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Dogman, la devastazione di un territorio senza anima

Non so quanto Dogman si avvicini alla storiaccia del “Canaro”, il crimine avvenuto alla fine degli anni ’80 alla Magliana, che tanto colpì per la sua efferatezza. Poco importa.
Garrone parte da lì per parlare di desolazione, di sopraffazione, di trasformazione, di solitudine, di degrado, di riscatto. Lo fa con maestria, dando voce a un paesaggio livido che non vede mai il sole; alle pozzanghere di piogge infinite che riflettono la devastazione di un territorio senza anima; alla ruggine di una giostra senza bambini; agli occhi interrogativi dei cani che annusano sangue nella toletteria dove dovrebbero essere lavati e profumati.
È un film senza musica, Dogman, perché il pathos, la paura, l’adrenalina, li danno già la cocaina, tirata compulsivamente; lo slang romano di borgata (che si conferma essere il più truce al mondo) e la sperdutezza delle espressioni di Marcello e dei suoi cani che riempie il film dall’inizio alla fine.
Dogman, nella figura tragica interpretata dall’intenso e poco conosciuto Marcello Fonte, diventa l’archetipo del riscatto dai soprusi, la suggestione caravaggesca di Davide contro Golia.
Il senso del film è nella trasformazione di questo piccolo uomo, criminale senza phisique du role, che trova pace solo con i cani e la sua bambina, in vendicatore.
Uccidendo Simoncino, il pugile suonato da fiumi di coca e pugni, libera se stesso dalla sindrome di Stoccolma che lo teneva legato al suo torturatore, ma soprattutto salvando il quartiere da quella scheggia impazzita e senza controllo, cerca di farsi accettare, di acquistare importanza presso una comunità dove ognuno pensa solo a sopravvivere.
E se ci può essere poesia anche in un’immagine macabra, questa è quella girata da Garrone nell’ultima scena. Si esce dalla cronaca e si entra nell’espressionismo: sembra di sentire un urlo uscire dallo sguardo vuoto di Marcello, durante la deposizione del corpo di Simoncino nella piazza vuota, cianotica come i neon che la illuminano. Indimenticabile.

Ps Garrone ancora una volta dimostra di essere il miglior regista di cast anonimi quanto eccezionali.
Il film è tosto, ma molto meno di quanto riportò la cronaca del tempo. Da vedere.
di Linda La Posta

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