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Sebastião Salgado: “Genesi”, il modo prima che finisse

di Cinzia Colella

Brasile, 2005 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Riscoprire il paradiso terrestre calpestato dall’azione massiccia dell’uomo: è questo l’obiettivo che si è prefissato Sebastião Salgado nella preparazione del suo ultimo grande progetto, “Genesi”. Una mostra fotografica di oltre 200 scatti – in esposizione all’Ara Pacis di Roma fino al 15 settembre – che mette in scena paesaggi terrestri e marini, popolazioni e animali scampati all’abbraccio del modo contemporaneo. Incontaminati e autentici.
L’ho chiamato Genesi – spiega Salgado – perché, per quanto possibile, desidero tornare alle origini del pianeta: all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento; alle remote tribù dagli stili di vita cosiddetti primitivi e ancora incontaminati; agli esempi esistenti di forme primigenie di insediamenti e organizzazione umane. Nonostante tutti i danni già causati all’ambiente, in queste zone si può ancora trovare un mondo di purezza, perfino d’innocenza. Con il mio lavoro intendo testimoniare com’era la natura senza uomini e donne, e come l’umanità e la natura per lungo tempo siano coesistite in quello che oggi definiamo equilibrio ambientale”.
E’ il desiderio di rinascita – anche personale, dopo “In Cammino”, il lavoro che lo ha prosciugato di ogni energia vitale nel voler testimoniare il dramma della miseria umana – che ha mosso il fotografo brasiliano a voler rincorrere tanta grandezza. La nostalgia per la natura lussureggiante dell’azienda agricola nella quale è nato e cresciuto, ridottasi ad un’area quasi arida dopo l’intervento selvaggio dell’uomo, è stato lo stimolo per voler rivitalizzare quella terra che lo aveva generato. E’ iniziato così un progetto di recupero ambientale che oggi conta oltre 2 milioni di alberi piantati, con più di 300 specie diverse, provenienti da tutto il mondo. “Lavorando sulla ricostruzione di un paradiso come quello in cui ero nato – racconta il fotografo – abbiamo avuto l’idea di mettere a punto un grande progetto fotografico, diverso però dai precedenti. Lo scopo doveva essere vedere e cercare un modo nuovo di presentare il Pianeta Terra: questa volta non avrei puntato l’obiettivo sull’uomo e sulla sua lotta per la sopravvivenza, ma avrei mostrato piuttosto le meraviglie che rimangono nel nostro pianeta.
Arizona, USA, 2010 © Sebastião Salgado/Amazonas Images

Otto anni di lavoro e oltre trenta reportage per andare alla scoperta di un mondo definito primitivo ma che sostanzialmente non fa altro che restituirci l’immagine dilatata di noi stessi nella storia. “Con massimo rispetto mi sono avvicinato alle altre specie, animali, vegetali, minerali e ho compreso che tutto ciò che esiste di utile, di importante, di essenziale nel nostro mondo, esisteva già in un tempo anche lontano. Nelle società così dette primitive esisteva già un’idea di solidarietà, di società, di amore. Esisteva l’assistenza, le medicine, perfino gli antibiotici e gli antinfiammatori. Noi non abbiamo fatto altro che sistematizzare queste conoscenze”. Atavico e contemporaneo convivono in perfetta equidistanza.

Come suo solito, Salgado si serve del bianco e nero per concentrare l’emozione e per rappresentare l’immagine nella sua purezza. Le sue foto, nella perfetta sintesi tra reale ed evocato, si esprimono con la bellezza oggettiva di un linguaggio semplice e immediato. L’estetica della composizione racchiude in sé significato e significante, ma apre il varco ad un inconscio collettivo spesso ignorato. E girare tra le sale dà la straordinaria sensazione di essere parte di ogni fibra di quella natura depositata in ognuno di noi, ma mai esplorata. “Abbiamo deciso di suddividere il materiale in 5 sezioni, come se dividessimo il globo in 5 parti, per presentarlo al pubblico il reportage – spiega Lélia Wanick Salgado, moglie del fotografo e curatrice della mostra -; partendo con il sud del Pianeta, l’Argentina, l’Antartico e le sue isole, abbiamo poi costruito una sezione sull’Africa, un continente estremamente diversificato ma che certo si distingue dagli altri.  La terza parte l’abbiamo dedicata a un certo numero di isole che definiamo ‘i santuari del pianeta’ perché custodiscono una biodiversità particolarissima, come il Madagascar, la Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya. E poi l’emisfero nord del mondo che comprende regioni fredde ma nel quale abbiamo incluso anche il Colorado, meraviglioso territorio degli Stati Uniti. La quinta e ultima sezione è riservata all’Amazzonia, il polmone del mondo e il luogo dove abitano un’immensità di specie, di flora e di fauna. L’Amazzonia del Brasile ma anche quella del Venezuela, con le sue magnifiche catene montuose. E nel nostro Brasile presentiamo anche la zona del Pantanal: un habitat di specie faunistiche molto differenziate e importanti”.
Dopo Roma, Londra, Toronto e Rio de Janeiro nella primavera 2013, “Genesi” continuerà il suo lungo giro toccando anche Parigi, altre città della Francia, poi gli Stati Uniti, altre città del Brasile, la Svezia e altri paesi ancora.
Un’occasione rara per omaggiare e venerare la più generosa delle fattrici: la Madre Terra.
 

1 COMMENTO

  1. visitato mostra a Roma,
    delusione indescrivibile per l’allestimento….
    della serie foto bellissime inguardabili causa vetri davanti alle foto che riflettevano l’ambiente, e mi distraevano dal contemplare.
    possibile che chi ha allestito la mostra non si è accorto del danno fatto?
    e il maestro Salgado ha accettato quello scempio?
    se penso che mi sono fatto 1300 km….

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