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Parole digitali e il futuro del libro alla SMW Rome

Di Paolo Cappelli

Da tempo si dibatte se l’editoria digitale potrà sottrarre una significativa quota di mercato a quella tradizionale, o persino decretare la scomparsa di alcuni formati editoriali. Nell’ambito della Social Media Week non si poteva non dedicare a questo argomento la dovuta attenzione riservando un incontro tra esperti per discutere sulla sua evoluzione e sviluppo in futuro. A moderare il dibattito Raffaele Barberio, fondatore e direttore di Key4biz e promotore di E-book.it, presenti Marco Calvo, Presidente dell’associazione culturale Liber Liber, Luca De Biase, giornalista e scrittore, responsabile di “Nòva24”, Franco Siddi, Segretario Generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Giulio Blasi, CEO di Horizons Unlimited e Daniela Di Sora, titolare della casa editrice Voland.
Il settore dell’editoria in generale, e quello dell’editoria digitale in particolare, non sfuggono alla logica tipica della domanda edell’offerta: esiste qualcuno che sceglie cosa vendere (l’editore), qualcuno che lo produce (l’autore) e qualcuno che lo compra (il fuitore). “Nel passaggio al digitale è necessario procedere a una rieducazione di queste tre figure”, ha affermato Raffaele Barberio. Due aspetti in particolare mi hanno colpito del dibattito odierno: l’importanza dei formati e dei sistemi di protezione della fruizione (in breve DRM), da una parte, e l’impossibilità di effettuare micro pagamenti, dall’altro. Ma ci torneremo più avanti. Nell’ambito della discussione, è emerso che l’editoria elettronica sta seguendo due percorsi principali, uno a fini divulgativi e uno a fini giornalistici. Sul primo sono intervenuti Daniela Di Sora e Giulio Blasi. “In fin dei conti, chi può esimersi dal fare i conti con il progresso?”, ha chiesto Daniela di Sora, aggiungendo “Io non posso dire di essere un’esperta di e-book e per formazione  ho ancora il feticismo della carta, ma si tratta comunque di una realtà tangibile, che va valutata, studiata e tenuta in giusta considerazione in questo settore”.

Giulio Blasi, semiologo, discepolo di Umberto Eco, ha lanciato l’idea che alle biblioteche tradizionali si possa sostituire una biblioteca fatta di e-book, cui applicare i sistemi di gestione di una biblioteca vera. Ne è un esempio MediaLibraryOnline, un sistema per distribuire ogni tipologia di oggetto digitale, ad accesso aperto o commerciale (audio, video, testi, banche dati a pagamento, testi storici in formato immagine, archivi iconografici, audiolibri, libri digitalizzati ed e-book commerciali, e-learning, live-casting in tempo reale ecc.), gestendo tutti i problemi di licensing e copyright attraverso un network nazionale di biblioteche, sistemi bibliotecari e altri enti che collaborano e condividono i costi per la gestione di risorse digitali (Digital Asset Management). Blasi ha però fatto un’importante precisazione: “Si sente dire e si legge che stiamo vivendo la rivoluzione degli e-book, ma non è vero. Gli e-book, come realtà commerciale, esistono già dalla metà degli anni ‘90. Tuttavia, nelle biblioteche pubbliche italiane non esiste un progetto sistematico in questo senso perché è scarsa la domanda. Secondo un sondaggio della George Washington University, il 69% degli americani utilizza più o meno regolarmente una biblioteca pubblica. In Italia questa percentuale è del 10%”.

L’intervento di Franco Siddi, ha sottolineato come proprio i recenti fatti di cronaca in Tunisia ed Egitto abbiano portato all’attenzione degli addetti ai lavori il problema della permeabilità dei mezzi. Con poche risorse si riesce a mettere a nudo un regime e le violenze di cui questo è capace in tempo reale o quasi reale. In simili situazioni, ha ricordato “i regimi vedono il giornalista come un nemico e non come un messaggero di verità, intesa come fotografia della realtà. Questo perché il vero giornalismo è giornalismo di testimonianza. Le notizie non viaggiano mica da sole”. Ecco allora che il connubio tra giornalismo,  social network e verifica indipendente da parte di testate accreditate diventa un vero problema per i regimi: da questo scaturiscono provvedimenti drastici, come gli arresti, le detenzioni, i sequestri di pezzi e attrezzature. “Ma si tratta di azioni assolutamente inefficaci – ha aggiunto Siddi – visto che il materiale circola comunque. Questa è una lezione per i dittatori ma anche per noi, per capire che dietro alla notizia c’è qualcuno che svolge un ruolo. Non è semplice cronaca o l’immagine proposta su uno schermo. Le redazioni che ricevono materiale per un pezzo, magari grazie all’uomo della strada in quello che si chiama ‘citizen journalism’, devono innanzitutto cercare riscontri. Se e quando li trovano, allora le informazioni assumono un valore. Non è un caso che Assange non abbia divulgato lui le notizie, ma le abbia affidate a realtà del giornalismo di portata mondiale”.

Molto interessante l’intervento di Marco Calvo, ha detto, esiste il problema del DRM (Digital Rights Management), ovvero l’uso, da parte di chi pubblica, di codificare i testi in modo da regolarne la diffusione e consentirne utilizzo limitato (nel tempo o nei destinatari, attraverso una specifica licenza). In maniera ironica e pungente ha proposto il paradigma della Duna: “Esistono realtà anche importanti, in cui a tutti i livelli di commettono errori e poi si persevera. Manager e progettisti della Fiat hanno concepito la Duna. Schiere di operai l’hanno prodotta. A nessuno, però, è venuto in mente di dire: ‘Scusate, ma la Duna fa schifo e vende poco. Perché continuiamo a produrla?’. Lo stesso avveniva nel segmento della musica digitale: si tentava di vendere musica campionata con qualità inferiore a quella pirata, protetta con DRM e quindi fruibile solo sul dispositivo per il quale veniva scaricata. Inoltre, non poteva essere copiata né trasferita ad altro dispositivo se decidevamo, ad esempio, di comprarne uno più moderno. E i discografici si chiedevano: ‘Ma perché la gente scarica la musica pirata e non compra quella originale a basso prezzo?’ Questo avviene anche nel campo dell’editoria a fini divulgativi”. Altro aspetto di grande importanza sottolineato da Calvo riguarda le modalità dei pagamento online. Il nostro onnipresente telefono cellulare non può essere usato per effettuare piccoli pagamenti (meno di un euro). Anche quando questo avviene, come nel caso del pagamento con SMS, in molti casi l’operatore trattiene il 50-60% del valore della transazione. Nel caso di carte di credito, il costo è equiparabile al valore trattato. In buona sostanza, oggi in Italia non esiste un modo per pagare un singolo contenuto digitale che sia ragionevolmente pratico e che non aggiunga ai 50 centesimi di valore del bene venduto altri 50 centesimi di costi bancari. “Molte tecniche di micropagamento hanno in sé grandi potenzialità che potrebbero andare a beneficio di autore e fruitore, senza intermediari”, ha spiegato Calvo. “Pensiamo ai giornalisti che vanno al Motorshow. Fanno pezzi ‘orizzontali’, cioè che abbracciano la manifestazione o un particolare prodotto nel suo complesso e gli editori li mettono a disposizione gratuitamente sul portale della testata digitale. Immaginiamo invece di passare due giorni a fare servizi e domande su un prodotto, per poi produrre un bel pezzo “verticale” di una cinquantina di pagine, andando molto in profondità su un prodotto, con 100 foto e una decina di filmati e di metterlo in vendita a un euro, magari in italiano e in inglese. Supponiamo che lo comprino 1000 appassionati attraverso vari mezzi, telefonino incluso: sono 1000 euro lordi per un solo pezzo e 2 giorni di lavoro. Né il giornalista freelance, né il cliente sono legati ad un particolare fornitore e il valore della vendita non risente di costi di transazione improponibili. Non solo, ma il meccanismo naturale della concorrenza spinge i prezzi al ribasso e stimola la creazione di nuovi prodotti. Ma – perché c’è un ‘ma’ – ci perdono le grandi case editrici, i grandi distributori e le banche. Capito perché non parte questo sistema? La lentezza dell’evoluzione non dipende dalla complessità dei problemi”.

E allora, per concludere, diciamo che editoria digitale oggi significa creare contenuti in forma nuova e su piattaforme nuove e non semplicemente proporre un libro in formato pdf. Il presupposto per una transizione di successo sta nella condivisione di un messaggio e cioè che l’approccio alla pubblicazione deve essere totalmente nuovo, sia in termini di contenuti, sia di piattaforme e prezzi. In tutto questo entra il social marketing. Social non è solo uno strumento di marketing. Il social è come viviamo.

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