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La festa di S. Agata a Catania. Fra culto e tradizioni pagane

Di Mariano Colla

Mito e ritualità sono due componenti di cui si impregna, da sempre, la fenomenologia religiosa. Anche la religione cristiana vanta molti riferimenti storici mantenuti, vivi dalla  tradizione popolare e che, ancor oggi, in piena post-modernità, costituiscono occasione per la celebrazione di simboli sacri  fortemente radicati nelle credenze collettive. Sono opportunità  per apprezzare, non solo la ritualità religiosa, ma anche il folklore associato a tali manifestazioni e Catania, proprio in questi giorni, ne è un degno esempio, con le celebrazioni dedicate alla patrona della città, S. Agata.
Catania. Festa di S. Agata

Nel sud Italia, le celebrazioni religiose godono ancora di una dimensione popolare intensa e partecipata che, spesso, va oltre il puro valore sacrale dell’evento e incorpora un simbolismo e una ritualità che sfiora il paganesimo. L’iconografia associata alle celebrazioni propone, di solito, sfarzose immagini della santa o del martire di turno, corredate di preziosi reliquari, che esaltano, ancor oggi, agli occhi delle masse, la ricchezza del valore simbolico  del protettore o della protettrice  commemorata. L’atto di fede acquisisce, talora, una dimensione poco spirituale, per assumere una corporeità esaltata da posture, vocalità e gestualità proprie della tradizione antica, quando la festa del patrono era una festa di piazza, in generale una festa in cui manifestare e manifestarsi.
La celebrazione di S. Agata non si discosta da questa impostazione. Ho colto, nei tre giorni dedicati alla festività (3-5 Febbraio), alcuni aspetti dello spirito e dell’estetica della manifestazione che più mi hanno impressionato, valutati e vissuti con l’occhio un po’ disincantato di chi non può penetrare sino in fondo il tessuto emotivo delle celebrazioni, prerogativa, questa, dei catanesi. Catania indossa, per la grande occasione, la sua veste più sfavillante. La città si anima, si risveglia, prega e gioisce in onore della sua santa patrona. Il centro di Catania, si ammanta del bianco dei fedeli, imponente folla dei devoti del candido “sacco”, indumento cerimoniale indossato nell’occasione e costituito da un abito bianco a forma di sacco stretto in vita da un cordone. I rilucenti ori delle candelore accolgono l’affetto e la fede dei catanesi  che giungono in massa  per condividere la religiosità delle celebrazioni  e non mancare all’irrinunciabile appuntamento con S. Agata. E’ un susseguirsi di eventi storici, di rievocazioni della tradizione e del culto. Lunghe processioni si snodano per le affollate vie della città, parate a festa,  per approdare alla suggestiva messa dell’aurora, in una esplosione di luci, fuochi, colori e profumi.

Si celebra un rito antichissimo che, agli occhi dei catanesi, ma anche a quelli dei numerosi turisti presenti,  mantiene inalterato il suo fascino primitivo, nonostante la modernità e la diffusione di una cultura laica ne possano limitare l’impatto emotivo. Sono trascorsi XVIII secoli sono dal martirio di Agata, ma il suo sacrificio per la difesa di un ideale di purezza e di fede sino alle estreme conseguenze è sempre di straordinaria attualità,  soprattutto quando l’atto rappresenta la difesa della propria dignità contro i soprusi del potente di turno, rappresentato, in questo caso, dal governatore romano Quinziano, animato da brame amorose nei confronti della giovane fanciulla. Una ribellione che, a distanza di tanti secoli, fa, ancora, di Agata un simbolo amato e venerato dai catanesi con un tale trasporto e passione che rasenta, in alcune circostanze il fanatismo.

La festa inizia con lo spostamento delle reliquie della Santa, contenute in preziosi reliquari, dalla “cammaredda”, piccola stanza della  cattedrale in cui sono riposte nel corso dell’anno. I preziosi reliquari, uno dei quali, realizzato nel XIV secolo dal senese Giovanni di Bartolo 1370, riproduce il giovane volto della Santa, vengono scortati da migliaia di fedeli che si stringono intorno ai simboli della loro patrona in un abbraccio profondo e sincero. I reliquari sono posti su un fercolo antico intarsiato e dorato, ricoperto di fiori rossi, simbolo del sangue versato da Agata durante il martirio. La processione percorre  le strade a ridosso delle antiche mura della città e tocca luoghi storici del  martirio di Agata, quali la chiesa di S. Agata alla fornace, e il Santo Carcere e poi prosegue per Piazza Palestro, la Pescheria, la Calata della Marina.  La partecipazione popolare è intensa e rumorosa. Orazioni, invocazioni sono lanciate a voce alta da singoli o da gruppi di devoti, in un crescendo di rumori, urla, canti che scuotono il visitatore occasionale,  non ancora coinvolto nel misticismo incombente. Decine di migliaia di guanti bianchi sventolano lungo le strade percorse dai reliquari.

La gente di Catania, persone comuni, giovani, bambini, anziani  seguono con trasporto l’evento. Lo vedo nei loro volti, nell’espressione quasi trasfigurata di alcuni e commossa di altri. Rilevo un anelito comune a sfiorare le reliquie che passano, percepisco la tensione del fedele che freme dinnanzi al simbolo della propria fede, simbolo vicino e tangibile, quasi personale. Gli edifici barocchi della Catania settecentesca fiancheggiano, come quinte teatrali, il flusso ininterrotto di pubblico solcato dalla bianca scia dei fedeli. Non vi è balcone che non sia affollato al massimo della capienza. Sfilano le bande musicali  in costumi  e livree settecentesche e le autorità cittadine che, per l’occasione, spolverano vecchie carrozze trainate da eleganti destrieri. Dal mare di teste spiccano le  sagome dorate  delle candelore. Strutturate come ceri votivi  in legno intarsiato e dorato, alte alcuni metri,  raffigurano le tappe del supplizio di Agata in modo semplice ma efficace. In stile diversi, barocco, rococò, liberty, le candelore  rappresentano le varie corporazioni della città, quali i macellai, gli ortofrutticoli, i pastai, i tavernieri, i fiorai, i pescivendoli, gli artisti  e così via. Seguono i torcioni votivi, lunghe  candele, legate tra loro che emanano, soprattutto nell’incombente imbrunire, una luce calda  e un profumo di cera. La processione si arresta di fronte al convento di San Benedetto dove tuttora vivono  delle suore di clausura. Solo in occasione della festività di S. Agata le suore sono autorizzate a uscire a viso scoperto sul sagrato. In un silenzio improvviso, quanto irreale, le suore intonano dei canti melodiosi e dolcissimi che diffondono una pacata armonia nell’aria ancora intrisa degli strepitii  della folla, ora  rapita e commossa dalla soave voce delle religiose.

Nell’ampia piazza del Duomo si aduna una innumerevole massa di persone. Penso di poter dire che vi sia tutta Catania. Nel cielo esplode la fantasia pirotecnica dei mastri artigiani catanesi. I fuochi artificiali illuminano la piazza sottostante, in un susseguirsi incalzante di lampi assordanti  e variopinti, dove le tracce policrome solcano il buio del cielo in suggestive geometrie. Si odono i cori di stupore delle migliaia di teste rivolte all’insù. Gli occhi dei bambini brillano, affascinati dalle coinvolgenti  fantasmagorie.   Anche il viso di S. Agata, illuminata dalla cascata di luce, sembra apprezzare lo spettacolo pirotecnico ideato dai  suoi concittadini per celebrarla. Fanno da contorno innumerevoli bancarelle stracolme di dolciumi, candido zucchero filato,  liquirizia, profumatissimo torrone, semenze, olivetti, piccoli dolci di pasta di mandorle molto zuccherate e poi i palloncini colorati che i bambini adocchiano, nonostante il frastuono circostante li stranisca un po’. Circondato dalla folla festante, avverto, nei volti delle persone, l’intensità della  partecipazione  singola e collettiva, che tocca il cuore anche del turista  improvvisato. Con un turbinio di luci e suoni i fuochi artificiali si spengono. Rimane una cappa di fumo che lentamente si adagia sulla piazza e  sfuma il lento diradarsi della folla festosa.

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