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Ecologia del vivere: i luoghi dell’anima e la loro memoria

Albergo-museo Al Plan – S. Vigilio di Marebbe
Di Stefania Taruffi

Hotel Museo Al Plan
Hotel Museo Al Plan
A volte capita d’imbattersi in un luogo che cattura l’anima e allora, il tempo si ferma e anche noi rallentiamo, rapiti da piccoli dettagli che rievocano il passato e rendono autentico il presente. E in quel luogo ritroviamo le cose di una volta, che sembrano aver fatto parte della nostra vita da sempre: volti, vite, usanze, oggetti, sentimenti, valori. Sono dei luoghi senza tempo, come l’albergo-museo Al Plan, di Maurizio Trebo e della moglie Teodora, ai piedi del Plan de Corones, a S. Vigilio di Marebbe (BZ).
Maurizio, cresciuto con i nonni che l’hanno “messo sui binari, dai quali è impossibile deragliare” ha imparato da loro i valori familiari, una filosofia di vita semplice e positiva, la capacità di sorridere e amare la vita: “Dopo la pioggia, la neve e il vento, torna sempre il sole”. Ha proseguito l’attività di famiglia creata nel ’72 dai genitori, arricchendola di intima familiarità e trasformando la ‘Pension’ Al Plan, in’Hotel’. Un passaggio che ha aumentato i comfort della struttura, senza diminuire il carattere familiare dell’accoglienza. Anzi Maurizio, il giovane successore, dotato di grande sensibilità, è riuscito a dare un tocco diverso all’albergo, trasformando la ‘casa‘ in una ‘casa museo’, un vero e proprio museo della memoria. Da trent’anni, infatti, lui e la moglie collezionano oggetti antichi. Ma non sono oggetti qualunque. Ogni angolo del loro albergo è una piccola e delicata finestra sul passato. Un passato di cui bisogna tenere memoria. Oggetti dal valore intrinseco, poiché intrisi di dedizione e cura, come solo gli artigiani di un tempo sapevano mettere nel loro lavoro.
572475351bNe sono testimonianza i tappi di bottiglia intagliati a mano, acquistati in giro per le Valli delle Dolomiti, che ormai nessuno più realizza. “Il lavoro che c’è dietro un tappo non ha prezzo” spiega Maurizio “Se pensiamo a quanti mesi un artigiano impiegava per fare un tappo, con i costi della manodopera di oggi, quanto dovrebbe valere questo tappo?”. Infatti, non se ne trovano più, in questo mondo di produzioni a basso costo e a basso valore. Mi cattura l’angolo dello sciatore, con i vecchi sci di legno, i pattini da ghiaccio. Abbasso lo sguardo e le valigie d’epoca mi ricordano viaggi lontani. E riecheggia il racconto di Maurizio di quando “il nonno andava a prendere i bauli dei clienti alla stazione”.
Mentre assaporo le deliziose marmellate fatte in casa dalla mamma ultraottantenne di Maurizio, delizia al palato fatta di mirtilli, fragole e albicocche, sul pane di segale fragrante come mai ne ho assaporati, il proprietario mi spiega che “il pane non va mai buttato”. Loro lo riutilizzano in vari modi, come facevano una volta, per farne pane grattato, canederli o zuppe. “Il pane è sacro”. Come dargli torto, guardando la grata di legno sistemata sulla parete di un corridoio, dove il pane adagiato su fessure distanziate prende aria per mantenersi per molti giorni. Che dire, mi son sentita a disagio, pensando a quanti chilogrammi di pane butta via la nostra società consumistica, così tanti che basterebbero a sfamare intere popolazioni. Alzo gli occhi, e nella sala da pranzo troneggiano a decine i macinacaffè di ogni epoca e forgia.
Altri tempi. E risalendo le scale di legno non sfuggo al tempo passato. A Kuriosita__776_ten_01 (1)ricordarmelo decine di orologi a muro, a pendolo, comtoise francesi della Borgogna del ‘700, orologi a pendolo dell’800, tutti fermi a un’ora diversa. Uno solo di questi, rintocca ogni ora, riportandoci al presente. Salendo le scale fino alle suite, mi guardano con sospetto le maschere della Val di Fassa, austriache tedesche, ampezzane. Molto meno rassicuranti quelle del piano di sotto, che sembrano uscire dalle pareti con il loro ghigno, accanto ai forconi dei contadini. Campane e mobili d’epoca mi conducono verso un’antica cantina, fedelmente riprodotta con oggetti d’epoca.
Cose semplici” spiega il proprietario “perché l’oro i clienti lo lasciano a casa”. Mentre scrivo nella sala della musica, si ergono maestosi dietro di me un vecchio basso e antichi strumenti musicali messi a tacere, ma vibranti di storia. Quasi come quel pianoforte a coda, che sosta silenzioso in un angolo. Tacciono in eterno riposo anche i Jagdstube_02trofei di caccia nella Stube a loro dedicata, mentre tazzine da thè d’epoca, merletti e scatole antiche, fanno capolino da una vetrina. E ancora cappelli, vestiti d’epoca, pipe antiche. Tutto è curato in questo luogo. Ogni dettaglio fa riemergere vita e memoria. E la sera, davanti alla grappa al mirtillo, Maurizio ci racconta di suo ‘figlio adottivo’, Hubert, ultraottantenne. Vive da solo in una grande casa del ‘600. Non si è mai sposato, non ha figli e pertanto non è stato toccato dal progresso. Non sente il bisogno della televisione, non legge i giornali “che portano solo brutte notizie”, si riscalda col fuoco del camino e vive con 530 euro al mese di cui 100 euro sono destinati al mangiare dei gatti. Spesso, pagate le bollette, gli avanza anche denaro. Riscalda a legna solo la stanza dove vive e lava accuratamente tutte le scatole di latta da mettere al riciclo, perché “bisogna fare le cose per bene”. Sa aggiustare qualsiasi cosa rotta, senon si trova in giro una vite, se la fa da solo al tornio, ci mette tempo, ma non importa. Qui ci si prende il tempo che serve per fare le cose. D’altronde qui “ci vuole tempo per fare qualsiasi cosa, siamo lontani dalle città dove approvvigionarsi perciò, spesso, ci si arrangia da soli”. In alcuni posti il tempo è relativo. Trascorre, ma ogni tanto lo si ferma. Lo fermano il freddo, le distanze, il ridimensionamento dei bisogni. Ed ecco che si assapora la ‘qualità della vita’, la lentezza, il gusto delle piccole cose. Una chiacchierata con gli ospiti curiosi, uno sguardo ai cristalli di neve, mentre i figli, i vivaci Max e Moritz, che portano i nomi dei ragazzini dispettosi della crudele storia in versi di Wilhelm Busch, fanno un servizio fotografico ai loro nuovi caschetti da sci. Quasi non ti viene più di uscire in paese la sera, fa freddo. E davanti al camino con questi racconti, qui, ci si sente come a casa!
Riecheggiano le parole sagge di Maurizio: “La contentezza è la più grande ricchezza. Ogni giorno va salutato con gioia. Anche lavorare deve essere un piacere. Se il lavoro che si fa non dà soddisfazione, bisogna cambiarlo! Io amo il mio lavoro. E oggigiorno tutti vogliono laurearsi, mentre alcuni mestieri non li vuole fare più nessuno. Mestieri in cui serve l’abilità manuale, spesso tramandata nelle generazioni. Come quella dello spazzacamino, un mestiere importante! Qua ce ne è uno solo che serve tutte le Valli….!!!”. Sorride e posa sul tavolo la spazzola e il cappello da spazzacamino, dal quale si è travestito per festeggiare la sera di capodanno: “Lo spazzacamino porta fortuna, spazza via i problemi dell’anno vecchio!” spiega Maurizio. Noi ce lo auguriamo tutti! Spazziamo via le cose negative! Tratteniamo quelle positive, tra cui la memoria. Perché come dice Gabriel Garcia Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. E la famiglia Trebo, la racconta in questo modo speciale.

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