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La mia Notte dei Musei

di Claudia Cannatà
Il 6 ottobre, Roma ha recuperato “La Notte dei Musei”, annullata lo scorso maggio in tutta Italia in segno di lutto in seguito all’attentato a una scuola di Brindisi. Una notte dalla durata di cinque ore, dalle 20 alle 2, durante le quali è possibile visitare tutti o quasi tutti i musei della città. Due, in particolare, i motivi che stuzzicano la partecipazione: l’evento è totalmente gratuito e non c’è alcuna restrizione sulle mostre e le installazioni temporanee. Inoltre, il tutto è accompagnato da spettacoli, balletti e concerti di giovani talenti.
Amante di grandi eventi, delle arti e degli spazi museali, aspettavo trepidante questa notte per sfruttarla al meglio, come ogni anno o forse anche di più. La scelta dei posti da visitare non è molto oculata, non lo è, in realtà, per niente. Trascinata dalle emozioni istantanee, scelgo quelle mostre sulle cui locandine continuo ad incollare lo sguardo ogni volta che ci sono vicina, a piedi o in bus.
Appuntamento alle 19.30 davanti al Quirinale. Quest’anno, riusciamo a vedere due musei, se arriviamo in anticipo sull’orario di apertura. Scuderie del Quirinale e Palazzo delle Esposizioni, l’olandese Vermeer e il francese Doisneau. Per poi concludere la serata con una ricca e meritata cena. Per la serie: non si vive di sola cultura. Questo il programma, ma già il primo punto della poco rigida tabella di marcia non viene rispettato. Qualcuno arriva al luogo dell’incontro con un po’ di ritardo. Un quarto d’ora che fa saltare i piani, ma presto capiamo che sarebbero saltati comunque, vista la fiumana di gente che c’è per le strade del centro.
Tutti in fila, poco ordinati, sui marciapiedi che conducono ai vari musei. Tutti tranne qualcuno, pochi a dire il vero, che punta dritto al posto più vicino alla porta d’ingresso. Forse non sa a quale estremità di una fila ci si accosta solitamente. A un quarto d’ora dall’apertura, il serpente umano che si è formato in via XXIV Maggio ha già svoltato anche l’angolo della strada e lascia presagire tempi d’attesa non inferiori ad un paio di ore. Democraticamente allora decidiamo per un piccolo cambio di programma.
A pochi metri da lì c’è il nostro secondo obiettivo della serata: il Palazzo delle Esposizioni. Andiamo a dare uno sguardo, nella speranza che intanto la situazione alle Scuderie migliori. Anche lì la fila sembra di quelle dei grandi concerti da stadio, ma è sicuramente più gestibile. Alle 20 in punto si inizia a scorrere, con una certa fluidità. Dopo un’ora varchiamo l’ingresso e salutiamo Roma, perché dentro ci aspetta Parigi.
Per un’ora e mezza piena, ci immergiamo nell’atmosfera francese che viviamo attraverso gli occhi di Robert Doisneau, il più illustre rappresentante della fotografia umanista in Francia. La mostra propone più di 200 scatti originali del periodo compreso tra il 1934 e il 1991, raggruppati per tema. Attraverso l’obiettivo dell’autore, su immagini in bianco e nero ma piene di luce incontriamo i soggetti a lui più cari: donne, uomini, bambini, innamorati e animali. Insomma, gli stessi parigini che vivono in una città senza tempo, una Parigi umanista che ci viene restituita attraverso istantanee percezioni di uomini nella loro verità quotidiana. L’obiettivo dichiarato dell’autore è quello di “impossessarsi dei tesori che i suoi contemporanei trasmettono inconsciamente”. E ci riesce appieno tanto che il suo lavoro di intimo spettatore appare oggi come un vasto album di famiglia dove ciascuno si riconosce con emozione. Molte sezioni della mostra sono attraversate da una piacevole linea ironica che, dopo averti strappato sorrisi in serie, ti fa venire voglia di ricominciare dal primo scatto e poi ancora e ancora fino ad imprimere di nuovo quelle immagini, stavolta non su carta fotografia ma nella propria mente per conservarli più a lungo possibile. Così succede davanti agli scatti che catturano diverse reazioni espressive di fronte alla Gioconda, diverse reazioni di uomini e donne di fronte alle stessa immagine in una vetrina, diversi stati di allegria di persone che sfidano le più scaramantiche delle leggende metropolitane. Perfino il simbolo per eccellenza della città francese, la Torre Eiffel, viene reinterpretato attraverso una serie di scatti di Parigi vista dall’unico punto in cui non è possibile vedere la torre, ovvero dalla torre stessa. Deludente per efficacia e impatto il più celebre “Bacio dell’Hotel de Ville”, molto più valorizzato dalle dimensioni cartellonistiche. Il normale formato fotografico non gli rende giustizia. Ma è una delusione che dura un attimo, giusto il tempo di accorgersi che ci sono altre coppie innamorate da spiare, proprio sulla stessa parete. Ambiguo il giudizio sullo schermo LCD. Piazzato su una parete appartata con tanto di divanetto di fronte per gustarsi una considerevole parte delle opere seduti comodamente, se da un lato ha permesso di ampliare le dimensioni della mostra, dall’altro ha torturato il piacere del disporsi di fronte ad uno scatto per quanto più tempo il nostro sguardo insieme agli altri sensi sentano di fare. Piccola nota stonata, ma, anche stavolta, assolutamente perdonabile in virtù di quella sensazione provata una volta arrivata all’ultima foto. Ti guardi intorno in cerca di qualcosa che non hai ancora visto. Ti guardi intorno con la speranza che qualcosa non l’hai ancora visto per poterti trattenere ancora un po’ tra quei capolavori che, stando in silenzio, fanno esplodere un’enorme carica comunicativa. Assolutamente da vedere!
Usciamo e su di nuovo al Quirinale, dove la situazione non è affatto cambiata. Il serpente è ancora lì, tutto intero e continuano ad aggiungersi nuovi pezzi. La voglia di restare c’è, ma a questo punto è una lotta tra il brontolio dello stomaco e la curiosità della vista. Fingiamo di non sentire forse per un po’, ma alla fine ci accorgiamo che il primo urla più forte ed ha la meglio. Ci de-filiamo con la promessa che Vermeer s’ha da vedere comunque. Arrivederci, dunque, e a presto.
Mentre ci spostiamo per andare a cena, divento osservatrice involontaria e scopro un’atmosfera che mi sorprende piacevolmente. Le strade del centro di Roma sono piene di gente di ogni età, tra cui tanti sono giovani. Ed è bello constatare che abbiamo speso tutti insieme un sacrosanto sabato sera di cultura. Evidentemente quando non è la povertà delle nostre tasche a fermarci o comunque ad imporci una scelta tra un’Heineken e un Vermeer, tra un tavolo con Champagne e un Doisneau, non esitiamo a trascorrere le nostre serate in compagnia dei secondi.

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