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Giacomo Marramao: le evoluzioni del potere

di Mariano Colla

“Nel mondo moderno c’è un intreccio ultimo tra potere e sapere. Il sapere è un sapere che può, il potere è sempre un potere che sa”. Questo affermava Foucault, che ha fatto del rapporto uomo – potere uno dei cardini della sua filosofia. Il rapporto tra “Vita e Potere”, è stato l’argomento della conferenza tenuta venerdì scorso dal prof. Giacomo Marramao, ordinario di filosofia teoretica e politica all’Università Roma 3, presso l’associazione “Vivere con filosofia”. Marramao ha tracciato l’evoluzione del potere, dall’antichità ai giorni nostri, soffermandosi su alcuni degli aspetti più significativi di tale tragitto storico. E’ opportuno chiarire sin dall’inizio, sostiene Marramao, che il potere non è una continuità dell’aggressività. Il potere si può declinare in molti modi, agire, per esempio, e, in tal senso, Marramao cita un film televisivo del1966, diretto da Roberto Rossellini, dal titolo La presa del potere da parte di Luigi XIV. Si tratta dell’accurata ricostruzione storica, fra documentario e finzione, dell’ascesa al potere del Re Sole, Luigi XIV. Una rappresentazione del potere assoluto raggiunto tramite il progressivo accentramento di funzioni e l’esaltazione del simbolismo ad esso associato come, per esempio, la Reggia di Versailles, nella quale costringe a risiedere la corte, allontanando la nobiltà dal governo delle province e riducendola ad una vita di rituali tutti incentrati su di lui, il Re Sole.

Ma il potere può seguire anche altre logiche. Nella visione di Marramao la vera logica del potere è il controllo dell’azione altrui, è l’ orientare e il gestire l’azione degli altri, non tanto in una relazione di puro dominio, del tipo padrone – schiavo, quanto nell’esercitare tale potere verso individui potenzialmente liberi. Un rapido “escursus” nell’antica Grecia, citando Norberto Bobbio, ha evidenziato la genesi e i limiti del potere democratico nella polis, ristretto ai soli maschi adulti. Potere crollato sotto i colpi della concezione di dominio insita nell’ impero creato da Alessandro Magno, concezione di per sé poco rappresentativa del potere politico. Il potere, quindi, è influenza quando gli altri sono potenzialmente liberi. Potere e libertà nascono insieme. Nella relazione padrone – schiavo il potere non ha bisogno di essere esplicitato, perchè insito nel rapporto di dominio.

Già nel secolo XVI, E’tienne de la Boètie, grande amico di Montaigne, sosteneva nel “Discorso sulla servitù volontaria” che il potere nasce da un atto di volontaria sottomissione. Senza il consenso il sovrano non dura. Potere e libertà sono co-originari, scriveva, perché nascono dalla medesima fonte. La libertà è faticosa, la libertà è farsi carico di qualche cosa. Rinunciare alla libertà è la delega per il potere e quando la delega è in bianco il potere è assoluto. E’ una posizione in parte opposta a quella del Machiavelli. Per Machiavelli la politica è l’arte per la conquista e il mantenimento del potere con regole, metodi e competenze diverse dall’etica. La politica è violenza, ma è stupida se non è funzionale a un obiettivo come, per esempio, la creazione dello Stato. Il principe agisce per calcolo e quindi non sono ammessi atti malevoli gratuiti. Il principe non deve usare necessariamente violenza. La violenza è solo conforme allo scopo.

E’ vitale la conquista dei mezzi strategici con cui pervenire e mantenere il potere. La competenza politica e della gestione del potere sta tutta qui. Il potere, quindi non è violenza bensì una strategia. Machiavelli, per primo, e in contrasto con pensatori quali Platone, Aristotele, Agostino e Tommaso, introduce una tesi dirompente, ossia che il potere politico non è la realizzazione della società giusta. Anche la fede può essere esercitata nella conquista del potere, e quando potere temporale e spirituale si uniscono diventano deleteri e irremovibili. Machiavelli, Galileo e Giordano Bruno ne hanno subito le caustiche conseguenze.

Con l’avvento della modernità, sostiene Marramao, viene a definirsi un nuovo concetto di potere basato sulla costituzione di una nuova idea di sovranità. E’ l’idea regolata dal contrattualismo. La sovranità nasce da un libero contratto stipulato da individui per delegare a terzi (sovrano per Hobbes, potere democratico per Rowls) una serie di funzioni gestionali della organizzazione della vita collettiva e della rete di relazioni. Segue un ulteriore passaggio, costituito da una visione del potere in termini funzionali e sistemici, e in tale asserzione, sostenuta da studiosi quali Weber, Parsons e Luhmann, si giunge ai limiti della modernità e, anzi, si va oltre. In altri termini il potere non può più essere concepito in termini di Stato o di sovranità nazionale. Come dice Foucault, il potere non è più concentrato in un “unico” ma è disseminato, diffuso.

Che ne è oggi, quindi, del potere, visto che non c’è più la sovranità dello Stato? Lo Stato nazionale si sgretola e perde di efficacia. Lo Stato è piccolo per le sfide globali e troppo grande per cogliere le dinamiche locali. In un declino dell’efficacia dello Stato il potere va cercato altrove, il potere si è dislocato in nuovi ambiti. Vi è il potere economico globale, vi è il grande potere dei media e dei giornali, vi è il potere delle tecnologie digitali; il dislocamento dei capitale in tempo reale è potere, l’economia globale va vista in funzione delle logiche di potere. Non è cambiata l’essenza del potere ma oggi, essa, si trasmette attraverso un dirompente fattore moltiplicatore che è la comunicazione mediatica. I così detti vincoli economici, quali i fattori di produzione, il lavoro, il precariato non sono economici in senso stretto ma sono connessi al controllo e al potere. C’è bisogno di mercato, e c’è bisogno di forza lavoro perché tutto ciò consente di esercitare potere. La dimensione del potere si è ulteriormente dislocata.

Vi è ancora posto per un potere basato sulla consuetudine e la tradizione, oppure su un potere che si legittima sulla base del diritto razionale, o anche sulla figura di un leader carismatico che muove emozioni e su di esse crea consenso? Weber sosteneva, un secolo fa, che la tradizione aveva perso la sua partita a scapito degli altri due poteri che si contendevano la scena del mondo razionalizzato tecnico – strumentale e non era di certo lontano dal vero. Oggi, l’ultima dimensione del potere si esplicita a monte, sulla formazione del desiderio, determinando uno sdoppiamento tra la dimensione simbolica del desiderio stesso e la nostra condizione materiale. Il potere ci fa credere di essere diversi, di vivere in una società diversa da quella in cui realmente siamo. Siamo nel mondo dell’immaginario. Il potere alimenta pulsioni di piacere.

E’ la ricetta seriale del potere che ci ha fatto perdere il vero senso del desiderio. Vi sono implicazioni gravi che influenzano lo statuto iniziale dell’individuo. L’individuo moderno amava se stesso. Quello post-moderno, nella pulsione piacere – desiderio, cela, invece, un disprezzo di sé.

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