stati Uniti e Israele contro Teheran. E la Francia che avanza certe pretese di aver voce in capitolo sulla decisione di un tribunale iraniano “dichiari guerra all’Iran, invece di farci cospicui affari” , dice lui. Per non parlare dell’adulterio, in fondo punito con  la pena capitale in molti altri Paesi islamici.  Perché dunque interessarci proprio di Sakineh, pretendendo la libertà di una “presunta” assassina? Ebbene io Fini l’ho seguito fino ad un certo punto, mi stava quasi persuadendo della bontà della sua costruzione logica e dialettica se non fosse per l’incertezza di fondo che annebbiava un po’ la vista, già perché egli poi tenne a precisare: “se le accuse sono veritiere”, l’Iran “dovrebbe avere la sensibilità, anche politica, di capire che su un caso che è comunque sotto gli occhi di tutto il mondo ha l’obbligo morale di dare sulla reale colpevolezza di Sakineh informazioni maggiori e più trasparenti di quante ne abbia date finora”. E dunque per sua stessa ammissione non sono chiari gli elementi di colpevolezza a carico della donna, sulla veridicità delle accuse che ne portarono alla condanna aleggia un’ombra inquietante e sarà pur vero che si è innocenti fino a prova contraria se non erro, come può sostenere illegittima ed ipocrita con tanta risolutezza l’indignazione della società civile che ha risposto all’appello accorato dei due figli della donna?  “Oggi, quando quasi tutte le nostre speranze sono finite e l’avvocato di nostra madre ci dice che può essere uccisa, noi facciamo appello a voi, cittadini del mondo. E facciamo appello a voi, cittadini iraniani, a tutti voi che avete sperimentato sulla vostra pelle il dolore e l’angoscia e l’orrore di perdere una persona amata”. Alla richiesta disperata avremmo dovuto rimanere indifferenti perché la legge è legge, lo è anche se persistono ragionevoli dubbi di sospettare che la sua applicazione abbia violato dei diritti umani? Ognuno ha la giustizia che si merita: paese che vai giustizia che trovi, insomma. E in effetti Fini saprà di certo che in quel “colto e molto più civile paese di quello che gli occidentali vogliono far credere” nell’ultimo anno sono state comminate 402 condanne a morte battendo con questo record macabro anche la Cina.  In tragico aumento anche le donne condannate alla lapidazione, ne sarebbero dodici in attesa di esecuzione, tra queste Maryam Ghorbanzadeh, che è persino incinta, ma ciò non le risparmierà la vita e Azhar Bakri invece appena diciannovenne che subirà la stessa atroce sorte perché il marito l’ha accusata di adulterio, un reato penale in Iran secondo la legge detta dell’Hodoud.  E stato a partire dal 1979 che le lapidazioni cominciarono a registrare un drammatico aumento, anno di fondazione della Repubblica islamica, che furono poi sopsese a seguito di una pressante campagna internazionale per poi riprendere con l’attuale presidente Ahmadinejad.  Anche in questa circostanza, grazie soprattutto alla mobilitazione internazionale, è giunta nelle ultime ore la notizia che  la la condanna alla lapidazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani è stata sospesa, ad annunciarlo il portavoce del Ministro degli Esteri iraniano Ramin Mehmanparast. Certo “l’Iran non ha alcun obbligo giuridico di fornire all’Occidente le prove che la sentenza del suo Tribunale è giusta anche perché qui non ci troviamo di fronte a un oppositore politico ma a una persona accusata di reati comuni”. Eppure  Fini, nel dubbio della colpevolezza o meno della donna, ci lasci la legittima indignazione rispetto all’imbarbarimento di condanne sommarie almeno quanto le esecuzioni e di un paese in cui le donne pagano ancora oggi con la vita il libero arbitrio e l’autodeterminazione . Sicuramente a far compagnia all’Iran ci sono altri paesi in cui viene utilizzata la lapidazione, come la Somalia e il Sudan. Eppure il “colto e civile” Iran costituisce un’eccezione perché a differenza degli altri stati lapidatori siede  in una commissione speciale dell’Onu sui diritti delle donne.
Firma l’appello:
www.freesakineh.org

2 COMMENTI

  1. Cara Anna, Massimo Fini non è una delle mie letture abituali, ma a spanne mi sembra di ricordare che non sia esente da una qualche forma di misoginia, che, volendo, affiora anche da quelle sue righe.
    Rimanendo allo stretto merito dell’articolo però, non mi sento di dargli torto.
    Il problema della sovranità, per chi si ispira a principi liberali, non è distinto da quello dell’autodeterminazione, ma ne rappresenta una riproposizione al livello dei popoli. I codici di cui ciascuno Stato si dota sono sono frutto di un processo storico-culturale che è tipico ed unico per ugnuno, e da questo traggono legittimità.
    Io sono certamente contrario alla perseguibilità dell’adulterio, come sono certamente favorevole a quella dell’omicidio (qui però i distinguo non mancherebbero) ma non posso pensare che queste mie convinzioni siano universali e che il semplice fatto che uno Stato che ne ha di diverse sia per ciò stesso diminuito nella sua sovranità.
    Sono contrario, per dirla con uno slogan della geopolitica contemporanea, a qualsiasi forma di esportazione della democrazia basata sul “male minore”.
    In questa propspettiva, la pretesa dell’Occidente, colto e civile, di interferire con l’esercizio del diritto penale ordinario di uno stato sovrano su uno specifico caso la trovo erronea sul piano ideale, illegittima sul piano giuridico, ipocrita sul piano politico e demagogica sul piano comunicativo.
    Molto comodo issare la foto di una condannata a lapidazione in Iran, puntando dito indice su uno stato canaglia e chiedere lumi sul processo, col placet di Lega, CEI e benpensanti, e far finta di non vedere le travi negli occhi dei nostri amici atlantisti e non.
    Perchè non mettere l’immagine dei camion-container comprati con soldi probabilmente italiani che trafficano in carne di profugo nei deserti libici o cambiare la foto di Sakineh con quella della Politoskaia?
    L’impressione è che dietro quel velo sia celata la grande ipocrisia occidentale.

  2. Per cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo la stracciamo e ci facciamo coriandoli, ne prendo atto. Non vedo ipocrisia nella volontà di attivarsi di fronte ad un caso di barbara esecuzione capitale, in difesa dei diritti delle donne, della libertà di espressione, contro le persecuzioni degli oppositori politici, ovunque esse vengano perpetrate. Gli stessi principi che mi consentono di denunciare il “genocidio” in atto in questi giorni in Congo ad esempio. Bisogna invece attivarsi in difesa di chi vive in Paesi dove ogni giorno questi diritti fondamentali vengono violati, siano questi occidentali o meno, la barbarie resta tale e va denunciata.

SCRIVI UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome

- Advertisment -

più popolari