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E Bauman scrisse del futuro. Appena vent’anni fa

di Giorgia Petrini
In questi ultimi due giorni, mi sto appassionando a Bauman. E’ tale la forza del suo pensiero e la pienezza delle sue parole che riempie ogni piccolo spazio, ogni dubbio, ogni domanda. “Mortalità, immortalità e altre strategie di vita” è un suo libro del 1992. Sono passati 21 anni, e tutto è com’era allora. Ciò che ancora non lo era è diventato come Bauman lo aveva immaginato. Sarà anche un filosofo e sociologo, ma a me pare un profeta. Ho comprato quasi tutti i suoi libri e devo dire che non c’è da pentirsene ad ogni riga che si legge.
Di mio ci metto solo qualche scelta tratta da passaggi fondamentali di questo testo. Di vostro metteteci qualche riflessione personale. Leggete il libro. Non solo questo. Zygmunt Bauman fa bene alla coscienza, alla vita, alla qualità delle nostre azioni, al nostro pensare e alla nostra presunta infallibilità. Qualunque cosa dica.
(…)
Senza mortalità, non ci sarebbe storia né cultura – non ci sarebbe umanità. La mortalità ha “creato” l’opportunità: tutto il resto è stato creato da esseri consapevoli di essere mortali. La mortalità ha fornito l’opportunità; il modo umano di vivere la vita è il risultato dell’aver colto, e cogliere, tale opportunità.bauman-1
(…)
“Durevole” è tutto quello che è al sicuro dall’impatto corrosivo e decomponente del consumo, che non è destinato al consumo, che non ha valore d’uso, che non serve ad alcun fine concepibile, che non può essere divorato e annichilito per soddisfare un appetito. Il “durevole” è qualcosa che non scema con l’uso; se viene “consumato”, tale consumo, in brusca opposizione con ogni consumo “ordinario”, aggiunge qualcosa al suo volume invece che sottrarne. Il desiderio che lo rende prezioso è proprio il desiderio di preservarlo e mantenerlo intatto, e le attività che seguono quel desiderio non hanno un saldo finale uguale a zero; il valore dei beni durevoli, al contrario, cresce nel corso di quelle attività. E’ come se, attraverso una magia contagiosa, l’associazione con il sublime che è stato eternato in tal modo dal non-uso si depositi per contatto su coloro che la praticano consentendo loro di partecipare degli splendori dell’immortalità.
(…)
Come ha sottolineato Edgard Morin, la sublime individualità di un Re si fonda sulla negazione dell’individualità altrui. L’universalità della coscienza del Re esiste unicamente attraverso la negazione della sua presenza nella coscienza degli altri. La cultura del Padrone non cresce che sulla non-cultura dello schiavo. La storia dell’individualità è stata perpetrata, in effetti, attraverso la brutale de-individualizzazione dell’Altro (…) Al suo limite estremo, l’affermazione assoluta della propria individualità richiede la distruzione assoluta degli altri.
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Come variante dell’aspirazione all’immortalità, essa è per queste ragioni altrettanto distruttiva delle altre strategie che abbiamo illustrato in precedenza, ma in maniera più incisiva e definitiva (si sarebbe tentati di dire “finale”). Se non puoi allearti a loro, sconfiggili; se le speranze di una vera durevolezza vengono infrante una dopo l’altra, puntiamo allora alla transitorietà; ma rendiamola spettacolare e godibile per non piangere la perdita – finché dura…
(…)
Quella liberazione significò per prima cosa e soprattutto la distruzione degli ordinamenti oppressivi. Si dovevano infrangere les pouvoirs intermédiaires, i legami delle comunità locali, le parrocchie, le parentele, le corporazioni di mestiere. Un uomo libero doveva essere una persona senza un maestro o un indirizzo prefissati. Ogni fissità o determinazione era pericolosa e mutilante. Una volta cacciate di scena le qualità fisse ed esautorati i poteri capaci di imprimerle sull’”uomo come tale”, l’uomo sarebbe stato ridotto al nudo scheletro della sua essenza eigenschaftenlos, si sarebbe tramutato in quell’autentica lavagna pulita su cui coloro che sono in grado di scrivere avrebbero inscritto i contenuti universali, “solo umani”.

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