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16 ottobre 1943: una storia non molto lontana

di Martina Masi    16 ottobre 1943

Un momento terribile della storia del Novecento molto più vicino a noi di quanto si possa pensare. Quella mattina del 16 ottobre 1943 fu per gli ebrei di Roma la più lunga e straziante.

Il primo ghetto sorse a Venezia, nel 1516 per volere del Governo Veneziano; questa parola comparve per la prima volta in uno scritto risalente al 1524. A Venezia il termine derivava da una zona, chiamata appunto ‘ghetto’, ’fonderia’, o dall’ebraico ‘get’ carta di divorzio.

All’epoca, la ragione principale non era la separazione, tranne nella città veneta, ma un modo per controllare e spingere gli ebrei alla conversione. All’interno di questo ambiente in cui questi erano costretti a vivere, essi erano soggetti a prediche forzate e all’ascolto, obbligo revocato nel 1848 con Pio IX.

A Roma venne edificato il primo muro del ghetto, partendo da Rione Sant’Angelo e passante per Portico d’Ottavia, nel 1555 per volere di Papa Paolo IV Carafa, il quale volle convertire gli ebrei: quest’ultimi infatti, durante lo Shabbat recitavano la Torah in chiave cristiana e dovevano portare un simbolo con il quale potessero esser riconosciuti.

Il Papa riteneva ciò necessario; essi non potevano vivere a contatto con i cristiani, non avevano diritto ad avere proprietà immobiliari, né assumere donne di servizio non ebree.

All’interno del ghetto era inoltre proibito costruire sinagoghe senza consenso. Vi erano cinque portoni che venivano chiusi all’alba e al tramonto, di questi, il principale si trovava a Piazza Giudia. Grande tre ettari, nel 1492 con l’arrivo di altri ebrei dalla Spagna, gli abitanti furono costretti a vivere in spazi stretti e malsani. Il sovraffollamento era talmente elevato che le case erano altissime, fino a sette piani con i soffitti bassissimi.

La parte più sfavorevole del ghetto era quella vicina al Tevere su Via Fiumara in cui, durante le piene, si inondavano i piani più bassi. Il ghetto venne chiuso nel 1870 con la fine del potere temporale dei papi e, demolito nel 1895.

La situazione peggiorò però con le leggi razziste.
Nel settembre del 1938 vennero emanate le leggi razziste dal governo di Mussolini, ormai alleato della Germania di Hitler. Che fosse per intimidazione del dittatore tedesco o per volontà del regime fascista, resta però per noi italiani una traccia indelebile del nostro passato.

Gli ebrei furono esclusi dalla società, privati di ogni diritto e considerati come ‘pericolosi’. Molti di loro, avendo ormai perso il diritto di esercitare cariche pubbliche e vivendo in condizioni di miseria, si dedicarono al commercio, o svolsero attività come quella del venditore ambulante e dello stracciarolo, finchè anche queste non vennero proibite nel 1940. L’obiettivo del regime, era spingerli a lasciare l’Italia rendendo la loro la vita impossibile.

Con l’Armistizio del 3 settembre, ufficialmente comunicato l’8, i nazisti occupano l’Italia. Roma cade sotto il loro controllo l’11 settembre e la situazione precipita.

Il 26 settembre, Kappler, tenente colonnello capo delle SS e della Gestapo a Roma, convocò i rappresentanti della Comunità Ebraica, il rabbino Ugo Foà e il presidente Dante Almansi, chiedendo 50kg d’oro entro quarantotto ore, minacciando prima, la deportazione di duecento ebrei romani, poi, di tutta la comunità ebraica.

Per questa raccolta, iniziata la mattina seguente all’interno del Tempio Maggiore, fortunatamente si distinsero membri della popolazione considerati come ‘ariani’ che mostrarono solidarietà nei loro confronti. Quando raggiunsero e consegnarono la quantità ordinata in Via Tasso, nonostante discussioni e una proroga della scadenza, gli ebrei si fidarono dei Tedeschi i quali avrebbero secondo loro garantito la loro incolumità. Non fu così.

Il 14 ottobre, i nazisti, non solo per ordine di Kappler saccheggiarono due biblioteche della Comunità ebraica e del Collegio rabbinico prendendo edizioni rare, manoscritti, tutti destinati ad arrivare a Monaco di Baviera, ma portarono con sé la lista dei censimenti del 1938. Tutto era programmato.

All’alba del 16 ottobre, giorno festivo per gli ebrei scelto appositamente per sorprenderli, i tedeschi fecero irruzione ed effettuarono il rastrellamento degli abitanti del ghetto e non solo; essi furono radunati brutalmente a Portico d’Ottavia che vennero portati al Collegio Militare in via della Lungara.

Di 1259 persone, 237 furono liberate, le altre vennero trasportate alla stazione di Tiburtina in cui li aspettava il treno che li avrebbe condotti alla morte. Il convoglio in cui essi vennero sistemati, partì la mattina del 18 ottobre e giunse al campo di concentramento di Auschwitz nella sera del 22; i deportati rimasero chiusi nei vagoni fino all’alba.

Solo 16 di loro fecero ritorno, tra questi una donna, Settimia Spizzichino, sopravvissuta alle torture di Bergen-Belsen.

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