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Benvenuti nella Dystopia: i rischi di una cattiva gestione della politica alimentare di lungo periodo

di Mariano Colla
Queste sono le considerazioni sul mondo attuale fornite da Jeremy Grantham, top manager di una grande azienda di “asset management” di fama mondiale, il Grantham Mayo Van Otterloo (GMO), che raccoglie quasi 97 miliardi di $ in attività. E’ sorprendente che una società appartenente al modo della finanza elenchi alcuni dei problemi dell’economia mondiale con tale disinvolta chiarezza, quando, in realtà, molte società di pari estrazione tendono a tracciare una immagine del nostro futuro assai più rosea, al fine di attirare i poveri investitori ignari.
A mio avviso vale la pena di leggere l’executive summary(2) della lettera trimestrale (Luglio 2012 ) della GMO che, per chiarezza dei lettori, ho opportunamente tradotto. Può essere motivo di riflessione.
“Da cinque anni siamo immersi in una grave crisi alimentare globale dalla quale è molto improbabile vedere una via d’uscita. Gravi minacce incombono sui paesi poveri, laddove malnutrizione e fame ne stanno determinando il collasso. Contrasti e lotte sulle risorse primarie e ondate migratorie, determinate dalla penuria di cibo, minacciano la stabilità e la crescita globale. Questa minaccia è gravemente sottovalutata da quasi tutte le istituzioni internazionali, con la sola eccezione di alcune funzioni di intelligence militare.
Riassumiamo i punti significativi della situazione attuale:
1. L’anno scorso abbiamo riportato dei dati che hanno mostrato come da 10 anni ci troviamo all’interno di un radicale cambiamento che, da una riduzione dei prezzi delle risorse, si è volto verso una rapida crescita dei prezzi reali.
2. Da circa cinque anni siamo soggetti a una seria crisi alimentare globale, che ci riguarderà per molti decenni, con poche possibilità di attenuarsi, se non

Jeremy Grantham

quando la popolazione mondiale sarà scesa notevolmente rispetto al picco massimo, stimato in oltre nove miliardi di persone nel 2050.
3. L’ipotesi generale è che abbiamo bisogno di aumentare la produzione alimentare dal 60% al 100% entro il 2050, per fornire un numero appena modesto di calorie a tutti i 9 miliardi di persone, oltre a garantire più carne alle nuova classe media, in rapido aumento nel mondo in via di sviluppo.
4. È luogo comune credere che tale obiettivo sia raggiungibile, anche se con fatica. Noi siamo invece dell’opinione che l’obiettivo sia molto ottimistico. Nel migliore dei casi, se si raggiunge quel livello, non saremo in grado di mantenerlo. Molto più probabilmente non ci avvicineremo, perché ci sono troppi fattori che renderanno la crescita della produzione alimentare sempre più difficile, laddove, invece, eravamo abituati a una facile crescita. Eccone alcuni:
• la produttività dei cereali è diminuita di decennio in decennio, a partire dal 1970, dal 3,5% al 1,5%. Molto probabilmente, i produttori di cereali più efficienti si stanno avvicinando a un cosiddetto “glass ceiling”, dove un ulteriore incremento di produttività per acro, considerata l’attuale tipologia di grano, si avvicina allo zero. Sorprendentemente, l’investimento nella ricerca agricola, come percentuale del PIL, è costantemente diminuito a livello globale.
• aumenteranno i problemi idrici e i vantaggi derivanti da un aumento dell’irrigazione saranno compensati, in negativo, dalla riduzione delle riserve in acqua nelle falde sotterranee e dalla salinizzazione del suolo.
• il protrarsi di cattive pratiche agricole accentuerà il degrado del territorio, che continuerà a minare la sostenibilità della nostra capacità produttiva sul lungo termine.
• il rendimento incrementale derivante dall’uso di fertilizzanti diminuirà costantemente e il margine di rendimento, che negli ultimi 50 anni è cresciuto di 5 volte, rimarrà un ricordo.
• aumenterà l’instabilità atmosferica, in particolare aumenteranno inondazioni e siccità, ma anche il calore sarà in costante crescita. Gli ultimi tre anni della meteorologia globale sono stati molto negativi ed è difficile ritrovare tale continuità nella serie storiche. Il clima sta cambiando.
• i costi dei fertilizzanti e dei carburanti aumenteranno rapidamente.
5. Anche se riuscissimo a produrre abbastanza cibo per sfamare tutti in modo soddisfacente, l’aumento costante del costo dei fattori di produzione comporterà che un numero crescente di persone non sarà in grado di permettersi il cibo che produciamo. Questo è un punto fondamentale, spesso trascurato nei modelli econometrici.
6. Una parziale buona notizia previene dagli scienziati che ritengono di essere in grado di progettare, in 20-30 anni, geni “C4” da fotosintesi più efficienti (il mais appartiene a questa famiglia) da inserire all’interno di piante relativamente inefficienti ma indispensabili, quali il riso e il frumento. Se questo esperimento avesse successo si aumenterebbe di circa il 50% la produzione, guadagnando, probabilmente, il tempo necessario per una transizione meno dolorosa verso una popolazione dal consumo sostenibile.
7. Molte di queste crescenti difficoltà si sono riflesse nella crisi alimentare del 2008 e nelle successiva recrudescenza del 2011. L’aumento dei prezzi delle ultime sei settimane è più minaccioso in quanto si è verificato nonostante la maggior disponibilità di aree produttive rispetto al 2008. La domanda globale è alta e continua a crescere rapidamente e le riserve sono così basse che la sensibilità dei prezzi delle derrate alle battute d’arresto causate da agenti atmosferici negativi è diventata molto alta.
8. Sembra probabile che diversi paesi dipendenti dalle importazioni di grano estero non si siano di fatto mai ripresi dallo shock del 2008. Paesi come l’Egitto hanno visto aumentare di oltre il 40% il budget alimentare a causa dell’ascesa dei prezzi delle derrate. A questo livello, le pressioni sociali possono essere estreme e, probabilmente, hanno contribuito alla primavera araba. Eventuali ulteriori aumenti di prezzo possono provocare un collasso sociale e un’ondata di immigrazione su scala mondiale, mai sperimentata prima d’ora in tempo di pace. Un altro raddoppio dei prezzi dei cereali sarebbe catastrofico.
9. Solo adottando forti contromisure potremmo sperare in un contenimento della crisi alimentare attuale e porremmo le basi per prevenire l’insorgenza di una crisi molto più grande. Purtroppo temiamo che queste misure non vengano prese. Questo accade perché le variazioni di prezzo per i paesi ricchi sono ancora troppo deboli – tali paesi possono ancora permettersele – e vi è comunque un’inerzia sociale e politica dei paesi più abbienti che rallenta le risposte alle minacce incombenti. Inoltre, i problemi di malnutrizione in paesi lontani non sono generalmente sentiti come problemi ad alta priorità nei paesi più ricchi.
10. Se le pressioni alimentari sono poi rinforzate da un aumento del prezzo del petrolio, i rischi di un collasso sociale e di un aumento dell’instabilità globale possono diventare critici, delineando scenari di forte contrasto internazionale. La Cina è particolarmente sensibile (anche un po’ preoccupata) alla scarsità di risorse, in particolare del cibo.
11. L’opinione pubblica, i media, i mercati finanziari, i governi, purtroppo sottovalutano questi rischi. Solo i militari di alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito, sembrano rendersene conto in modo adeguato.
12. L’aumento nelle forniture di gas naturale, rappresenta un temporaneo sollievo, soprattutto per gli Stati Uniti, pur tuttavia sembra rimanere immutata la dipendenza dagli idrocarburi. Nel breve termine la situazione energetica a livello globale è meno preoccupante di quanto non sia il problema alimentare. Le forniture sono sufficienti a mantenere una certa lentezza nell’aumento dei prezzi, anche se irregolare. Il problema principale con il petrolio riguarda il suo effetto sul contesto alimentare, gravato da costi agricoli più elevati e, comunque, sulle pressioni economiche e sui costi crescenti per i paesi più poveri.
13. A più lungo termine i costi energetici e la scarsità assoluta di petrolio costituiranno un grave problema, secondo solo alla scarsità di cibo. I prezzi saliranno vorticosamente e l’impatto sulla crescita globale e sul tasso di sviluppo delle economie più fragili sarà devastante.
14. Sulla carta, però, il problema energetico può essere affrontato attraverso ingenti investimenti nelle energie rinnovabili e nelle reti di distribuzione intelligenti. I paesi che sceglieranno questa strada in alcuni decenni godranno di grandi vantaggi, sia nella riduzione dei costi marginali, sia nella sicurezza energetica. Tuttavia molti paesi, tra cui gli Stati Uniti, non sembrano manifestare la volontà politica di superare la su citata inerzia, in quanto sussistono interessi energetici che ostacolano gli investimenti in direttrici diverse dalle attuali, con il rischio di essere lasciati indietro in un mercato sempre più competitivo.
15. La disponibilità mineraria sembrerebbe invece, un problema minore nei prossimi decenni. I prezzi saliranno costantemente, ma le conseguenze saranno meno negative. Tuttavia, sul lungo periodo, i minerali costituiranno il problema meno gestibile. Non vi sarà infatti alcuna soluzione, come sembra invece esserci per l’agricoltura (ad esempio con l’agricoltura biologica) o per l’energia, con le soluzioni tecnologiche che puntano alle energie rinnovabili. Ci sarà invece un lento esaurimento delle risorse naturali e un progressivo e illimitato aumento dei prezzi.
16. I risultati di questi problemi si faranno sentire soprattutto come pressione sui prezzi nei paesi ricchi. La necessità di ottenere risorse adeguate porterà alla spremitura dei bilanci nazionali, dei margini di profitto, e della crescita economica. Per i paesi poveri, però, è letteralmente una questione di sopravvivenza.
17. Non siamo apparentemente in grado di gestire questi problemi: la specie umana non sembra essere quella considerata nelle lezioni di teoria degli investimenti, ma piuttosto è preda di una cattiva informazione, di una continua manipolazione e sensibile alla corruzione. L’umanità deve giocare una scommessa contro un nemico amorfo che esprime il suo attacco molto lentamente e deve manifestare, in questa lotta, tutte le sue capacità. La posta in gioco, a livello globale,è davvero molto alta. Dobbiamo sforzarci di più”.
(1) Dystopia: società caratterizzata da miseria umana, malattie, oppressione e sovraffollamento
(2) La presente relazione è un aggiornamento e una integrazione del “Time to Wake Up”, april 2011 and Resources Limitations 2:: Separating the Dangerous from the Merely Serious,” luglio 2011.

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