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Milano per Giorgio Gaber

di Valeria Ferraro

Milano. Scenario tempestoso. Un cielo grigio e un freddo che, per quanto si sforzi, non  riesce a ricoprire di silenzio le agitazioni degli studenti e degli immigrati. Torri, licei e monumenti occupati, la donna allo Specchio di Tiziano, in prestito dal Louvre, la frenesia natalizia e una crisi da risolvere.

Un clima di inquietudini e contraddizioni che sembra aver vinto l’Oscar come migliore scenografia da realizzare per fare da sfondo alla quarta edizione di “Milano per Giorgio Gaber”.

Il Signor G. torna in città dunque, in una Milano che gli  dedica  spazi reclutati come vigili sentinelle  addette a vegliare sulla sua presenza. L’ultimo è del 24 novembre: una monumentale sala di 500  metri quadri all’ultimo piano della neonata Feltrinelli Express, alla Stazione Centrale e dove il 3 dicembre è stato presentato il libro di Guido Harari, “Gaber. L’illogica utopia” la biografia più completa apparsa finora sull’artista, raccontata con oltre 400 illustrazioni per lo più inedite.

Ma si parte l’11 dicembre, all’Auditorium Gaber del grattacielo Pirelli con gli oltre 5000 iscritti al sito della Fondazione Gaber e i “gaberiani” più affezionati. Ospiti, tra gli altri, Enzo Iacchetti e Guido Harari. Dal 14 dicembre si tornerà al Piccolo Teatro, dove 40 anni fa Gaber debuttò in prima assoluta con “Il Signor G”, chiudendo definitivamente la porta alla televisione. Il 16 sarà la volta di un altro appuntamento d’eccezione: Paolo Bonolis, affiancato da Massimo Bernardini, incontrerà gli studenti dell’Università Statale di Milano per parlare della televisione di ieri e di oggi;  arriviamo così al 20 e 21 dicembre,con  un reading/spettacolo dal titolo “Eretici e Corsari” interpretato da Neri Marcoré e Claudio Gioè sulle affinità intellettuali di Gaber e Pasolini. E si chiude il primo giorno dell’anno, con I Piccoli Cantori di Milano.

Dunque una Milano impegnata su tutti i fronti a divulgare e approfondire l’opera dell’artista. Ma Gaber è ancora troppo attuale per essere semplicemente ‘ricordato’ e forse oggi l’artista si aggiungerebbe al coro dei manifestanti; vorrebbe, certamente, che i suoi insegnamenti, lungi dall’essere ricordi, fossero portati in piazza,ancor più di ieri, secondo la sua idea di  libertà come partecipazione. Perchè il suo non sentirsi italiano rappresentava un sentimento diffuso che oggi trova voce a nord quanto a sud;  perché “l’Italia ” è la prima voce che compare accanto a “dividiamo”su tutti i motori di ricerca internet; perché il grido “Italia  Italia” ancora oggi c’è solo alle partite; perché Il Bel Paese è ancora la periferia del mondo occidentale e perché ancora nel nostro Parlamento “si scannano su tutto e poi non cambia niente”.

Sarebbe forse triste nel vedere che quel Rinascimento che oppone con tanto orgoglio, nella attualissima “Io non mi sento italiano”, alle accuse rivolte al Paese di essere solo “spaghetti e mandolino”, resta ancora una suprema ricchezza dimenticata. E ci ritroverà come ci ha lasciati nel 2003: non come “gabbiani ipotetici”, che avevano le ali senza essere capaci di volare, ma come “gabbiani senza più nemmeno l’intenzione, del volo”.

foto: Luigi Ciminaghi

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