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Siria: il dolore dimenticato. Intervista a Shady Hamadi

di Marzia Santella
Mi chiedo spesso se la nostra indignazione, la nostra commozione difronte agli eventi nasca dai fatti come accadono o se siano pilotati dai media di massa che ci mettono davanti un terremoto piuttosto che un genocidio. Una bomba negli Stati Uniti che provoca quattro morti ha pagine intere su tutti i giornali, 11 bambini trucidati in Siria: un trafiletto dimenticato tra altre notizie di cronaca. Il rispetto non andrebbe dato a tutte le stragi, a tutti i morti? Non dovrebbero esserci morti di serie A e di serie B. La realtà purtroppo è fatta di notizie che provengono dai “soliti Paesi” tralasciando completamente genocidi di massa, perpetrati nei modi più cruenti e violenti, come accade nell’Africa centrale, senza alcun rispetto di donne, bambini e uomini colpevoli solo di essere nati nel luogo e di etnia sbagliati. La Siria fa parte di questi luoghi dimenticati: c’erano venti milioni di abitanti: ora quattro milioni sono profughi. Oltre 70 mila morti dall’inizio della rivoluzione, nel 2011, nata sull’onda  della: “Primavera Araba”. I giovani hanno fatto la differenza , maturando una nuova consapevolezza per cui il popolo può rovesciare il regime, al potere per un colpo di stato, dal 1963. In questi due anni sono state rase al suolo tante città, torturati e uccisi i giovani che hanno tentato di guadagnare la libertà per il proprio Paese sotto il controllo di Hafiz al-Assad e di suo figlio: Bashar al- Assad.
Un giovane giornalista e scrittore italo siriano: Shady Hamadi, ha deciso di scrivere un libro: “La felicità araba” per raccontare ciò che sta accadendo nella sua terra che era definita la culla del pensiero arabo: la Siria. Un Paese che versa in uno stato di isolamento assolutamente incomprensibile. Un racconto che si sviluppa tra la storia del nonno Ibrahim, il padre Mohamed: costretto a lasciare la sua terra dopo aver subito  arresti e torture, e la storia del Paese, analizzandone il carattere, il coraggio e l’orgoglio. Puntando il dito contro una comunità internazionale, in cui si inserisce anche l’Italia, disinteressata fino ad ora. Il premio nobel: Dario Fo ne ha scritto la prefazione vedendo in questa opera un contributo prezioso per prendere coscienza di ciò che accade nel mondo, per far maturare un sentimento cosmopolita dove, da cittadini del mondo, dovremmo essere solidali con gli altri, senza confini di Stato, senza razze. ( …) “Diventare cittadini del mondo come ha fatto il mio amico Shady Hamadi e decidere di capire cosa c’è dietro ai fatti”. Il sostegno di Amnesty International a questo volume ne segna l’importanza  per la denuncia di una  Siria non considerata dagli organismi internazionali e le agenzie intergovernative.  Ho posto alcune domande all’autore:
Un volume: “La felicità araba” che suona come un grido di aiuto per la tua Sua terra e contemporaneamente, un manifesto dell’orgoglio per la Siria e tutti i giovani, gli eroi che hanno perso la vita, che sono stati costretti ad andare all’estero come suo padre per salvarsi la vita, e coloro che stanno ancora combattendo per liberarsi dal regime dittatoriale. Quali spera saranno gli effetti?
Spero che questo volume possa aiutare la gente a conoscere la Siria, quella vera, massacrata da due anni e poco raccontata. Mi auguro che alcuni personaggi, che in Siria sono ormai leggenda, vengano scoperti anche qui. Desidero che il dolore siriano, le frustrazioni e l’infelicità di più generazioni vengano riconosciute dall’Occidente, in questo caso l’Italia, e che si risponda a questa tragedia con solidarietà.
Dopo l’11 settembre non si può negare che ci sia stato una demonizzazione del mondo arabo come fucina del terrorismo internazionale. Lei sostiene che la “felicità araba” sarà un effetto della sconfitta della dittatura siriana. Pensa che sarà possibile una condizione di stabilità e felicità in quell’area?
Sono convinto che la Siria sia il cuore pulsante del Medioriente e che un cambiamento in questo paese non possa che favorire un rinnovamento nei paesi vicini. Gli equilibri geopolitici posso del levante si reggono da quarant’anni intorno all’agenda di Damasco. La felicità araba è un processo che durerà decenni ma che abbiamo già sotto gli occhi: la società civile araba, la sconfitta del fatalismo come regola di vita e il diventare protagonisti politici-sociali della propria vita, sono alcuni degli effetti di queste rivoluzioni.
Ciò che stupisce, leggendo il libro, è il carattere del popolo siriano: ironico, coraggioso e orgoglioso. Una giovane generazione di siriani ha deciso di provare a mettere fine ad un regime dittatoriale iniziato nel 1970, attraverso i social network: Facebook per comunicare, YouTube per mostrare ciò che sta accadendo ai siriani ed al mondo. Come si spiega il disinteresse della comunità internazionale?
Il dolore non ci interessa fino a quando non ci tocca” mi ripeto sempre questa frase. Ci sono molte motivazioni, una fra le tante è l’abituarsi alla tragedia: come è possibile che non faccia notizia la morte di 150 persone al giorno in Siria? Come è possibile che, a quattro ore di volo dall’Italia, ci sia un regime che bombarda le città, uccide il suo stesso popolo e cancella la storia di un paese che è la culla della civiltà?
Le donne stanno avendo un ruolo importante nella rivoluzione: combattono nell’Esercito libero siriano, raccolgono documentazione, partecipano attivamente negli aiuti umanitari. Nel futuro di una Siria democratica, si potrebbe auspicare ad una loro presenza al governo: una rivoluzione nella rivoluzione.
Certo, è essenziale che le donne partecipino a tutte le cariche di governo e diventino protagoniste, come lo sono ora, della vita politica. Io sogno per la Siria una donna presidente della repubblica. E’ altrettanto vero che c’è ancora una strada di emancipazione che la donna siriana deve percorrere, ma sono fiducioso. Come ho detto, il mondo arabo è in trasformazione: diamogli tempo.
Lei descrive una comunità internazionale cieca e sorda, un male che ha tante facce nel pianeta ma, stranamente, viene focalizzata l’attenzione dei media solo sul terrorismo medio orientale per propri interessi e convenienze, decretando di fatto l’intero mondo arabo come responsabile di tutti i mali scatenando fobie di massa. Crede ci possa essere, in futuro, un ridimensionamento di questo fenomeno o la vicinanza di un arabo musulmano continuerà a creare paura e diffidenza?
Questo è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Dobbiamo sforzarci a riconoscere l’altro, a parlare CON gli arabi e non DEGLI arabi. Solo con un incontro tra occidente e oriente, con il loro innamoramento, potremo davvero costruire una società cosmopolita del mediterraneo. Dovremmo guardare gli arabi con occhi diversi, dovremmo dipingere la generazione dei ragazzi arabi come una di partigiani e pacifisti che hanno avuto il coraggio di riappropriarsi delle loro vite, di richiedere i loro diritti civili. “L’incontro” è l’unica nostra possibilità di salvezza dallo scontro di civiltà e per capire che, forse, dovremmo trarre ispirazione per cambiare anche la nostra società.
E’ tempo di smetterla di voltare le spalle agli altri.  E’ tempo di essere solidali perché non c’è niente di peggio di essere soli, non c’è niente di peggio della morte dei bambini… e se fossero figli nostri? E  se attorno a noi ci fosse il silenzio?
 

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