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Cymbeline. Non sempre si riesce ad attualizzare Shakespeare

di Caterina Ferruzzi
Adattare per il cinema un mostro sacro come Shakespeare è un’impresa davvero delicata e per nulla semplice. Molti ci hanno provato, ma pochi hanno avuto effettivamente successo. Se poi la trasposizione prevede un’ambientazione contemporanea si gioca davvero con il fuoco, rischiando di farsi male. cymbeline-poster
Ed è proprio quello che è successo a “Cymbeline”. Il regista Michael Almereyda e gli sceneggiatori puntano troppo in alto e finiscono per massacrare un’opera di Shakespeare che, per quanto poco nota ai più, non meritava certo di essere trattata in questo modo.
L’intreccio è l’unica cosa che ci fa assaporare il mondo del bardo inglese. Gli ingredienti infatti che compongono questa storia sono quelli di tante sue opere famose. Ci sono due giovani innamorati, che però appartengono a due gruppi antagonisti e per questo non possono stare insieme, un re bellicoso, una regina cattiva e una pozione magica. Ingredienti noti che vanno poi conditi con l’equivoco, la vendetta, la morte e il ravvedimento finale.
Una vera e propria summa di “must” shakespeariani che, come in un antologia, vengono qui proposti in un’unica soluzione.
Una trama tutto sommato molto semplice, che fa piacevolmente ritrovare il già noto, mantenendolo inalterato, ma inserendo questo in un contesto estraneo all’idea originale.
Fin qui tutto bene se non fosse che nel “Cymbeline” presentato alla 71° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non si fosse pensato di prendere gli ingredienti dell’opera e unirli ad elementi della modernità in un frullato kitch poco piacevole da gustare.
Non scandalizza tanto re Cimbelino con il chiodo o il tablet utilizzato da Iachino per mostrare a Imogene le prove, seppur contraffatte, del tradimento dell’amato. Ciò che spiazza e che decreta un risultato non soddisfacente di questa pellicola è in realtà il non aver osato abbastanza.
Non si aderisce all’ambientazione originaria, rifacendo vivere le atmosfere descritte, ma nemmeno si tenta di stravolgere in modo radicale ed intelligente l’opera.
Alla fine il film si rivela un’occasione mancata che si regge, anche se flebilmente, sulle interpretazioni attoriali, sulle quali non c’è nulla da eccepire. Tre infatti i nomi di richiamo di questa pellicola, Milla Jovovich, Ethan Hawke e Ed Harris, tre certezze in un non ben definito e definibile contesto.
Se avete intenzione di vedere questa pellicola, in uscita il prossimo anno,  non pensate dunque di vedere qualcosa di simile ai lavori di Kenneth Branagh, Orson Welles o Baz Luhrmann.
Troverete un modo differente di “trattare” la materia shakespeariana e questo potrà piacere ad alcuni e far inorridire altri.
La critica, solitamente, arriva fino ad un certo punto, perché poi, si sa, è il pubblico a decretare il successo di un film in base al numero di biglietti staccati al botteghino.

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