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Tutti i futuri del mondo alla 56° biennale d’arte di Venezia

di Caterina Ferruzzi
Apre il 9 maggio al pubblico la 56° Esposizione Internazionale d’Arte, ma già da qualche giorno le due sedi espositive della Biennale di Venezia sono aperte per la preview dedicata alla stampa proveniente da tutto il mondo. La 120° edizione di una delle più famose manifestazioni dedicate all’arte prende il titolo “All the World’s Futures” ed è curata da Okwui Enwezor.

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“Eat Death” di Bruce Nauman (1972)

Dopo il tema della percezione nelle “ILLUMInazioni” di Bice Curiger e l’osservazione delle forze interiori che spingono l’uomo e l’artista a dar vita alle rappresentazioni voluta da Massimiliano Gioni, ecco al centro dell’attenzione il rapporto tra l’arte e lo sviluppo della realtà umana, politica e sociale dell’attuale momento, ovvero in questa “age of anxiety”.
Di grande impatto sono entrambi gli ingressi delle due sedi espositive. All’Arsenale, presso le Corderie, il pubblico è accolto da un messaggio forte ed inquietante con le opere di Bruce Naumen e Adel Abdessemed. Quest’ultimo presenta, sparsi a terra, bouquet di coltelli conficcati al pavimento che, integrati con le scritte composte da tubi al neon di Naumen, appese alle pareti, ci rammentano il momento di terrore e minaccia di violenza che attualmente nel mondo si percepisce.
Il Padiglione Centrale ai Giardini invece accoglie il visitatore con una facciata dalla quale pendono lugubri stracci neri, così come si erano visti lungo il corridoio che fiancheggia esternamente le Corderie dell’Arsenale.
Spettrale dunque l’impatto ed emozionante “Il muro Occidentale o del Pianto” di Fabio Mauri, una vera e propria parete di quattro metri d’altezza composta interamente da valigie a ricordare i deportati ad Auschwitz, ma anche qualsiasi viaggio senza ritorno. Opera del 1993, ma tristemente attuale. A rendere l’ambiente ancora più carico di significato ci sono alle pareti disegni dello stesso Mauri, che riportano, creando una sorta di eco visivo, la parola “fine” ovunque e una scala che sale verso il soffitto, ma che bruscamente termina con un listello che ribadisce con un “The end” il tema di questo primo ambiente.
La mostra centrale “All the Word’s Futures” si sviluppa dunque tra le Corderie dell’Arsenale e il Padiglione Centrale ai Giardini, offrendo al visitatore molte opere spesso interessanti. Anche se non si è critici o veri esperti d’arte è possibile percorrere gli spazi espositivi lasciandosi semplicemente trasportare dalle emozioni evocate dagli artisti attraverso suoni e colori.
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“Urban Requiem” di Barthélémy Toguo (2015)

Tra le opere che maggiormente colpiscono c’è “Animitas”, opera di Christian Boltanski, istallazione video che vede in mezzo al deserto di Atacama (Cile) una distesa di campanelle giapponesi che tintinnano interrottamente cullate dal vento. Katharina Grosse con un compressore e una pistola spray crea invece un’opera tridimensionale di grandi proporzioni attraverso la quale il visitatore passa abbagliato dai colori spruzzati su enormi tendaggi e su cumuli di terra.
Sempre alle Corderie troviamo, attaccati ad una parete, i messaggi stampati di Barthélémy Toguo e possiamo vedere le grandi matrici di questi sistemate su scaffalature che riempiono lo spazio antistante questo muro. “Urban Requiem” è il titolo di questa opera che attraverso timbri di legno e gomma, che ricordano dei busti umani, dà voce ai messaggi di coloro che son vittime dell’ingiustizia.
Non può non rimanere impressa nella memoria del visitatore l’opera “The Portrait of Sakip Sabanci” dell’artista e regista turco Kutuluğ Ataman, un vero e proprio omaggio al magnate e filantropo Sabanci, morto nel 2004. Una pannello a cristalli liquidi a forma di onda è appeso al soffitto e riporta in foto formato tessera i volti di coloro che hanno conosciuto Sabanci. I ritratti non sono immagini fisse, ma cambiano un po’ alla volta se si osservano attentamente le diecimila immagini.
Non ci si può certo non fermare poi davanti alla grande arena ricreata all’interno del Padiglione Centrale ai Giardini dove per tutta la durata della mostra un paio di attori leggeranno, ininterrottamente, “Das Kapital” di Karl Marx, con un supporto video dove possono essere lette le parole del testo declamato.
Simpatica e accattivante è “The Probable Trust Registry” dello statunitense Adrian Piper, una performance interattiva dove si ricrea uno spazio aziendale con tre desk e altrettante impiegate a disposizione dei visitatori che possono scegliere di firmare delle dichiarazioni in cui promettono la propria responsabilità morale verso se stessi e gli altri. Tre le possibilità di scelta sulle quali “impegnarsi”: “I will always be too expensive to buy”, “I will always do what I say I am going to do”, “I will always mean what I say”.
Queste sono solo alcune delle opera della mostra centrale, a queste infatti devono essere sommati i lavori presenti nei singoli padiglioni nazionali tra Arsenale, Giardini e in giro per Venezia.
Se amate l’arte o vi interessa saperne di più di questa 56° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia seguiteci nei prossimi giorni per proseguire il viaggio con noi!

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