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W la passione!

di Mariano Colla
In una delle scene centrali del film “W la libertà”, in programmazione nelle sale romane, il gemello dell’onorevole Oliveri, Ernani, intellettuale di genio in cura presso un centro di salute mentale, sostituisce, in una serie di rocambolesche situazioni, il fratello, leader del maggior partito di opposizione, in preda a una grave forma di depressione e di rifiuto del mondo politico. In tale ruolo Ernani, creativo e stravagante, ravviva le energie del partito, in fase calante nei sondaggi, rivitalizzandone l’immagine presso gli elettori. Tra le varie situazioni curiose, mi ha colpito la scena in cui Ernani, che si appresta a sostenere il peso di un comizio dinanzi a una piazza gremita da un vasto pubblico di simpatizzanti politici, sale sul palco, si gira e osserva il maxi cartellone alle sue spalle, ricolmo di slogan politici. Li studia e afferma: “tra tutti ne manca uno, il più importante: la passione”.
L’espressione mi ha colpito, forse perché così, all’improvviso ne ho sentito la dolorosa mancanza e, nel contempo, ne ho avvertito la veemente necessità.
Già, la passione, espressione dal significato vitale, che nella sceneggiatura del film appare forte e chiara nel suo simbolismo, come un fulmine che squarcia il cielo tenebroso.
La filosofia ci dice che la storia va avanti in base a un movimento inconscio, dietro la spinta delle passioni e degli interessi. Oggi, nel nostro tormentato postmodernismo, a quale delle due componenti siamo maggiormente tesi a concederci?
Personalmente non avrei molti dubbi.
In una società che sembra nutrirsi di egoismo, di indifferenza, di insensibilità, in cui la solidarietà svolge un ruolo secondario, gli interessi emergono con una inarrestabile determinazione.
Inoltre la caduta delle ideologie ha ulteriormente contribuito a marginalizzare le passioni, relegandole in un oblio che le maschera e le occulta.
Se le passioni rappresentano le energie inconsce degli individui, dove esse agiscono come forze propulsive nella vita, ebbene oggi ne siamo in parte privi, disgregati come siamo in una miriade di interessi individuali e collettivi che saturano il nostro presente e illudono il nostro futuro.
Noi non disponiamo di un “cogito” sostanzialista cartesiano, bensì di una pluralità di io, di identità che, nel momento in cui vengono omologate, producono depressione e nichilismo.
L’Occidente ci ha immerso in un modello socio-economico dominato dalla tecnica che ha progressivamente disciplinato le passioni forti, semmai sostituendole con palliativi dai contenuti populistici, laddove la stessa politica ne è l’anima ispiratrice.
In questo contesto anonimo e indifferenziato, bisogna prestare molta attenzione agli individui che si dichiarano ricchi di passioni, ovvero condottieri di anime. Essi non sono grandi di per sé, ma lo sono perché generano o interpretano la potenzialità delle passioni collettive che, tuttavia, non trova modo di esprimersi perché imbrigliata dall’indifferenza. Essi interpretano lo spirito nascosto che batte alle porte del presente e non occorre guardare lontano per individuare tali individui.
Nel film, Ernani si riferisce alla passione politica, ma l’invito va certamente oltre. Il termine passione evoca molto di più, ovvero l’intensità della nostra vita, il desiderio di dare spessore emotivo alle nostra azioni, la forza della volontà come libera e potente espressione non irretita da invadenti meccanismi razionali.
Nella nostra epoca, soggetta all’invadenza della tecnica e della pura razionalità, preda di rigidi sillogismi quali efficienza e funzionalità vi è ancora spazio per la passione, dimensione umana così totalizzante?
In una visione tecnologica del mondo, intrisa di complesse logiche economiche, la passione appare come un ospite non gradito, perché foriero di entusiasmi che, al contrario, devono lasciare spazio al conformismo, all’assuefazione, alla omologazione, con il risultato che all’uomo, per non precipitare nel nichilismo, rimangono come uniche possibili vie di senso il mito e il trascendente.
Fino al Rinascimento il significato di passione era legato alla sofferenza e al turbamento.

Pandora apre lo scrigno (Arthur Rackham)

Le passioni erano viste come fattore esogeno che turba la quiete dell’anima, la naturale apatia dell’uomo, anche se già Ambrogio e Agostino mutarono il significato di passione, considerandola una pulsione più positiva e coinvolgente.
Platone ci ricorda che le passioni più ribelli sono anche quelle più potenti, perciò gli uomini devono sottoporsi alla disciplina delle passioni, al loro governo. Per gli antichi greci la saggezza implicava il controllo delle passioni.
Il governo di sé, la cura di sé erano momenti costitutivi della soggettività.
Me è proprio il processo di codificazione della disciplina delle passioni che ha condotto la modernità a sopprimerle o, per lo meno, a limitarne l’intensità, privando l’uomo di quella spontaneità e autenticità che esse sanno evocare.
Addomesticare le passioni vuol dire mettere a tacere il motore vitale dell’ esistenza umana, anche se comunque è un compito assai arduo dosarle e mitigarle.
L’elemento negativo sta nel deficit di desiderio, non nell’eccesso, e le passioni sono utili ancorché necessarie alla vita. Nell’enciclopedia illuminista di Diderot e D’Alambert, le passioni sono definite come dolci, perché hanno a che fare con la struttura più vitale del nostro organismo.
Kant, tuttavia non le ama, ne diffida, perché minano la lucidità dello sguardo razionale.
La costruzione razionale kantiana non trova, tuttavia, immediata applicazione. Il pensiero filosofico successivo al grande pensatore tedesco afferma, infatti, che non si deve avere paura delle passioni, bensì coltivarle e consentirne la libera espressione.
Le passioni devono essere costantemente alimentate, affinché esse non perdano di potenza per svilirsi in sentimenti.
Stendhal e Tocqueville affermavano che le passioni consentono di vivere intensamente l’accaduto e il vissuto. Al contrario lo svilimento delle passioni produce un declino della società, come peraltro dimostrato dall’individualismo borghese-democratico che conduce a una razionalizzazione dei costumi e a un processo acquisitivo in cui le passioni stesse sono sostituite da pulsioni mediocri legate alla ricchezza e all’ascesi sociale.
Nasce da qui l’individuo acquisitivo, competitivo, desiderante e privo di passioni, in quanto è proprio nella società borghese che si coltiva l’immagine del successo e della felicità.
Pur tuttavia per alcuni le passioni non sono motori della storia, bensì motori di illusioni. Al contatto con il vero le passioni possono pure apparire come uno strumento della natura per ingannare.
Comunque sia, qualsivoglia determinazione si voglia associare alla passione, essa non può essere relegata a lungo nell’oblio della coscienza umana, pena una sua deflagrante irruzione nel mondo opaco e indifferenziato.
E allora come uscire dal dilemma tra passione e ragione?
Forse una via non c’è in quanto queste due componenti della natura umana sono fortemente presenti ed interconnesse anche se, storicamente, e a turno, hanno spesso prevalso una sull’altra.
In un periodo in cui le passioni sembrano essere scomparse, si riaffermano come estremamente attuali le considerazioni di Horkheimer e Adorno, per i quali i guai in Occidente non sono determinati dalle passioni, appunto, ma dal credere che esiste una ragione totalizzante che, di fatto, ha creato una dinamica quasi repressiva del pensiero.
Forse l’Ernani del film non intendeva aprire il vaso di Pandora in cui, bene o male, le passioni sono represse, ma fornire una sollecitazione su cui riflettere, certamente si.

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