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Anni 2000: ci piace la scienza?

di Francesca Lippi
“Verso le discipline scientifiche c’è stato un forte ostacolo dovuto a Benedetto Croce e Giovanni Gentile, che con la definizione delle due culture, hanno per decenni condizionato l’istruzione italiana, rendendo preferibili le discipline umanistiche in quanto chi vi si dedicava era qualcuno ‘che valeva’, mentre gli altri non erano altro che secchioni matematici”. Questa è l’idea di Giovanni Anzidei Capo Ufficio Stampa dell’Accademia Nazionale dei Lincei, da sempre caratterizzata sia per l’altissima formazione dei suoi Soci sia per la sua elevata interdisciplinarietà.
Se questa distinzione avveniva nel secolo scorso, possibile mai che si risenta ancora di una distinzione a dir poco anacronistica? Il Professor Enrico Alleva, dell’Istituto Superiore della Sanità, afferma che “certamente l’impostazione storicistica di Gentile ha privilegiato gli aspetti di progresso delle idee scientifiche, piuttosto che far riflettere gli studenti sulle metodologie, impedendo loro di capire le novità delle idee scientifiche” non formando i giovani a sperimentare, ad osservare l’ambiente in cui si trovano né tanto meno ad incuriosirsi. Eppure Alleva ammette che “dal ’63, con l’avvento della scuola media unica, c’è stato un pullulare di ‘osservazioni scientifiche’, che hanno promosso l’osservazione diretta e la sperimentazione da parte degli studenti”. Dunque il capitolo è chiuso? Sembra di no visto che nonostante la buona volontà “la qualità complessiva è stata variabile da un istituto scolastico all’altro”.
Scienziati ed umanisti ammettono così che un po’ di pregiudizio ci sia ancora oggi. Secondo Luigi Berlinguer “è vero che esiste questo squilibrio sia da parte dell’opinione pubblica, sia da parte della cultura dominante”. Il Professore, infatti, nota che chi non conosce la letteratura viene facilmente definito ‘ignorante’, mentre chi non sa nulla della teoria della relatività può anche essere un ‘colto’. “Non è che gli italiani siano negati nella matematica o nelle scienze, è che la letteratura e le scienze umanistiche sono considerate l’unica cultura e le materie scientifiche sono insegnate male”. Berlinguer vede una buona speranza nella Rete e in come questa influisce sulla conoscenza: “c’è chi parla di una ‘terza cultura’, formata dall’interazione costante fra letteratura, tecnica e matematica e questo avviene senza che saltino totalmente i diversi codici epistemologici delle diverse discipline”. Berlinguer riesce a scorgere una somiglianza con ciò che successe alla fine del ‘400 grazie all’invenzione della stampa di Gutenberg: la rete ha un effetto moltiplicatore analogo. Insieme all’ICT supera il monopolio del linguaggio verbale, con correlazioni fra immagini, video e audio. “Però dobbiamo superare il nostro peccato originale che vede la scienza come un insieme di pseudo-concetti e una conoscenza di serie B”.
Anche il fisico Carlo Bernardini punta il dito contro la distinzione crociano-gentiliana, ma accusa anche gli italiani di “analfabetismo scientifico”. A detta sua, infatti, certi letterati e filosofi sono colpevoli di fare riferimento a loro stessi come a dei veri e propri “funzionari di una cultura dominante”. Quindi l’allontanamento dalle discipline scientifico-matematiche si verificherebbe per questo? Pare di no e Bernardini allarga il suo ragionamento al linguaggio scientifico italiano, reo di essere poco adatto alla divulgazione, respingendo così eventuali adepti. “ Il segreto della divulgazione risiede nel far capire ai non-adetti dove stia il problema e perché sarebbe importante risolverlo, poiché questo crea almeno l’interesse per ‘come’ quei problemi si risolvano”.
Questo però non è sufficiente a motivare la preferenza per la cultura umanistica rispetto a quella scientifica. In un’inchiesta realizzata dall’associazione TreeLLLe, dal titolo “Latino perché, latino per chi”, risulta che l’Italia sia il Paese in cui l’insegnamento obbligatorio delle lingue classiche è il più elevato rispetto a tutti gli altri Paesi europei e agli Stati Uniti. Eppure per il linguista Tullio De Mauro il problema non risiederebbe nella distinzione fra due culture, quanto in una vera e propria mancanza di cultura in tutti i sensi. “Troppo umanesimo e perciò poca scienza? Ma no, poco umanesimo e poca scienza perché poca è la propensione nazionale all’accertamento rigoroso di fatti e dati, alle misurazioni e descrizioni precise, all’esperienza diretta”. Vista così la questione rimane aperta e a questo punto ci si domanda se sia davvero tutta colpa di Croce e Gentile.

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