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Love is, alla ricerca dell'amor perduto

di Giorgia Petrini

Oggi, se all’amore basta un click per iniziare o per finire, anche su internet, ad uno squilibrato basta una foto in tuta da sub con una fiocina in braccio per mettere in giro racconti di fantasia isterica sui templari ancora in vita e fare una strage indisturbato in un qualunque posto tranquillo del mondo: quasi 100 morti (senza pensare alle famiglie disperate) è il conto che si paga… Se mentre guidi nel traffico ti imbatti in una manifestazione metti sotto un po’ di gente, che importa? Basta che tu arrivi a casa per cena o che la strada sia sempre libera per te come il mare si è miracolosamente aperto nei racconti della Bibbia… Se tuo figlio da grande vorrà fare il tutore di chi avrà avuto meno fortuna di lui, insegnagli ad abusare dei bambini che cresceranno col suo aiuto, a mandarli a letto senza cena o a metterli faccia al muro per delle ore, tanto, che vuoi? Al giorno d’oggi lo fanno in tanti… Non sarà certo lui lo strano. Se da un lato le metaforiche “fiction” su Misseri affiancano via web il tormentone mediatico anti campagna delle bambine in lingerie (che è esattamente quello a cui punta un “bravo utilizzatore” del marketing virale) – che sconvolgono il pubblico sociale della rete – dall’altro lato la storia del “papa ricco” che dovrebbe “contribuire economicamente” alla fame nel mondo (manco fosse Silvio Berlusconi che aiuta l’amico con “una nuova attività”) spopola spudoratamente tra ignoranti credenze pagane dettate da persone troppo spesso senza scrupoli (ignare perfino del fatto che Giovanni Paolo è morto “nullatenente” dopo una vita di sofferenze) e assedia il pregiudizio popolare già tanto amaramente padrone di questo nostro mondo ormai troppo affaticato dalla nostra incapacità di saperlo amare come dovremmo.

Eh già. Di amore titola il post e di amore ormai troppo poco si è… in cerca, a tutti i livelli. Non è più nelle nostre corde. Quello “sentimentale” (come ce lo vendono le fiabe mediatiche di oggi) è esclusiva del gossip che ci regala “un’estate di sofferenze” per la scissione Clooney / Canalis; quello popolare è il manifesto dei fans di Vasco Rossi che c’ha …”il mal di vivere”, povero, e che si sente un esempio nel doverci comunicare che “grazie al connubio di un equipe medica che lo intossica quotidianamente ci omaggia ancora delle sue belle canzoni”; e poi c’è Amy Winehouse, che ci lascia anche lei con il tormentone mediatico della povera Amy che ha dato alla RAI perfino lo spunto per accendere un faro su una nuova trasmissione che parlerà solo dei “morti del rock” (argomento del quale abbiamo tutti “un profondo bisogno umano” ovviamente), di questi idoli della storia dell’umanità che hanno costruito e sfasciato continuamente generazioni di giovani che da figli dei fiori in cerca del nulla sono spesso diventati genitori incapaci o portatori insani di quel “liberalismo deleterio” che ha fatto della mamma “l’amica” e del papà “il compagno” di giochi…

Nessuno mette in dubbio che queste (da Misseri in poi) siano storie che esprimono un disagio che va “rispettato”, che va socialmente compreso, che va curato e sicuramente anche (nel giusto modo) condiviso con la gente, ma che Vasco diventi il testimonial dello psicofarmaco, o che di Amy non si cerchi di scindere il talento dal tanto discusso stile di vita è, secondo me, una deresponsabilizzazione della società tutta nei confronti delle giovani generazioni prima, di noi stessi poi e del contagio della cultura da “sballo creativo” natural durante.

La vera domanda è: per essere Janis Joplin (che io per altro adoro da sempre) è così necessario vivere in preda all’LSD e morire di overdose o c’è dell’altro? Cosa c’è di diverso tra una star di successo mediamente infelice e insoddisfatta della vita, ai nostri occhi portatrice di quella ricchezza economica che “tutto può” (?), e un morto di fame in fila alla Caritas col sorriso sulle labbra? “I soldi non fanno la felicità” lo dicono tutti ormai, ricchi e poveri, solo che i ricchi, guarda un po’, sempre più spesso sono… infelici. Ma può essere? Ma qualcuno questa domanda se la fa? Se una madre ficca la figlia neonata nella lavatrice o se dei ragazzi di 15 anni si scannano a coltellate per una partita a carte qualcuno si chiede come mai? Cosa sappiamo dell’uomo che ha sfregiato la fontana patrimonio dell’umanità? Il Sindaco si è preoccupato di obbligare un TSO (che vi auguro di non scoprire mai che cosa sia davvero) ma ha provato ad incontrarlo? A capire chi è, da dove viene, cosa gli è successo nella vita per essere diventato “un vagabondo del centro noto alle forze dell’ordine”…

E’ ovviamente una provocazione costruttiva, ma mi viene di pensare a Giovanni Paolo che incontrò il suo aggressore per perdonarlo guardandolo negli occhi nel tentativo di capire a cosa si ispirasse tanta rabbia che in quel gesto ancora oggi racchiude l’incredulità di tutti, fedeli e non. L’amore è poca cosa in fondo. Si prende, se proprio s’ha da fare, ma “indietro” di sicuro non si da. Eppure l’amore è di per sè unilaterale, l’unico in grado di declinarsi esente la relazione, l’interesse personale, l’aspettativa dell’essere ricambiati… E’ amore. Amore e basta. Ha lo stesso valore che per l’essere umano dovrebbero avere atti come la lealtà, l’amicizia, la fratellanza, la giustizia o ogni altra condizione nel merito della quale non esiste pensarla in un modo o in un altro perchè sono beni assoluti, indiscusse condizioni necessarie, anzi aspirazioni naturali alle quali ognuno di noi dovrebbe anzitutto ambire con il cuore, se davvero volesse ritenersi degno di essere noto al genere animale come membro del genere umano. Invece no. Invece paga la popolarità a fini di lucro, la convenienza relazionale, l’opportunità speculativa, la relazione selettiva del prossimo… e niente a questo mondo, oggi più che mai, sembrerebbe essere frutto del solo, unico e sentito amore.

Se un mondo migliore è quello che desideriamo davvero, non possiamo prescindere dalle nostre risorse più primitive e, per quanto inutile o banale agli occhi di molti possa sembrare, tutti intenti alla corsa contro il tempo per dare la propria vita in dono alla nullità, dobbiamo tornare a valorizzare nel giusto modo le relazioni umane non privandole più dell’onestà intellettuale, della profonda intelligenza e dell’amore disinteressato, che in questo Paese hanno storicamente e sempre distinto santi e scienziati da briganti e malfattori, ma aspirando ad essere persone migliori.

Questa Italia ha bisogno di chi non ha bisogno di niente e soprattutto di chi crede in quello che fa.  Non credo servano molte altre cose per capire che dovrebbe essere un impegno comune e che noi siamo oggi l’unica possibile chance per poter dare a questo Paese un futuro migliore di quello che oggi il buon Vasco, con le sue “turbe”, è in grado di donare ai nostri giovani – metafora che mi auguro venga compresa per quello che è, una metafora appunto.

Abbiamo bisogno di sapere che si può fare e, capito questo, abbiamo bisogno di farlo, per il bene di un Paese – che mai vi ringrazierà – al quale avrete donato di vostro tutto ciò che eravate in grado di donare a prescindere. Perchè? Perchè, alla resa dei conti, solo questo è ciò che davvero salverà le nostre anime. Almeno la mia… Credo che in fondo le metaforiche figure di Amy e Vasco questo chiedano e a questo vogliano essere immolate: a quell’amore naturale e umano dal quale tutti, prima o poi, abbiamo bisogno di sentirci avvolti per poter serenamente “abbassare la guardia” dall’aspettativa altrui, non tanto, o non solo, come ricettori (manifesto dei fans appeso nella camera di un ventenne che non sa cosa vuole dalla vita come molti ce ne sono purtroppo) quanto come donatori. Questo è l’esempio che dovremmo cogliere e il vero valore che dovremmo cercare di trasmettere ai nostri giovani e a noi stessi… altrimenti Piero Angela ha ragione: il maiale e l’essere umano hanno lo stesso DNA… ma a questo punto non solo quello.

http://giorgiapetrini.blogspot.com/

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