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Alan Parsons a Villa Ada, la leggenda del rock festeggia i 40 anni di carriera

Ci risiamo. Questa volta la bellissima location di Villa Ada ci regala un altro viaggio, ci porta da un’altra parte, nell’Inghilterra degli anni Settanta.

 

Alan Parsons entra, anticipato dai musicisti della band, elegante come sempre, con la sua giacca e la sciarpa al collo, nonostante i tanti gradi dell’estate romana.

 

Nella sua imponenza fisica, nel suo sguardo fiero, traspare tutta la grandezza delle cose fatte in passato, quest’anno festeggia quarant’anni di onorata carriera. Alan Parsons non è un musicista in senso canonico, nasce come ingegnere del suono ed il suo nome è legato ad alcune delle più grandi produzioni rock di tutti i tempi, basti pensare a The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd e Abbey Road dei Beatles, solo per citarne alcune.

 

L’incontro con Eric Woolfson, musicista scozzese, da vita ad uno dei progetti musicali più interessanti di tutti i tempi, e porta i due ad essere considerati tra i maggiori rappresentanti del progressive rock britannico, insieme a gruppi quali Pink Floyd appunto, King Crimson, e Jethro Tull.

 

Cosi come l’idea che sta alla base dei concept album del “Project” anche il concerto di ieri sera comincia con una strumentale ed affascinantissima I robot, tratta dall’omonimo album del 1977, che lascia piano piano spazio alle lyrics di un altrettanto seducente Damned If I Do, dall’album Eve del 1979, cantata da un Pj Olsson in grandissima forma.

 

Si procede così a suon di hits – il tour è Greatest Hits 2016 appunto – che infiammano un pubblico che a stento riesce a rimanere seduto. Un pubblico sorprendentemente eterogeneo, composto tanto da ultra sessantenni quanto da giovani di almeno tre generazioni prima. Il potere coinvolgente della musica.

 

L’atmosfera si affievolisce leggermente a metà concerto, con canzoni forse un po’ più lente, ma che non lasciano mai dubbio alcuno sulla bravura estrema di tutti i componenti del gruppo, ci tengo a precisare, per poi impennare nuovamente verso la fine, con una bellissima Sirius, tratta da Eye in the Sky del 1982, forse l’album più acclamato della band. Segue il brano omonimo, cantato davvero da tutto il pubblico, che ormai si alza in piedi, rapito dall’atmosfera.

 

Alan Parsons ringrazia sentitamente, cimentandosi anche con qualche parola di italiano, e ci saluta con una travolgente Games People Play ( da The Turn of a Friendly Card, 1980).

 

E mentre il pubblico ancora emozionato si dirige verso l’uscita, nel cielo di Villa Ada riecheggia ancora la frase “Where do we go from here…”.

 

Grazie Alan, penso torneremo tutti negli anni Duemila, dopo questo splendido viaggio indietro nel tempo.

 
di Giorgia Atzeni
Foto di Andrea Cavallini

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