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Zaini grandi e bimbi piccoli: il sovraccarico delle aspettative

di Daniela Rossi
 
Ci deve essere un senso nascosto dietro una sproporzione così evidente come quella che si osserva fuori scuola dove è assai frequente osservare grandi zaini e piccoli bimbi che sciamano fuori dai cortili. Cartelle flosce e vuote, all’ inizio, e sempre più grevi e pingui, nel corso dell’anno e in quelli a venire. Talvolta da dietro, si osservano anche due simpatici zainetti che si danno la mano, con teste quasi nascoste.zaino bia3 (1)
Zaini caricati di aspettative, come coppa che misura la potenzialità di apprendimento del bambino. Più è grande, più è riempibile. Insomma, un bicchiere vuoto da colmare, con orgoglio di maestri e genitori. Soprattutto di genitori, che come maldestri fantini cavalcano la vita dei loro bambini. Quello che non è accaduto a loro accadrà ai figli, quello che non hanno imparato loro impareranno i figli, e quello che hanno imparato loro devono imparare pure i figli: una vita devota al riempimento, quantificabile monitorando lo zaino. Il messaggio è rimpinzare. L’esatto opposto della maieutica socratica dove lo scopo dell’insegnante era educare (tirare fuori) le personali potenzialità e far partorire un sapere interiore.
Alberga ancora la moda del sapere cose. Nozioni. E non apprendere processi e modalità di pensiero. Ancora la scuola che educa alle nozioni, e che istruisce bambini di un’Italia con il più alto tasso di analfabetismo funzionale tra i paesi in via di sviluppo. Un’infelice pole position. A scuola pochi insegnano a ragionare, discernere, prendere decisioni, collegare fenomeni. Ancora s’insegna a imparare la lezione, che entra dall’orecchio destro, se entra, e esce da quello sinistro.
E l’assurdo è che questo accade in un mondo dove esiste internet che, non potendo ragionare, si limita a catalogare informazioni, da tutti fruibili con un click. Ma i docenti quasi mai insegnano a cercare su internet quello che serve. In fondo, non è importante sapere tutto, ma saper cercare quello che ti serve, e capire quando è il momento di cercare: il momento del dubbio, quello di maggior sapere. Il momento del dubbio fa la differenza tra i fessi e gli intelligenti. Tra il punto interrogativo e il punto esclamativo dei saccenti. Un tempo si usavano i libri e la ricerca non era semplice. Oggi bastano alcune parole chiave e una tastiera. Ma poi bisogna scegliere. E la scelta non la insegna nessuno, ancora. nessh1x525071Non a caso poi si diventa adulti che non scelgono, ma galleggiano. Certo è vero, a scuola fanno fare le ricerche su internet: modalità copia-incolla. Robaccia. Neanche lo sforzo di trascrivere. Nella testa del bambino resta meno che niente. Quasi tutti i bambini hanno tablet e smartphone di ultima generazione, ma li usano per giocare, non sfruttano la loro potenzialità, non soddisfano la curiosità di cercare. Si è persa l’emozione della scoperta. Si mandano foto, scambiano like, emoticons, scaricano applicazioni. Permangono megabasi di dati naufragate nel web, che pochi consultano realmente. E quando magari le sfogliano, non le capiscono: perché s’insegna loro a sapere cose, e non a saper capire.
Ma si sa, gli insegnanti sono pagati per svolgere i programmi scolastici, e i genitori da casa vegliano ansiosi su questo, affinché i pargoli non siano in ritardo sul programma. Genitori addirittura capaci di “rimproverare” gli insegnanti per la loro lentezza, e che provvedono di conseguenza, da soli, a far recuperare al figlio le gravi nozioni perse. E così al figlio, che recupera una tabellina in ritardo entro il mese prestabilito, facciamo perdere tutto il resto – il sapere come conquista personale e l’avventura della mente – trasformandolo in una brutta copia di Wikipedia.
In fondo la scuola dovrebbe fornirci di una bussola, da saper usare per orientarci, e di quattro punti cardinali su cui giocare le coordinate di tutti gli appuntamenti che la vita ci riserva. Bambini piccoli con zaini grandi diventano invece bambini affaccendati, ma adulti disorientati.
Tanto pieno, tanto nulla.

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