L’incontro fra Ilaria Giovinazzo e Lalla risale all’epoca degli studi universitari di Storia delle Religioni. “Ho incontrato Lalla, o Lal ded, mentre studiavo i testi sullo shivaismo kashmiro, volgarmente chiamato tantrismo – racconta Ilaria – Mi innamorai letteralmente della sua figura e dei suoi versi ma all’epoca trovare qualcosa di completo su di lei era difficilissimo.”
Nel corso degli anni Lalla è rimasta in un angolo del cuore della scrittrice, i suoi versi hanno continuato a far parte della sua esperienza umana e spirituale, tanto da citarla in esergo nella sua terza raccolta di poesie.
La passione per Lalla ora è un libro: “Pura luce. Canti mistici del tantrismo kashmiro“. Cento versetti raccolti che racchiudono gli insegnamenti di una figura venerata da indù e musulmani.
“A un certo punto – racconta la curatrice – ho avuto come un richiamo, era l’estate del 2023 e grazie ai siti delle biblioteche e delle librerie online sono riuscita a reperire materiale su di lei, anche se non esisteva nulla in italiano. Forse è proprio per questo che ho sentito l’esigenza di lavorare a questo libro. Esistono moltissime versioni dei versetti di Lalla, più o meno fedeli alla versione in kashmiri, in inglese, in sanscrito, in hindi, in francese e spagnolo. E mi è sembrato doveroso, se non necessario, fare questo lavoro di traduzione, per poter condividere la saggezza di Lalla anche nella nostra lingua.”
Nel lavoro di traduzione l’autrice si è avvalsa della prima versione inglese dei suoi versi, stilata da lord Grierson nel 1920. Fu lui a far scoprire Lalla all’Occidente. Ma la sua versione era farraginosa e in alcuni casi troppo distante dall’immediatezza della versione originale (i versi originari sono perlopiù quartine in rima molto sintetiche).
Grierson tendeva a dilungarsi in spiegazioni al lettore e i versi erano appesantiti da questa sua tendenza didascalica.
In che modo ha affrontato il lavoro di traduzione?
“Mi sono messa in contatto con un professore indiano, il prof. Ranjit Hoskote, che ha realizzato una bellissima versione in inglese per la Penguin India, chiedendo se potessi mettere a confronto la sua versione con quella di Grierson e utilizzare anche alcuni suoi versetti tradotti. Ha accettato e lo ringrazio infinitamente per la sua disponibilità. Oltre a questi due testi ho tenuto presenti altri due lavori, di altri due docenti originari del Kashmir, che hanno prodotto versioni in inglese dei versi di Lalla. La versione italiana dunque, è frutto di un lavoro delicato in cui quello che ho cercato di fare è stato sia non tradire eccessivamente l’immediatezza dei suoi versetti quanto di renderli fedeli al significato del testo e, non ultimo, cercare di mantenere il tono semplice che Lalla usava nei suoi insegnamenti, pensati per la gente comune.”
Nell’introduzione del libro scrive che Lalla prima di essere una mistica e una poetessa era una donna. Cosa significa ‘essere una donna’ per il suo tempo?
Essere una donna non è mai stato facile, tantomeno nell’India del XIV secolo. Eppure alcune donne, in ogni tempo, sono riuscite a smarcarsi dagli obblighi loro imposti e a fare cose grandiose. Nel caso di Lalla, come anche di altre mistiche indiane, ma non solo indiane, la spiritualità ha rappresentato una via di fuga da una vita che seguiva rigide norme sociali. Com’era consuetudine, Lalla andò in sposa giovanissima, probabilmente intorno ai dodici anni, ad un uomo più grande di lei che abitava in un paese vicino. Dopo il matrimonio andò a vivere a casa dei suoceri insieme al marito e quello che ci si aspettava da lei era obbedienza, obbedienza al marito e ai suoceri. Ma Lalla sentiva dentro un forte trasporto verso il divino e nonostante svolgesse tutti i compiti richiesti ad una moglie, portava avanti il suo intimo percorso spirituale, studiando e probabilmente essendo discepola di qualche guru. Lalla discendeva da una famiglia di brahmani quindi in casa aveva avuto un’educazione di buon livello ed era pronta per ricevere quegli insegnamenti.
Ma queste sue pretese di autonomia non vennero viste di buon occhio dalla suocera che faceva di tutto per attaccarla. Fu così che lei decise di abbandonare casa e iniziare a vivere da vagabonda. Esistono altre figure di yogini erranti in India, ma anche le altre culture hanno esempi di donne che hanno abbandonato il ruolo imposto dalla società alle donne per vivere una vita più aderente al loro sentire. Ovviamente non è stato facile. Non lo è stato neanche per Lalla, anche se la tradizione spirituale in cui ella si colloca dava ampio spazio alle donne, strumenti divini e spesso vere e proprie maestre. Oggi Lalla in Kashmir viene ricordata e onorata come una santa sia dagli hindu che dai musulmani.
Nel libro cita un detto popolare “Se uccidono un montone o una pecora, Lalla avrà solo una pietra da mangiare”.
Lalla era ed è una figura talmente importante nel Kashmir che la gente del posto oltre a conoscere a memoria molti dei suoi versetti, li utilizza come proverbi o detti, tanto che vengono appunti definiti vakh, cioè “detti”. Questo proverbio ad esempio ricorda i maltrattamenti che Lalla subiva da sua suocera. Si racconta che al momento del pasto, sua suocera servisse cibo in abbondanza per tutti e mettesse invece nel suo piatto una pietra coperta di cibo, così da farlo sembrare pieno della stessa quantità degli altri. Le angherie subite hanno sicuramente portato Lalla a fare la scelta estrema che poi fece.
Le cito dei versetti chiedendole di commentarli.
“Lasciali pure ingiuriarmi e offendermi, lascia che dicano ciò che vogliono. Anche se mi portassero i fiori in offerta, non m’importerebbe. Niente può scalfire la mia purezza”
Questo è un versetto bellissimo. Lalla spiega come non dobbiamo mai attaccarci al giudizio della gente, che è soggetto al cambiamento. Che dovremmo rimanere saldi nella nostra fede, o nella nostra verità, sia che ci critichino e offendano sia che ci celebrino. Lei sa di essere giusta in Dio e niente può scalfirla. Riprende altre volte questo concetto, anche cambiando metafora. In un verso ad esempio afferma:
“Lascia pure che pronuncino mille insulti contro di me,
il dolore non avrà presa sul mio cuore.
Appartengo a Shiva.
Può mai un po’ di cenere rovinare uno specchio?”
Entrambi i vakh hanno lo stesso significato e un insegnamento, quello di non farci scoraggiare o distruggere da chi non ci comprende ma di rimanere saldi in noi stessi.
Alcuni scappano da casa, altri scappano dall’eremo. Ogni dimora è
infruttuosa se la mente è inquieta. Giorno e notte segui il tuo respiro
e resta dove sei.
Ogni verso di Lalla racchiude un insegnamento importante. Anche questo fa ben capire come non sia tanto importante il luogo fisico e la condizione in cui siamo quanto la nostra motivazione e il nostro equilibrio interiore. Se siamo inquieti possiamo anche andare a vivere in una grotta sui monti ma non raggiungeremo la pace interiore, quindi non è tanto importante stare in un posto piuttosto che in un altro quanto invece raggiungere la pace della mente. Quando parla di seguire il respiro sta facendo riferimento a una tecnica yoga fondamentale in cui per iniziare a meditare – ci sono vari livelli di meditazione, quella di concentrarsi sul respiro che entra ed esce dalle narici è una tecnica base – ci si concentra sul proprio respiro ad occhi chiusi. La pratica della meditazione per Lalla è addirittura più importante dei libri sacri. Quindi non è importante essere monaco o padre di famiglia – come dice in un altro versetto – quanto piuttosto perseguire l’equilibrio interiore e la ricerca della verità.
Non esiste nessun “tu” e nessun”io”,
nessun oggetto da contemplare.
C’e solo Dio, perso nei suoi sogni.
Questo è uno dei versi più “poetici” di Lalla. Ma anche qui, in pochissime parole, sta esponendo un intero sistema filosofico. Lo shivaismo kashmiro appartiene a quelle sette spirituali definite non duali, il che significa che rispetto all’induismo ortodosso o ad altre religioni in cui Dio e la creazione sono due cose diverse o comunque la creazione viene prodotta dalla divinità ed è esterna ad essa, per le filosofie non duali non esiste creazione, poiché tutto ciò che è manifesto è parte di Dio e non qualcosa di diverso da lui. Oltretutto, a differenza di altre filosofie non duali come l’Advaita Vedanta di Shankara, che considerava il mondo come illusione ‘maya’ o ‘lila’ gioco; nello shivaismo kashmiro non esiste neanche questa differenza: la realtà è Dio e attraverso ogni cosa esistente possiamo vedere Lui, ma per farlo dobbiamo ripulire lo specchio della nostra mente.
Perché quindi Lalla parla di sogno?
Perché il mondo della manifestazione viene concepito come qualcosa che Dio emana e che noi esperiamo come se fosse reale ma in realtà Dio sta solo sognando, immaginando forme e colori, è sempre Lui. C’è un altro vakh importante che richiama questo concetto (in realtà ce ne sono diversi ma uno è particolarmente affine) è il versetto 76 in cui dice:
“Tu sei Tutto. Tutto è Narayana1! Tutto è Narayana! Signore, che senso hanno dunque tutte le tue maschere?”
La realtà non è altro che qualcosa che la Coscienza divina proietta su sé stessa in un’apparizione luminosa (ābhāsa), come su uno schermo, o come un riflesso su uno specchio. Il mondo è così una manifestazione della divinità che lo anima e penetra completamente.
Non voglio dilungarmi in questioni filosofiche complesse, ma spero di aver fatto capire come dietro un versetto di poche parole in apparenza semplici, in realtà si nascondano concetti importantissimi e insegnamenti spirituali di altissimo livello.
di Mario Masi
foto di copertina: Dino Ignani