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Teorie e aporie sull'Universo

Corpi Celesti

Di Mariano Colla 

E’ ormai prossima l’apertura del Festival della scienza di Genova, ricco, come sempre di iniziative culturali, interventi di scienziati, attività per ragazzi con ingegno. Tra i temi previsti, non mancherà qualche discussione sull’universo e, allora, mi viene in mente quanto sostiene il celebre scienziato inglese Stephen Hawking, già noto al grande pubblico per avere scritto, tra l’altro, Dal big bang ai buchi neri, nel suo ultimo  libro The Grand Design: «non è necessario invocare l’intervento di Dio per accendere l’interruttore e far partire l’universo. La creazione spontanea è la ragione per cui le cose esistono invece del nulla, per cui esiste l’universo, per cui esistiamo noi. Dato che esiste la legge di gravitá, l’universo può crearsi da solo, dal nulla».

Non ho letto il libro, ma già la premessa mi ha fatto riflettere su uno dei tanti “busillis” della fisica, pur visti da un uomo comune. Azzardando un parallelismo tra il macrocosmo e il microcosmo subatomico, le certezze che Hawking manifesta a livello cosmico, non sono riscontrabili nel mondo delle particelle dove, al contrario, si manifestano indeterminatezze che la fisica dei “quanti” ha portato con sé dalla sua nascita, avvenuta circa un secolo fa, grazie a  fisici quali Planck, Bohr, Heisenberg, per citarne alcuni. In questa microscopica parte del mondo tutto si regge ancora, in buona misura,  su caso e incertezza. Il cosmo di Hawking non si identifica  con un mondo in cui “il caso”, assoluto e oggettivo, entra legittimamente a far parte delle leggi fisiche e nel quale una particella, o oggetto quantistico, può tranquillamente trovarsi, nello stesso istante, in posti diversi, in una dimensione ondulatoria o corpuscolare.

Se Hawking può affermare che  un “Gran Progettista” non ha dato il là a tutto ciò che ci circonda, perché la forza di gravità della fisica newtoniana  ha regolato da sempre  i pianeti, le stelle, le galassie, l’universo, tale affermazione è più problematica nell’infinitamente piccolo, dove, tuttora,  regna l’indeterminato, il probabilistico, il casuale. Nel mondo subatomico aleggia ancora una buona patina di mistero che oscura le eventuali volontà di “entità superiori”, e ciò a distanza di molti anni da quando Einstein pronunciò la famosa frase “Dio non può giocare a dadi”, riferendosi agli enigmi della meccanica quantistica, che lasciava allora, come oggi,  inevasa  la risposta alla domanda sul perché il mondo dei quanti non desse le certezze della fisica tradizionale. 

E’ una domanda a cui solo il tempo, con le continue irruzioni di nuove tecnologie, può dare risposta? Non lo possiamo dire. Alcune teorie, come quella “delle stringhe” stanno facendo passi avanti per giungere a una “teoria del tutto”, ma alcune barriere concettuali sembrano porre problemi irrisolvibili. Il primo effetto di una rivoluzione scientifica è di rendere più fragili le nostre certezze. Nella storia della scienza ciò è  sempre avvenuto, ma la fisica quantistica,  a differenza di tutte le teorie che l’anno preceduta, non dà certezze, ma ci pone di fronte a una concezione probabilistica del mondo. Essa  non descrive gli eventi, i loro rapporti e dove l’evento succede, indipendentemente da noi,  come avviene nella fisica classica a noi più familiare,  ma afferma che l’evento accade solo in relazione alla nostra possibilità di rivelarlo o prevederlo, in modo del tutto probabilistico, appunto.

L’uomo è co-responsabile dell’ordine dei fenomeni quotidiani. E’ una situazione in cui sussiste la libertà di imparare a essere nell’incerto, nell’infondato. I paradossi, nella fisica quantistica, emergono perché essa non descrive il mondo ma i nostri rapporti con il mondo. In essa non c’è fondamento,  ma solo relazioni tra fenomeni ed è, forse, anche per questo che la teoria è stata contrastata da molti fisici, a partire dallo stesso Einstein che, pur ritenendola il formalismo migliore per spiegare la fisica subatomica, cercò di metterla in discussione, perché contraria alla sua concezione di un universo unificato, in tutte le sue dimensioni, con regole chiare e incontrovertibili.

Il fisico R. Thom sosteneva che  la fisica quantistica era uno scandalo intellettuale, perché si  accettava di non capire. Tuttavia, ben prima di lui, Pascal, subito dopo Galileo, diceva, in relazione a una visione matematica della scienza,  “accettiamo regole relazionali e meno fondamenti”. Kant non conosceva la fisica quantistica ma nel dire “la realtà in sé rimane consegnata all’inconoscibiltà”, anticipava un altro aforisma di Jacques Maritain: “la Verità con la V maiuscola che mai vuol dire? Quid est Veritas: dobbiamo riconoscere che quel procuratore vedeva giusto e che era anzi all’avanguardia. Bisogna mettere solo minuscole ovunque. Tutto è relativo, ecco il solo principio assoluto”.

Le considerazioni dei grandi filosofi non si limitavano solo agli aspetti fisici della materia, o del mondo delle particelle, peraltro poco noti in quel periodo. Tuttavia, non si può negare che le indeterminatezze della fisica quantistica, la relatività di Einstein, il teorema di Godel hanno contributo, nel campo scientifico, a far cadere i fondamenti  che erano alla base dei presupposti di una filosofia  occidentale, alla continua ricerca di “universali”, riferimenti ontologici per l’intera umanità.

La filosofia post-moderna ne  ha certamente risentito. Si parla, oggi,  di “pensiero debole”, cioè di un  particolare  sapere caratterizzato dal profondo ripensamento di tutte le nozioni. In tale prospettiva i valori tradizionali, maturati in  precise condizioni storiche,  oggi non sussistono più; per questo motivo deve essere messa in crisi la loro pretesa di verità. Si riscontra una certa perdita del fondamento a favore di un più diffuso  relativismo.

Hawking ha sicuramente la capacità intellettuale per affermare ciò che ha affermato. L’estendibiltà del suo credo all’intero universo, in tutte le sue manifestazioni, dalla gigantesca galassia, al minuscolo neutrino, rimane tuttora nell’area dell’inconoscibile, area in cui ancora nessuno può affermare con certezza ciò che esiste e ciò che non esiste, a meno che non abbia fede, ma questa è un’altra storia. 

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