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Diario di Bordo di una Scrittrice Emergente – Il Laboratorio di Scrittura Rai Eri

Terza puntata: la rivincita delle Barbie
Di Kristine Maria Rapino
Paris Hilton ha le doppie punte.
Più un serio problema di ricrescita. Capelli bianchi. Capelli bianchi ovunque. E qualche punto nero.
Immaginiamo se questa notizia dilagasse sui tabloid e facesse il giro di mezzo mondo. Forse qualcuno – certamente io, l’accoglierebbe con un ghigno sadico e soddisfatto. Ma c’è da dire che questa sua improvvisa discesa dall’Olimpo delle Barbie la farebbe sicuramente sembrare più fragile, più indifesa. In definitiva, più umana. E accidenti, ho paura a dirlo, ma potrebbe addirittura risultare simpatica.
Perché la perfezione non attrae. È la contraddizione a rendere un personaggio davvero irresistibile. Troppo bello, troppo bruno, troppo attraente, troppo palestrato. Non funziona. A meno che non sia un Harmony, l’alieno rosa che si annida come un bacherozzo schiacciato tra l’elenco telefonico e la collezione di Topolino. Tutti ne abbiamo uno, ma nessuno lo ammetterà mai. In quel caso, avrebbe un suo perché. Ma nella vita di tutti i giorni, solo il tempismo è cinicamente perfetto. Quando spuntano pedalini bucati sull’alluce nel negozio di scarpe, o decorativi herpes labiali nei giorni di festa. Una volta che perfino l’idraulico ha disatteso brutalmente le aspettative femminili, esiste una sola strategia possibile: innamorarsi dei difetti. E detestiamo chi non ne abbia. Siamo seri. A quale donna sana di mente interesserebbe passare una notte d’amore con Johnny Depp?
A me, senza dubbio. Solo alla terza lezione al Laboratorio Rai Eri di scrittura creativa l’ho capito. Che l’invito alla ricerca di contraddizioni era rivolto soprattutto a me. Perché come tutti i personaggi, anch’io sono piena di difetti. E quindi, affascinante. Innegabilmente. Josh Emmons, romanziere americano, afferma: «I personaggi più affascinanti vogliono qualcosa. […] Vogliono quello che non hanno, o che credono di non avere. E i loro sforzi per ottenerlo li rendono interessanti e coinvolgenti».
Al termine della prima settimana di convivenza forzata con il mio personaggio, tra furiose liti per il possesso del telecomando e manicaretti riconciliatori, comincio a capire davvero cosa vuole: comprare un’isola nella laguna di Bora Bora e vincere la padella delle crepes con i punti della Coop. Lo so. È una contraddizione, il che potrebbe concorrere a renderlo più intrigante. Ho provato lo stesso a ridimensionare le sue aspettative, ma pare irremovibile. È rivestita in ceramica.
I personaggi, dunque, sono imperfetti. Come noi. Occorre scoprire quando una persona lascia trapelare le sue debolezze. E non serve scomodare un agente dell’intelligence. Basta un bravo scrittore. O più semplicemente, qualcuno che ami osservare. Nelle stazioni, nei parchi, nei bar, nelle riunioni di condominio. Dai buchi della serratura o dalle finestre lasciate aperte al primo piano. Nascosti, o alla luce del sole. Purché si osservi. Tanto. E ovunque. Nell’armadio in cantina e nel baule del corredo. Tra le bollette della luce e la biancheria di capodanno. È una scrittura ginecologica, un’indiscrezione autorizzata.
Perché lo scrittore è un eroe popolare con l’animo del generoso fuorilegge. Ruba ai ricchi per dare ai poveri. Immagini e sentimenti. Avventure e storie d’amore. A metà tra un bandito romantico e un impenitente voyeur. Peccato che non indossi la calzamaglia.
Dunque…
P1070620 (2)Stiamo lavorando sull’importanza di conoscere a fondo il motore che spinge il personaggio ad agire nella situazione narrativa. Ovvero, il desiderio che lo anima. È quello con cui tutti gli scrittori devono fare i conti.
L’universo narrativo è una lente d’ingrandimento. Questo vuole dire che mentre noi siamo persone ricche di sfumature e viviamo situazioni estremamente variegate, per un personaggio narrativo bisogna mettere in luce soltanto alcuni punti dominanti. La narrativa è proprio questo: eliminare dalla quotidianità ciò che non interessa e far vedere soprattutto alcuni aspetti, escludendone altri. Un caso su tutti: non sapremo mai qual è stata l’infanzia di Lucia Mondella. Forse neanche ci interessa. Eppure, sappiamo che Lucia aveva estrema fiducia nella giustizia complessiva e nella realtà soprannaturale. Questo sì che è importante. Il suo comportamento viene di conseguenza. Non la sentiremo mai bestemmiare, o perdere completamente la fiducia, perché il suo carattere è stato concepito intorno a quel perno. Di un personaggio dobbiamo individuare l’aspetto che ci interessa di più, in funzione del punto di vista. Tante cose non le sapremo mai, perché lo cogliamo in quel momento, in quella situazione, per quel determinato arco di tempo.
Ma cos’è che rende un personaggio irresistibile? Jennifer Regan risponde: «A mio modo di vedere sono le contraddizioni, gli aspetti inconciliabili della personalità. La coerenza è letale per caratterizzare il personaggio, come lo è per le persone vere». Quest’aspetto è molto evidente nel racconto ‘La casa di Asterione’ di J. L. Borges. Di personaggi contraddittori il panorama letterario è pieno. Ad esempio Dorian Gray, scisso tra la vita e la morte; o Fra Cristoforo, uomo di pace ma con un grande furore. Il personaggio deve avere qualche contraddizione. Capiamoci. Un bacchettone non piacerebbe a nessuno. Neanche se lo interpretasse Johnny Depp.
Un personaggio è reso irresistibile dal suo desiderio. Come Don Abbondio, odioso all’apparenza, teso a preservare se stesso, ma con un desiderio di non essere toccato dalla vita che è talmente forte da renderlo irresistibile dal punto di vista narrativo. Occorrono, in due parole, verosimiglianza e imprevedibilità. Uno scrittore afferma: «Odio leggere di noiosissimi personaggi tipici che dicono cose prevedibili, generiche e che non sembrano vere. La lingua di un personaggio deve rivelare la sua personalità, e questa personalità deve rivelare caratteristiche umane peculiari. […] Ma il personaggio non diventa affascinante finché […] l’idea diventa organica, fatta di carne. Per me è una faccenda di “incarnazione”, di provare davvero a scivolare sotto la pelle del personaggio. Se un personaggio non è vero per lo scrittore, ma come potrebbe esserlo per il lettore?» Questo vale per il personaggio, ma anche per tutto il resto. Se la storia che racconti non è vera per te, non lo sarà mai per chi la legge. Ecco la domanda da porsi: è credibile questo personaggio? Lo sarà solo se sappiamo che cosa vuole e quali sono le sue contraddizioni.
Per imparare a costruire un personaggio con queste caratteristiche ci vuole allenamento. Perché è vero che la scrittura non s’insegna e non ci sono tecniche, ma è vero anche che è frutto di allenamento. Significa osservare con attenzione le persone per scoprirne le contraddizioni, collegare fatti che apparentemente sembrano senza nessun legame. Guardare una persona e chiedersi che infanzia abbia avuto. Abituarsi a cogliere dal particolare il senso della realtà In altre parole, imparare a leggere le contraddizioni. Ogni atteggiamento voyeuristico è quindi lecito.
A questo punto, cerchiamo di vedere se i nostri personaggi hanno queste caratteristiche e se ce l’ha il testo.
Chiediamoci sempre: qual è il desiderio, qual è lo spazio, quale il tempo. Sono le coordinate più importanti. Fondamentale per la credibilità è la visualizzazione, cioè conoscere perfettamente lo spazio in cui si svolge l’azione. Occorre innanzitutto operare una distinzione tra racconto verisimile e racconto surreale. Il racconto verisimile è un racconto immaginario, una costruzione della fantasia, in cui non si rompono le leggi fisiche, naturali e psicologiche della realtà. Per intenderci, non ci sono, gatti che volano. Il racconto surreale, invece, è quello in cui s’infrangono le leggi naturali. Per cui un uomo può stare tranquillamente in una scatola, può fumare immerso nell’acqua, può volare. È interessante notare che anche lì dove s’infrangono le leggi naturali, nel racconto surreale, la dimensione spazio-tempo viene comunque mantenuta. Come in un quadro di Magritte. Poi, pensiamo al tempo. In tutti i tempi narrativi, esisterà sempre un prima e un dopo. La bravura di uno scrittore è far capire al lettore, con pochissimi accenni, anche quello che accade prima della narrazione, apparentemente non detto.
Questo ci porta a ragionare su un’altra cosa: che cos’è un racconto e che cos’è un romanzo? Sono due disposizioni diverse, due motivazioni differenti. Perché tu riesca in poche righe a raggiungere il senso del racconto, devi saper omettere. Il racconto è una narrazione che tende ad arrivare, con meno passaggi possibili, al senso di quella situazione. Se avessi voluto farne il romanzo, la finalità non sarebbe stata quella di arrivare al senso nel modo più diretto possibile, ma capire il percorso che si fa. Paola Gaglianone utilizza un interessante paragone: «Il racconto è come andare al santuario di Santiago de Compostela in aereo. Il romanzo è come andarci in pellegrinaggio. Sarà sicuramente diverso». Quando scrivi un racconto spesso sai cosa sta per succedere, la fine è visibile. Ti costringe a un’attenzione maggiore. È più serrato, conciso, e si può scriverlo anche con le normali distrazioni della vita, mentre il romanzo richiede un impegno maggiore. Diciamo questo: il racconto è come un appuntamento, il romanzo è come un matrimonio. L’esempio ci sembra illuminante. Ci sono tanti scrittori che dicono di non avere la dimensione del racconto, ma solo quella del romanzo. Borges, ad esempio, non ha mai scritto un romanzo. Isabel Allende ne parla nel suo sito web, nella sezione dedicata alle domande più frequenti che le rivolgono i lettori. È molto interessante, secondo me, dargli un’occhiata: http://www.isabelallende.it/index.php?id=190
Ora che abbiamo tutte le coordinate, possiamo costruire l’incipit di un racconto o di un romanzo. Si tratta del DNA della narrazione, l’embrione in cui c’è già il progetto. Perché abbiamo stabilito tutto: chi è il protagonista, in quale spazio si muove, in quale tempo, chi è la voce narrante e che rapporto ha con quella situazione. «L’incipit è una porta che si spalanca in una casa di cui subito si riconosce l’atmosfera, il clima, il mobilio», spiega Paola Gaglianone. Per dirla alla latina, si deve entrare in medias res.
Non significa, però, che quando si comincia a scrivere si abbia già chiaro tutto. Sull’incipit si torna varie volte, nei vari passaggi di revisione. Il primo incipit non si scorda mai. Eppure, quasi sicuramente non sarà convincente. Dopo l’incipit, si prosegue con il resto della narrazione. Ma prima occorre rispondere alla domanda che ormai ci perseguita: quel personaggio che cosa vuole? A volte occorre molto tempo per rispondere. Eppure, ci deve essere un momento in cui la situazione si definisce. Può essere utile leggere il racconto «Percezioni finissime» di Robert Musil, tratto da ‘Pagine postume pubblicate in vita’.
Questo è il punto. Nel racconto ci deve essere un’evoluzione, un percorso narrativo. Si chiama climax: l’arte del raccontare è estremamente simmetrica. Ci vuole ritmo. Perché la vita non è mai piatta, per nessuno. Neppure per una mosca. Forse, e dico forse, neppure per Paris Hilton.
Il testo del racconto ‘La casa di Asterione’ di J. L. Borges è disponibile online al link:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1943
Il testo del racconto «Percezioni finissime» di Robert Musil è disponibile online al link:
http://www.sagarana.net/rivista/numero9/narrativa2.html

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