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Merci Madame de Florian

di Lidia Monda
Ci sono giorni che nascono fortunati. Magari vieni al mondo a Parigi e vivi un’intera vita grama da ufficiale giudiziario del nono arrondissement e ti tocca in sorte una realtà nuda e apatica, come un film senza trama e senza eroi. Questione di karma o malasorte ti sarai detto mille volte, solo che poi, in un giorno nato fortunato, capita di aprire una porta e scivolare per davvero giù nella  tana del bianconiglio,  in un appartamento intatto per settant’anni, fermo al 1942. appartamento-parigi5
L’appartamento di M.me de Florian, per l’esattezza. Lei, attrice e socialista aveva lasciato quella  casa in fretta e furia, per sfuggire ai nazisti e alla guerra incombente. Muore nel 2010, a 91 anni nel sud della Francia, lontana  da quella sua residenza, che pure aveva adorato e continuato a pagare, anno dopo anno, in memoria di chissà quale pegno, di chissà quale ricordo,  amandola a distanza senza farvi però mai più ritorno. La immagino, magra e impaurita, stretta nella silhouette elegante di una gonna sotto il ginocchio, chiudere quella porta alle sue spalle, non ancora al  sicuro,  incapsulando nel tempo un mondo, un’epoca, un momento struggente e precario, regalandoci una passaporta temporale imbiancata di  polvere. E l’ufficiale  fortunato di quel nono arrondissement dovette provare la stessa emozione che provò Howard  Carter quando aprì la tomba di Tutankhamon, anzi meglio, perché nessun altro prima l’aveva violata la maison de Florian, se non la paura e lo spettro di una guerra che ridefiniva la scala delle priorità. E proprio in questo sta la sua poesia. In quella precarietà sospesa, i quadri a terra, un drappo di seta su uno struzzo impagliato, un mickey mouse poggiato per terra. Il quadro.  Il pezzo forte che verrà battuto all’asta a più di 2 milioni di euro. Un ritratto che il maestro Boldini dipinse, invaghito della nonna Marthe de Florian e del suo candido decolté, eterea, sensuale, inebriante di giovinezza fin de siècle. E poi la toletta. E’ un decalogo di arte seduttiva, una spa d’altri tempi e altra memoria. Boccette di profumo, spazzole con il dorso inciso, candele e un orologio che ha cessato di battere alle nove e mezzo di un giorno imprecisato di questi settant’anni, la  cristallizzazione di una goccia in un lago. Un angolo di bellezza dormiente, sleeping beauty.
appartamento-parigi4Brilla l’assenza, che racconta la scenografia di uno stato d’animo. È questa imperfezione frettolosa che fa la differenza, e rende l’appartamento un quadro vivente, così simile a un set cinematografico. Una  natura morta che trasuda ansia  e approssimazione, la voglia di essere subito altrove, l’istantanea di una  fuga. Consegnata al tempo affinché ci  raccontasse la fretta struggente di quegli istanti convulsi, la  definizione del superfluo, di tutto ciò che è stato lasciato lì, ripromettendosi di recuperarlo non appena la guerra fosse finita, quelle bugie disperate dette a se stessi negli ultimi istanti in cui la guerra ti strappa a morsi la tua vita di sempre, costituendosi muro impenetrabile tra un prima e un dopo. L’indurimento del cuore sarà passato anche per questo: l’attaccamento prima e il distacco poi dai piccoli oggetti quotidiani, prima di perderne completamente memoria, incenerito da perdite maggiori. In un mondo ideale, lì dove anche la polvere  damascata  conserva il senso del sospeso temporale, io avrei chiesto scusa del disturbo e lasciato dormire ancora un po’. Ma tant’è.  Tout casse, tout passé, tout lasse et tout se remplace, dice un vecchio proverbio francese, tutto si rompe, passa, stanca, e tutto viene poi rimpiazzato. E forse quella sospensione dinamica e quell’ansia per un futuro incerto, per quell’onda nazista, ingiusta e minacciosa che si stagliava all’orizzonte, doveva esser poi liberata. Bisognava, a un certo punto, aprire le finestre che Madame de Florian aveva gelosamente continuato a tener chiuse, bisognava completare quella plastica torsione alla fuga che era stata bloccata per troppo tempo. Allentare la  stretta del ricordo, lasciare che il tempo riprendesse a fluire dolcemente superando questa strozzatura , consentire ai ciottoli del quotidiano di accavallarsi l’un l’altro a formare un nuovo greto. E sia. Ma allora, per tutte le lezioni che questa incredibile storia abbia voluto insegnarci, e  per tutte le domande irrisolte che questa vecchia signora francese ci ha regalato, consentendoci di sognarci su,  non riesco a far altro che a formulare un pensiero: au revoir, Madame de Florian, e merci, merci beaucoup.

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