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Arsenico, cliché e vecchi merletti

Ogni volta che vien fuori una nuova intercettazione sull’ex ministro Federica Guidi, una femminista nel mondo muore. Alcune per infarto, altre invece la fanno proprio finita. E non bastano battiti di mani o cortei dell’8 marzo per rianimarle, perché la Guidi, nella tempesta perfetta delle sue vicende personali incrociate con inchieste ed emendamenti, ha spazzato via secoli di suffragette, emancipazione e parificazione di genere.
Finalmente noi donne eravamo riuscite a far passare non solo il concetto che ‘uno vale una’, ma addirittura che “gay” è il nuovo “donna”, trasferendo in blocco agli omosessuali la pesante eredità della volontà di emancipazione, tutela di diritti negati e attenzione da parte di un certo becero machismo.
Ce l’’avevamo quasi fatta. E invece.
Arriva Federica Guidi e ci sprofonda in un mare di luoghi comuni che dio solo sa.
Ad esempio le camicie, infilate in una delle intercettazioni spiattellate sui giornali e che restano nella top ten delle recriminazioni uomo-donna. Le sai stirare – non le sai stirare. E poi il colletto.  E poi il polsino. Me l’hai fatto tutto lucido, ma ti pare? Una querelle tutta italiana, tra l’altro. Perché mentre in America una donna corre per la Casa Bianca, in Italia puoi anche esser Ministro dello Sviluppo Economico, ma, diamine, i polsini vanno stirati come faceva mammà.
E poi la solidarietà fra donne. Eravamo tutte impegnate nello sforzo di reggerci a vicenda per dare al mondo l’idea di equilibrio e solidarietà. Il politicamente corretto declinato al femminile. Una fatica immane. Peccato che poi, caduta una, quella si sia tirata dietro anche tutte le altre, come tasselli del domino. L’uscita dell’ex ministro sulla “sguattera del Guatemala” ci ha consegnato l’ennesimo cliché di cui non avevamo bisogno: quello della sciura borghese-con-cameriera-al-seguito. Ed è vero che in tempi di crisi per l’editoria un’occasione così golosa era imperdibile, ma è altrettanto vero che la Guidi in un sol colpo ha liberato l’arsenico che è in noi donne, avrà perplesso la Nobel guatemalteca Rigoberta Menchú, ma soprattutto avrà fatto tirare un sospiro di sollievo alla casalinga di Voghera, finalmente affrancata dal solito luogo comune.
Arsenico-e-vecchi-merlettiLast but not least, l’introduzione di un avverbio: umanamente. Ben inteso, l’avverbio esisteva già prima, ma ora definisce il giudizio sull’operato dell’ex ministro. Qualcosa del tipo: dal punto di vista professionale la Guidi ha senz’altro sbagliato, ma umanamente … ed ecco che su quest’avverbio le femministe hanno il colpo di grazia e muoiono. Perché se è vero che nessuna donna meritava che i suoi panni venissero lavati così in piazza senza ragione – giacché la ex ministro non è neppure indagata –  è anche vero che la parità di sesso non prevede alcuna compassione. Ogni femminista stecchita al suolo è una donna che nei secoli si è battuta proprio per essere considerata non donna, ma persona nella sua complessità, e che non avrebbe mai accettato di essere giustificata sia pure parzialmente solo a causa delle sue vicende personali.
E dunque eccoci ripiombate nei vecchi merletti e tocca sorbirceli per chissà quanto tempo.
È vero che siamo fragili, innamorate, inaffidabili. È vero che non sappiamo guidare un’automobile figuriamoci un paese. È vero che andiamo bene come mogli e madri, ma non come professioniste. Forse è persino vero che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna e dietro una grande donna c’è sempre un pezzo di m. E forse è persino vero che quest’ultimo è il solo cliché che anche alle femministe di un tempo sarebbe andato bene.
di Lidia Monda

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