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Il colibrì: vola per restare fermo

Tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega nel 2020 e scritto da Francesca Archibugi assieme a Laura Paolucci e Francesco Piccolo, il film che ha inaugurato la Festa del Cinema di Roma è un sovrapporsi di ricordi che vanno dai primi anni ’70 per arrivare ad un prossimo 2030.

Il colibrì è Marco Carrera, che vive attraverso l’intepretazione di Pierfrancesco Favino. Marco ha una amore adolescenziale che lo accompagnerà per il resto della vita, Luisa Lattes. Nel frattempo si sposa con Marina, che purtroppo manifesta segni di instabilità mentale. Questo segnerà la vita sentimentale di Marco, ma la sua esistenza sarà ancor più segnata da un susseguirsi di tragedie familiari che lo metteranno a dura prova.

Alla fine ciò che conta per lui è vivere piuttosto che la voglia di vivere. Daniele Carradori, lo psicanalista di Marina, interpretato da Nanni Moretti, si manifesta nella vita del protagonista come una specie di angelo custode, con il suo conforto e supporto discreto.

Il cast è stellare, ma il passo del film è pesante e i protagonisti spento. Marina (Kasia Smutniak) è talmente fuori controllo da apparire fuori parte. Ceccherini nel ruolo dello iellatore non è credibile. Moretti fa Moretti.

Infine Favino, il perno di tutto, il protagonista, è spento, non riesce a catalizzare le emozioni dello spettatore. Proprio come il colibrì, spreca le sue energie per rimanere dov’è e il film non decolla ma resta, seppur ottimamente confezionata, una collezione di fatti tragici (suicidi, incidenti, malattia mentali e fisiche, tradimenti, incomprensioni).

di Mario Masi

Colibrì

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