di Marina Capasso
Dopo averci sperato tanto e lottato per ottenere questo traguardo, David William Caruso, cantautore romano classe 1984, è riuscito a calcare il palco dell’Auditorium di Roma. Ieri sera il Teatro Studio Borgna, completamente pieno di amici e sostenitori, lo ha visto, insieme alla sua band, impegnato nella presentazione del suo prossimo album “Non voglio rimorsi”. Per l’occasione lo abbiamo un po’ costretto a raccontarci di sé…
Chi sei David William Caruso e cosa ti spinge ancora alla tua età a lottare per il tuo sogno?
«Sono un semplicissimo amante della musica. Dire “amante” è un eufemismo. Sono un drogato di musica da sempre. Non posso davvero farne a meno. Ne ascolto tanta ma non di tutti i generi. Non sono uno di quelli che sente la necessità di aprirsi a nuovi orizzonti. Sono innamorato di alcuni tipi di musica e ascolto quelli ogni momento. Sono troppo vecchio sotto alcuni punti di vista e decisamente troppo infantile rispetto ad altri. Mi piacerebbe definirmi un “uomo” vista la mia età ma non riesco ad essere completamente indipendente e questo mi frena nel definirmi tale. Sono sicuro di me, ma sempre con umiltà. Ciò che mi spinge a lottare a trent’anni per il mio sogno è la paura. Oltre a l’amore smisurato che nutro per quello che faccio, del piacere che provo a cantare le parole che sono un momento prima solo su carta e ancora prima solo nella mia testa, la forza che maggiormente mi spinge è la paura. La paura di avere questa maledetta sensazione di insoddisfazione ed inadeguatezza che mi porto addosso ogni giorno. Una paura che svanisce solo quando sono sul palco. Solo in quel momento in cui riesco ad essere davvero sincero e raccontare di me e descrivere come vedo il mondo che mi circonda. La paura di un lavoro meccanico, la paura di essere sempre subordinato a qualcuno e non poter mai dire ciò che penso, la paura di essere precario fino a 40 anni e non poter assicurare un futuro a chi mi sta accanto, la paura di vedere la delusione negli occhi di chi da anni crede in me…come si dice “la paura è una delle mie migliori amiche”».
Hai dichiarato di aver svolto più mestieri nella vita, ma quando hai deciso realmente di fare della musica il tuo lavoro ? «Sai Marina, si pensa che i giocatori di calcio più forti della storia erano felici in campo e sempre sorridenti perché consapevoli delle loro doti e quindi spocchiosi e spregiudicati. Invece è proprio il contrario. Loro erano i più forti perché si divertivano quando giocavano. Se una cosa la fai sempre perché ti piace farla, col sorriso, senza pensare ai soldi, ti verrà al meglio, se questa diventa un lavoro allora sarai un giocatore qualunque, o come spesso può accadere anche ai grandi della musica “un giocatore finito”. Spero che mi perdonerai per questa metafora ma credo di aver reso l’idea ed aver sollevato una piccolissima polemica implicitamente. Ho scelto di tentare di dedicarmi alla musica a tempo pieno qualche anno fa e non ti nego di essermi prefissato una “scadenza” entro la quale mi sono anche preposto degli obiettivi. Se non dovessero arrivare questi obiettivi allora continuerò ancora ad essere ossessionato dalla musica, ma questo resterà tra le mura di casa mia».
Raccontaci delle figure di riferimento che ti hanno accompagnato e influenzato nel tuo percorso
«Ho ascoltato ed apprezzato generi davvero molto diversi tra loro. Se dovessi raccontare coloro che mi hanno accompagnato potrei essere davvero prolisso. Mi limiterò a descrivere le figure che mi hanno influenzato. Nel panorama musicale italiano sicuramente quelle figure melody-rock. Il Vasco degli “Spari Sopra”, il Ligabue di “Rose coltelli lambrusco e pop-corn” , il Grignani di “Fabbrica di Plastica”, il Moro di “Ognuno ha quel che si merita”. Sai, chitarroni distorti e belle storie di persone normali!!! Il vero rock!!! Per quanto invece riguarda la musica internazionale sono stato un malato dei Guns’n’Roses, il mio primo vero amore. Ho la partitura di “November Rain” tatuata addosso per motivi personali, anche se il mio pezzo preferito resta “Estranged”. Credo che “Appetite for destruction” sia uno degli album più belli del rock di tutti i tempi. Invece il secondo amore che è quello che ancora coltivo è verso il ragazzo ribelle del Jersey. Molti preferiscono chiamarlo “Boss”. E’ comunque sempre lui Bruce Springsteen. Un uomo che racchiude ben 4 generazioni diverse ai suoi concerti. Che cosa meravigliosa vedere a Firenze persone di 70 anni e bimbi di 5 danzare con gli impermeabili “Waitin on a sunny day” sotto una pioggia torrenziale. Sembrava una magia, quasi un rituale come si faceva nella preistoria per far tornare il sole , e nel frattempo si sorride , si canta, SI VIVE!».
Cosa ha fatto si che tu smettessi di credere nella meritocrazia ?
«Le bugie delle persone. In passato mi sono stati promessi, non tanto dei traguardi o dei punti di arrivo, ma delle semplici opportunità di dimostrare quello che valgo. Ebbene sì, mi sono state tolte anche quest’ultime al foto-finish. Se non si è figli di, amici di, nipoti di, o devi qualcosa a “colui che può”, allora in questo paese puoi essere anche Michael Jackson, ma resti al pub sotto casa tua. Perché non avrai mai l’opportunità di metterti in luce. Non ti ci fanno arrivare!».
Da cosa deriva il titolo dell’album e quali sono le suggestioni che lo hanno ispirato?
«”Non voglio rimorsi” deriva dal titolo dell’ omonima traccia 6 dell’album. Ho scelto questo titolo perché in questo mio momento storico particolare, il testo di questo brano, sembra me lo sia pennellato addosso. Descrive perfettamente le sensazioni e gli stati d’animo che sto vivendo. Lo scontro finale con i miei demoni interiori, sono alle porte del mio “Nero Cancello”, e vado a combattere contro ciò che sono stato finora con tanta speranza che è l’ultima a morire, ma anche con tanti interrogativi. Interrogativi che sfumano sul finale del brano e tutto sembra più nitido. I rimorsi di scelte sbagliate? I rimorsi di strade intraprese? Ma la serata all’Auditorium è in chiara armonia col finale del medesimo brano in cui si scopre che “…non ho più rimorsi…”. Ma se volete saperne di più a breve sarà in vendita il mio album».
Quali sono i tuoi progetti futuri? «Sono stato aiutato da “Helikonia”, Valentino e Antonio ed il loro team per arrivare a questi ultimi traguardi. Siamo arrivati all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Se dovessi pensare al futuro devo immaginare a migliorare e quindi salire sempre. Mi viene in mente un solo posto dopo l’Auditorium per salire di notorietà (non di qualità): lo Stadio Olimpico! Ovviamente sono ironico, purtroppo non ho questo delirio di onnipotenza, ma visto che devo sognare preferisco farlo davvero in grande. Scherzi a parte adesso abbiamo preso contatto con programmi radiofonici e locali fuori dalla Capitale in tutta Italia in modo che anche fuori Roma comincino ad avvicinarsi al mio nome e alla nostra musica. Sarò sempre accompagnato dalle chitarre di Martino Marafiori, il basso di Francesco Meconi, la batteria e percussioni di Emanuele Esposito; musicisti Top e persone magnifiche. Con l’aiuto di mio fratello Christian che è anche il mio manager, il suo socio Paolo Cannata ed il loro studio legale. Ho tutto quello che mi serve per tentare, la voglia non manca, il mio amore c’è sempre e ci sarà sempre finchè avrò un alito di fiato per cantare».
Foto di Federico Aniballi