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Il Bosone di Higgs e la nostra vita

di Mariano Colla
“Il Bosone di Higgs e la nostra vita” è lo stimolante titolo della conferenza tenuta ieri dalla dott.ssa Fabiola Gianotti all’Accademia dei Lincei.
Fabiola Gianotti è nota per gli importanti risultati raggiunti con le sue attività di ricerca e di coordinamento presso il CERN di Ginevra.
Una scienziata italiana di successo, un esempio per le giovani generazioni, a conferma della capacità e della professionalità che la scienza italiana può esprimere a livello internazionale quando le vengono forniti i mezzi e le opportunità.
Dunque il bosone di Higgs, evocato a volte, in chiave trascendente, come “la particella di Dio”.
Intanto è bene classificarlo: si tratta di una particella fondamentale come gli elettroni, i neutrini, i quarks e i fotoni che sono tali perché, al momento, non risultano ulteriormente scomponibili.
Il bosone è dunque una particella elementare sulla cui presunta esistenza Peter Higgs, fisico britannico, elaborò negli anni 60’ una complessa teoria fisico-matematica, ma si è dovuti giungere ai giorni nostri per dimostrarne sperimentalmente la presenza.
La Gianotti ha coordinato l’equipe scientifica internazionale che, presso il CERN di Ginevra e tramite il potente e sofisticato acceleratore di particelle LHC (Large Hatron Collider), ha confermato, lo scorso Luglio, l’esistenza di una particella dalle caratteristiche compatibili con le teorie di Higgs.
Di tale equipe hanno fatto parte molti giovani fisici e ricercatori italiani, quasi 200. La scienziata ha illustrato gli incredibili sforzi scientifici e tecnologici del CERN, dell’industria fornitrice della raffinatissima tecnologia dell’LHC, a cui ha contribuito l’eccellenza dell’industria italiana, dei sofisticati strumenti di calcolo e di rilevazione dei dati e degli scienziati e delle maestranze coinvolte.
Lavoro imponente, per consentire a due fasci di protoni di percorrere in senso inverso ad altissima velocità, prossima a quella della luce, i 27 chilometri del condotto sotterraneo dell’LHC (cento metri sotto la superficie), per poi collidere, in un punto preciso dell’anello, disintegrandosi in una miriade di particelle elementari. L’evento è stato fotografato da dispositivi in grado di scattare 40 milioni di fotografie al secondo, pari al numero di collisioni dei protoni. L’acceleratore lavora a una temperatura prossima allo zero assoluto (1,9 gradi Kelvin) per consentire l’impiego di superconduttori ad alta intensità di corrente in grado di alimentare i campi magnetici che devono orientare il tragitto circolare dei protoni. Un grande sforzo per un grande risultato, osserva la Gianotti, ed è lecito porsi domande sul perché di un tale impegno. La risposta sta nel desiderio di conoscere.
Secondo la scienziata noi, oggi, conosciamo abbastanza bene il mondo delle particelle elementari e delle loro interazioni, un po’ perché le abbiamo osservate tramite opportune sperimentazioni e un po’ perché sono state descritte da una teoria denominata “modello standard”, che ne ha consentito, con precisione assoluta, la rilevazione. L’unica particella elementare mancante, per completare la conferma delle teorie del modello, era il bosone di Higgs.
Senza entrare nella categorizzazione delle diverse tipologie di particelle, quali elettroni, quark, fotoni, gluoni, W, Z che ci porterebbe lontani, sappiamo, tuttavia, che il modello standard non è completo, ossia non è in grado di spiegare nella sua totalità il comportamento dell’universo.
Rimangono inevase importanti domande.
Sappiamo, per esempio, che la materia ordinaria occupa circa il 5% dell’universo. Un altro 20% è fatto di una materia denominata “oscura” perché non rilevabile dagli attuali strumenti scientifici e perché nessuna delle particelle descritte dal modello standard ha le caratteristiche compatibili con tale materia. Pertanto dovremo affidarci a qualche altra teoria che esplori il mondo fisico oltre il modello standard per spiegare il 75% dell’universo che, tuttora, risulta incomprensibile o ignoto, e che indaghi le apparenti asimmetrie tra materia e antimateria e le loro complesse dinamiche.
L’esperimento dello scorso Luglio ha consentito, dopo ben 10.000 miliardi di collisioni, di osservare una particella con massa 130 volte maggiore del protone, con caratteristiche molto simili a quelle attese per il bosone di Higgs.
E’ ora opportuno descrivere l’importante funzione associata a questa misteriosa particella, così come l’aveva intuita Higgs nella sua teoria.
Bisogna intanto premettere che prima di tale intuizione, ora sperimentata, non era nota l’origine della massa delle particelle elementari.
Il primo modello standard, infatti, descriveva particelle prive di massa, ma Higgs introdusse un meccanismo (il campo di Higgs) che consentiva di fornire una massa anche a queste particelle. Secondo la teoria del fisico britannico le particelle elementari hanno acquisito la loro massa un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, quando il così detto campo che ha preso il suo nome è entrato in funzione. Le particelle che avevano una interazione forte con il campo hanno acquisito una massa, le altre no.
Semplificando al massimo i concetti, con buona pace dei fisici teorici, immaginiamo che nel momento del Big Bang vi sia stato un gas di particelle senza massa che vagavano per l’universo alla velocità della luce. In questo universo primordiale esisteva già un campo di Higgs, un sistema di onde elettromagnetiche trasparente al movimento delle particelle elementari.
Con la progressiva diminuzione della temperatura, dopo il Big Bang, il campo di Higgs ha subito una trasformazione che ne ha determinato una maggiore densità (cambio di fase) tale da consentire una interazione forte con le particelle che lo attraversavano. Poiché, secondo i principi della meccanica quantistica, a ogni campo è associata una particella, al campo di Higgs è stata associata la particella omonima, ossia il bosone, la cui caratteristica più importante, all’interno del modello standard, è quella di interagire con tutte le altre particelle fornendo loro una massa. In modo semplicistico è come dire che il bosone è una specie di generatore di massa e, forse anche per questo, è stato chiamato particella di Dio. In effetti, nell’economia dell’universo non è un ruolo di poco conto.
Quale può essere il ruolo dell’errore in questo complesso meccanismo? La Gianotti, sollecitata da una mia domanda, ha risposto che anche l’errore, in fisica, è considerato con rigore e precisione, e che sperimentazioni ripetute tendono a limitarne l’impatto. Sarà, ma quanto accaduto poco tempo fa sulla velocità dei neutrini, considerata per un po’ di tempo maggiore di quella della luce, qualche perplessità la fa nascere.
Quali saranno i prossimi passi?
L’LHC è stato costruito per rispondere a molte domande. Alcune, come l’origine delle masse sono prossime a una risposta, altre, sulla materia oscura, costituiranno l’impegno per il futuro. La tecnologia dell’LHC dovrebbe consentire 20 anni di esplorazione, è stato confermato dalla Gianotti, la quale, a questo punto della conferenza, ne ha evocato il titolo: “il bosone di Higgs cambierà la nostra vita?”.
Per l’uomo comune sorge, infatti, spontanea la domanda: ma a me che cosa importa della massa delle particelle?
Il punto è che se noi esistiamo è proprio perché le particelle hanno massa e si comportano in un determinato modo e, quindi, ogni ulteriore scoperta svela qualcosa in più della nostra natura. Osserva, inoltre, la scienziata: ogniqualvolta si fa un passo avanti nella conoscenza, è prevedibile un progresso. La nostra vita è cambiata perché per trovare il bosone la tecnologia ha dovuto fare molti passi avanti e la comunità, prima o poi, ne trarrà dei benefici (es.: positron emission tomography inventato al CERN).
L’Italia ha dato un grande contributo al CERN, già partendo dal fisico Amaldi e poi con i direttori Rubbia e Majani, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e oltre 600 ricercatori che hanno fornito la loro collaborazione.
La logica conseguenza di tutto ciò è un’amara riflessione della Gianotti sullo stato penoso della ricerca in Italia, disciplina abbandonata a se stessa, soggetta al progressivo depauperamento delle eccellenze e di una scuola scientifica dalla lunga tradizione. Un’altra voce si aggiunge al coro che ritiene la cultura e la conoscenza un incubatore indispensabile per la formazione delle giovani generazioni. Laddove la politica sostiene che la “cultura non si mangia” quali speranze ci sono? Cerchiamo di essere tutti ottimisti e crediamo in un’Italia migliore.

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