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Selam Yemane con Stefano Saletti e Barbara Eramo entusiasmano il pubblico dell'Auditorium

di Eleonora Quadrana
Sono le 21 e nel Teatro studio dell’Auditorium Parco della Musica di Roma la platea attende l’arrivo di Selam Yemane, la poetessa e cantante eritrea che ha conquistato il pubblico con il suo ultimo cd ‘Nafike’.
Rimango colpita, fin dal primo istante, dalla varietà di lingue e culture degli spettatori di questo concerto.
Così, chiaramente, emerge quello che Stefano Saletti, produttore e polistrumentista, mi aveva raccontato pochi minuti prima durante l’intervista, la musica, intesa come arte e passione, è uno dei potenti mezzi con i quali si può trovare un punto di incontro tra le popolazioni del Mediterraneo, da sempre in scontro tra loro a causa delle numerose differenze politiche e religiose.saluti
Ed è proprio questo il messaggio che la musica di Selam Yemane, grazie al contributo di Stefano, appunto, e della meravigliosa voce e dell’entusiasmo di Barbara Eramo, riesce a trasmetterci.
La musicalità calda riesce ad unire tutta la platea in un battito di mani, a farci seguire con entusiasmo il ritmo di ogni ritornello.
La stessa banda, infatti, è l’esempio più calzante di “questo incontro che non è mai scontro” tra le etnie, infatti la voce eritrea si esalta nell’incontro con quella italiana, il classico violino non può che giovare dell’accostamento con strumenti meno classici, quali il  krar e il  bouzouki.
È proprio la diversità ad arricchirci, a far sì che il nostro essere conosca, e da questa conoscenza migliori, se stesso, solo l’apertura a ciò che è alterità può costituirci e ridonarci, il nostro vero io!

Un altro aspetto che mi ha piacevolmente incuriosito è il sabir, la lingua che utilizzano Stefano, Barbara e la Piccola Banda Ikona per i loro testi.
Questa lingua è l’unione di spagnolo, francese, arabo ed italiano e veniva utilizzato nei porti del Mediterraneo per gli scambi commerciali, per far sì che popolazioni diverse, quindi con lingue diverse, potessero comunicare tra loro.
Una lingua di unione, appunto, che nonostante la difficile comprensione, per chi come me era la prima volta che vi si accostava, risulta subito essere una lingua calda, una lingua che accoglie e che avvicina, che unifica, una lingua, che pur non conoscendola possiamo comprenderne il senso: “la diversità non ci deve spaventare, anzi alla diversità dovremmo accostarci con la passione e la libertà che nulla come la musica sa esprimere”.
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