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La pazza gioia di Virzì, tra le meraviglie di Alice e il Discobolo di Mirone

La pazza gioia di Paolo Virzì, Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e il Discobolo di Mirone. Tre opere lontanissime tra loro? Non così tanto, per la verità.
La pluripremiata pellicola prodotta da Lotus Productions, Manny Films, (01 Distribution) già vincitrice di cinque nastro d’argento 2016, è tornata alla ribalta, aggiudicandosi ben cinque David di Donatello nel 2017, tra cui miglior film e miglior regia. Interpreti d’eccezione  Valeria Bruni Tedeschi, premiata come migliore attrice protagonista  e Micaela Ramazzotti. Due attrici straordinarie e un film di qualità, asciutto e non così amaro rispetto agli altri di Virzì.
Il rimando è pressoché immediato. Torna in mente “Alice nel paese delle meraviglie”, la fiaba di Carroll sulla incomunicabilità. Come in Alice, infatti, anche in questo caso le protagoniste per quasi tutta la durata della pellicola, vivono la loro avventura dialogando ma mai comunicando, né tra loro né col mondo esterno.
La pazza gioia è dunque una storia ricca di significati metaforici da apprezzare per le differenti chiavi di lettura cui spinge. Siamo mondi immiscibili- come le protagoniste- chiusi in solitudini folli, facilmente etichettabili se viste dall’esterno, ma che invece si rivelano sempre coerenti a se stesse, finanche giuste se le guardiamo dall’interno, se ci sforziamo di cambiare prospettiva e adottare quella dell’altro.
Parole ovvie, perfino banali, che in apparenza scivolano nel buonismo spiccio ma che invece restano l’unico antidoto alla noia dirompente di conversazioni sciatte, superficialità occasionali, incontri immiseriti da sforzi di intangibilità.
Si può trascorrere una vita intera tra perfezioni rotonde, prive di incrinature, su cui però tutto scivola, nulla si ferma. Perfezioni che quando s’incontrano rimbalzano tra loro, senza aver approfondito nulla, proseguendo in uno sterile boing-boing sempre uguale a se stesso.
Una perdita di tempo secca, come un brutto libro o un brutto film.
Allora che ben vengano film come ‘ La pazza gioia’, che costringono a cambiare prospettiva. Le ferite sono brecce, le uniche, forse, in grado di arricchirci. Ci spingono a slegarsi da posizioni anchilosate da pigrizie mentali, aprono al pre-movimento, a una tensione plastica come quella del Discobolo: una spinta alla curiosità, all’indagine, all’introspezione.
Introspezione che è anche nutrimento. Perché nel mentre che si ascolta, va a finire che si capisce, e ci si prende cura, perfino.
Per guarire. Per guarirsi.
di Lidia Monda

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