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Le etichette della politica

di Mariano Colla
La politica ha bisogno di etichette.
Tempo fa erano le ideologie a fornirle, oggi un fraseggio più creativo ne ha preso il posto e allora si delineano definizioni quali: progressisti, riformisti, moderati, laici, clericali, populisti, tanto per citare le etichette più diffuse.
Agli elettori con fantasia viene assegnato il compito di decifrane i significati.
Alcune di queste formule innovative recano, almeno secondo il mio giudizio, significati plurimi e contraddittori rispetto al presunto significato con cui erano, probabilmente, nate, pur restando tutte nelle ambiguità del politichese.
Mi riferisco, per esempio, al termine “moderati” che, da un po’ di tempo a questa parte, gode della ribalta mediatica, termine con cui si intende ammantare una considerevole porzione della politica e dell’elettorato italiano di una benevola ed equilibrata identità, sostanzialmente priva di rigurgiti e reazioni poco misurate.
Orbene, è pur vero che la politica ha una particolare fantasia nell’inventare simboli linguistici di dubbia coerenza ma, nel caso specifico, lo scostamento tra ciò che il termine “moderati” vorrebbe evocare e i contenuti, ovvero gli atteggiamenti dei politici ad esso riconducibili mi sembra assai rilevante.
Guardando alla definizione del termine “moderato”, la lingua italiana ci propone la seguente enunciazione: “atteggiamento contenuto nei limiti prescritti dalla convenienza o dalla tollerabilità, ovvero comportamento improntato a misura o temperanza”.
Per quanto legga e rilegga tale definizione, ho qualche difficoltà a riconoscerne la coerenza con lo schieramento politico, dai nebulosi confini, che ne fa ampio impiego in ogni manifestazione pubblica di piazza o nell’ambito delle platee mediatiche, siano esse giornali, televisioni, internet o radio.
Se ci soffermiamo sulla suddetta definizione, emergono espressioni quali tollerabilità, misura e temperanza che inducono a creare un’atmosfera di pacata ed equilibrata socialità, ricca di un potenziale relazionale fatto di comprensione e condivisione.
L’uso politico del medesimo termine ne altera, invece, in modo rilevante, lo spirito originario e maschera le tensioni che oggi incorpora, alterando la funzione simbolica che, in origine, esso possedeva, ossia quella di comunicare un pensiero politico incline, appunto alla moderazione. Se così non fosse, perché usare tale termine invece di, che so, gli equilibristi, i regolati, i prudenti?
Se vi sono atteggiamenti pruriginosi nell’ambito del parlamento italiano, per lo meno in questi ultimi anni, essi sono facilmente riconducibili proprio a quelle forze politiche che amano definirsi moderate e che intendono rivolgersi a cittadini classificati a loro volta come moderati, quasi a inquadrare come smodati, sregolati, sfrenati, dissoluti e irriverenti coloro che sono estranei a tale formula.
Ogni qual volta i politici evocano il termine “moderati” si dischiudono all’improvviso praterie di elettori pronti a riconoscersi in un termine pacificatore, privo di sussulti ideologici, allineato sui valori della tradizione, evocatore di un atteggiamento critico nei confronti di ogni cambiamento.
Mi sovviene pertanto qualche dubbio interpretativo.
Certo, non c’è da scialare con il termine “progressista” di ben diversa natura e origine ma, se non altro, esso non sembra evocare le contraddizioni che viceversa il termine moderato incorpora.
Non possiamo dimenticare come nell’ampio cartello dei moderati abbiano anche fatto parte formazioni politiche secessioniste e, francamente, con tutta la disponibilità e apertura necessarie, non riesco a ritrovare una linea identitaria tra i linguaggi e comportamenti adottati in quel periodo storico e una definizione di “moderati”.
Ma, forse, non è necessario rivolgersi a coloro che, in qualche modo, entrano ed escono, secondo convenienza, da tale etichetta formale, per ritrovare altre divergenze tra la forma linguistico-simbolica e la sostanza politica evocate dall’espressione “moderati”.
Anche nei leader di più consolidato orientamento politico subentrano argomentazioni e formule espressive e comunicative assai poco moderate.
Non necessariamente tali discutibili eloqui sono alla ricerca di etichette più radicali, significherebbe catapultarli nell’ade in cui giacciono, da sempre, gli estremismi della politica, ossia la sinistra o la destra estrema, ma i latori di questi, cosiddetti, “messaggi moderati” dovrebbero finalmente capire che gli italiani non sono, come qualcuno di loro ha detto tempo fa, “c……ni”.
Gli italiani sono in grado di capire, forse lentamente a volte, che dietro il surrettizio uso del termine “moderatismo” si possono celare operazioni la cui trasparenza è soggetta a qualche dubbio interpretativo.
E’ per lo meno discutibile l’obiettivo di voler ricomporre, sotto la formula del “volemose bene”, mascherando operazioni politiche di dubbia moderazione, disegni assai lontani dalla tolleranza, dalla moderazione e dalla temperanza.
Nell’ambito di una politica che tende a classificarsi sempre più per slogan che per programmi, cercare di imbambolare la gente con etichette tranquillizzanti, come “moderati”, appunto, mi sembra il massimo delle beffe.
In un passato non così remoto dietro a espressioni quali comunismo, democrazia cristiana socialismo, liberalismo, etc. si dischiudevano contenuti ideologici chiari e distinti da cui discendevano responsabilità politiche coerenti con tali ideologie.
Ora, morte quelle definizioni politiche e i relativi dettati costituenti, i neologismi che ne hanno preso il posto non hanno la medesima chiarezza e raccolgono intorno a sé trasversalità di cui è difficile identificare confini e contenuti.
Sono simboli, ma un simbolo ha sempre bisogno di un significato per sopravvivere e nel momento in cui tale significato si presta a una pluralità di interpretazioni, sia pure nella nebulosa arena della politica, la sua funzione si dissolve e in un mondo in cui le ideologie sono scomparse non resta che l’apatia e il disimpegno.

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