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FMI: l'israeliano Fischer, possibile successore di Strauss-Kahn

di Paolo Cappelli

 

Mentre il mondo viene a sapere di un nuovo stanziamento di fondi pari a 12 miliardi di euro a favore del governo greco, Stanley Fischer, Governatore della Banca Centrale d’Israele sta valutando un’offerta formale che lo vorrebbe proprio a capo dell’ente erogatore di tale prestito e cioè del Fondo Monetario Internazionale. Fischer, già vicedirettore generale del FMI, è un esperto della materia. Tuttavia, sebbene sia molto rispettato dai banchieri centrali e dai Ministri delle Finanze di diversi paesi, il suo attuale incarico renderebbe più difficile ottenere il sostegno dei paesi arabi e degli altri paesi emergenti.  George Abed, ex capo dell’Autorità Monetaria palestinese, ne ha però rafforzato la posizione affermando la settimana scorsa che Fischer è “il più qualificato tra tutti i candidati che i media hanno citato finora”. Abed ha definito Fischer una persona “pragmatica, politicamente saggia ed esperta dal punto di vista manageriale”.  Per contro, il candidato più quotato è finora il Ministro delle Finanze francese Christine Lagarde, che è forte del diffuso sostegno in Europa e del 35% dei voti di cui disporrebbe in seno al FMI. Di fatto, per essere chiamati a dirigere il Fondo è sufficiente ottenere la maggioranza semplice.

Circa 15 giorni fa, il ministro Lagarde e il Governatore della Banca Centrale del Messico, Agustin Carstens, si sono detti disponibili a sostituire l’ex amministratore delegato del FMI Dominique Strauss-Kahn, dimessosi dopo essere stato arrestato a New York con l’accusa di avere abusato sessualmente di una delle inservienti dell’albergo presso cui alloggiava. I principali governi europei si sono presto coalizzati per sostenere il ministro Lagarde, ma le economie emergenti, guidate dal gruppo BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), hanno chiesto di rompere una tradizione lunga sessant’anni che vuole un europeo a capo del FMI e un americano come suo vice. Carstens spera di congelare l’impeto del blocco dei Paesi che rappresentano i mercati emergenti, almeno fino a quando non si faranno avanti altri candidati provenienti da paesi in via di sviluppo, uno dei quali potrebbe essere l’ex Ministro delle Finanze sudafricano Trevor Manuel. Il FMI vorrebbe presentare una rosa di tre candidati entro il 10 giugno, per poi scegliere il nuovo Presidente entro la fine del mese. Gli Stati Uniti, il cui peso è pari al 17% dei voti, potrebbero riuscire a far nominare la signora Lagarde, ma non hanno ancora dichiarato apertamente di volerla appoggiare, così da rendere le procedure eque e trasparenti. L’Unione, tra l’altro, vorrebbe far eleggere David Lipton, Consigliere Economico della Casa Bianca, quale vicepresidente, la stessa posizione precedentemente occupata proprio da Fischer. Ma se l’Europa dovesse decidere di interrompere la tradizione e cedere la posizione di presidente, gli Stati Uniti dovranno probabilmente rinunciare a quella di vice. Nell’ultimo incontro degli otto paesi più industrializzati, pur se sollecitato dal Presidente francese Sarkozy, il Presidente Obama non ha preso posizioni ufficiali a favore di alcun candidato e non ha detto di preferire Lagarde rispetto ad altri.

Qualora né il Governatore Carstens né il Ministro Lagarde fossero in grado di ottenere consensi di là da quelli raccolti nella rispettiva regione economico-geografica, la scelta potrebbe ricadere su Fischer, pur apparendo questa una soluzione di compromesso. Va detto, però, che fonti vicine al FMI indicano che Fischer, nato in quello che oggi è lo Zambia e in possesso di un doppio passaporto israeliano e americano, gode di sostegno anche al di fuori del paese mediorientale. Le probabilità di riuscire nell’impresa, tuttavia, sono molto limitate. In particolare due sono gli elementi a sfavore: ha trascorso gran parte della sua vita negli Stati Uniti e ha già ricoperto la carica di vicepresidente giocando la carta della cittadinanza americana.

Secondo Domenico Lombardi, economista della Brookings Institution ed ex membro del Consiglio del Fondo, qualora l’Europa decidesse di rinunciare alla tradizionale posizione di vertice, ciò avverrebbe “per consentire una maggiore partecipazione delle economie emergenti, scoraggiando al contempo una candidatura da parte del primo e principale azionista del FMI. Sarebbe molto difficile [per Fischer] presentarsi come non americano, avendo già ricoperto la carica di vicepresidente, proprio perché americano”.

A ben vedere e basandosi solo sui titoli posseduti, Fischer è uno dei dirigenti più qualificati a guidare il Fondo Monetario Internazionale: il rispetto guadagnato nell’ambito dell’istituzione è il risultato di una lunga carriera di economista accademico e del suo impegno presso la Banca Mondiale. Tuttavia, secondo lo stesso Lombardi, anche con tali qualifiche Fischer “non regge il confronto politico con altri candidati. E’ un tecnocrate fortemente rispettato, ma non è un politico. Questo fattore potrebbe assumere un peso significativo, visto il maggiore ruolo politico che il FMI ha avuto negli ultimi due anni”.

Inoltre, Fischer ha 67 anni, due in più del massimo previsto dalle norme del Fondo per essere selezionati come dirigente; ma alcune voci interne all’istituzione hanno già fatto sapere che il consiglio potrebbe approvare una deroga o una qualche forma di emendamento a tale limitazione. I paesi asiatici, invece, potrebbero mostrarsi esitanti verso la candidatura di Fischer a causa del suo ruolo durante la crisi finanziaria asiatica nel biennio 1997-98 (anni in cui era vicepresidente). La crisi, infatti, viene ancora oggi ricordata come un momento in cui il Fondo impose misure vessatorie alle nazioni in bancarotta in cambio dei prestiti di salvataggio.  Fischer ha dalla sua parte un folto numero di colleghi nell’Amministrazione Obama, tra cui il Ministro del Tesoro Timothy Geithner. Durante la crisi asiatica, Geithner, all’epoca funzionario per gli affari internazionali, lavorò a stretto contatto con Fischer al fine di elaborare strategie volte al contenimento della crisi economica. Gli Stati Uniti, tuttavia, si opposero alla candidatura di Fischer alla poltrona di direttore del FMI nel 2000. All’epoca, Fischer ottenne un notevole sostegno dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma gli Stati Uniti lo abbandonarono a favore della tradizionale ripartizione che vede la prima carica del Fondo occupata da un europeo e la seconda da un americano. Fischer, dal canto suo, è convinto di poter limitare le voci dei detrattori che non vorrebbero un candidato israeliano, in quanto ha ottimi rapporti, anzi si potrebbe dire persino stretti legami con i vertici palestinesi, tra cui compaiono, ad esempio, il primo ministro palestinese Salam Fayyad (che gli è debitore per alcuni vantaggi di carriera ottenuti durante la sua permanenza al FMI) e George Abed, già a capo dell’Autorità Monetaria palestinese (AMP).

Fischer e Abed erano colleghi al FMI prima che il secondo assumesse la guida dell’AMP, ente regolatore delle banche della Cisgiordania e della Striscia di Gaza e futura banca centrale palestinese nel momento in cui alla Palesitina sarà riconosciuto uno status giuridico autonomo. Fischer aiutò Abed a riformare e far tornare in auge l’AMP, tanto che Abed stesso dichiarò: “nel corso del mio mandato come governatore dell’AMP in circostanze politiche molto impegnative, Stan, in qualità di governatore della Banca d’Israele, è stato di grande aiuto a me e in seguito al mio successore, soprattutto nel gestire il rapporto estremamente difficile tra banche israeliane e palestinesi”.

E’ presto per dire se Stanley Fischer riuscirà nel suo intento. Di sicuro dovrà giocare bene le sue carte per evitare di essere nuovamente lasciato solo da quella che è la sua patria di adozione. Sicuro dell’appoggio nel mondo mediorientale, ha iniziato la sua partita a scacchi per raggiungere un risultato il cui raggiungimento deve sembrargli arduo come mai in precedenza.

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