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Ponti di libertà per le nuove forme di schiavitù

di Paolo Cappelli

L’Ambasciata statunitense presso la Santa Sede ha organizzato, lo scorso 18 maggio, il convegno dal titolo: “Costruire ponti di libertà: i partenariati tra settore pubblico e settore privato per porre fine alla schiavitù dei tempi moderni”. Scopo dell’incontro era accrescere la consapevolezza in merito al problema della tratta degli esseri umani e dei costi che a questa sono associati, dal punto di vista sociale, umano ed economico. Chiunque sia interessato alla lotta contro le moderne forme di schiavitù conosce un approccio basato sulle cosiddette tre “P”: prevenzione, punizione (dei responsabili) e protezione. Secondo i dati forniti nel corso del convegno, nel 2009 sono state individuate più di 21mila vittime di tratta in 111 paesi. La maggioranza di queste sono donne adulte e bambine. Statisticamente, il 79% del totale è vittima di sfruttamento sessuale, mentre il lavoro forzato rappresenta il 18%. Geograficamente, non sorprende che siano le aree più depresse del globo quelle dalle quali si originano i traffici più intensi e che hanno una dimensione internazionale.  Dal 2003, anno di entrata in vigore del Protocollo delle Nazioni Unite per la Prevenzione, la Soppressione e la Punizione del Traffico di Persone, moltissimi paesi l’hanno ratificato, introducendo il reato di tratta di esseri umani. Uno dei dati presentati sulle operazioni giudiziarie è significativo: in 71 stati dei 155 considerati nel Rapporto dell’UNODC (l’Ufficio delle Nazioni Unite per le questioni legate alle Droghe e al Crimine) del 2009 è stata avviata almeno un’azione giudiziaria contro persone accusate di tratta, e in 73 di essi c’è stata almeno una sentenza. Allarmante però, è stato fatto notare, che a un aumento del numero di casi giudiziari non corrisponda uno stesso incremento nel numero di condanne. E nonostante siano stati fatti significativi passi avanti, molti paesi africani non hanno ancora adottato alcuna legislazione specifica in materia, mentre altri presentano normative che puniscono solo alcuni aspetti del fenomeno, come la tratta dei bambini.

Un’analisi dei casi considerati dalle Nazioni Unite rivela che quasi sempre le vittime sono uscite dal paese di appartenenza e la dimensione della tratta riguarda itinerari anche intercontinentali. Dall’Asia orientale le vittime vengono inviate in Europa, Stati Uniti, Medio Oriente, Asia centrale e Africa. Altri flussi si originano in Africa verso l’Europa, in America Latina verso l’America settentrionale e l’Europa e in Europa centro-orientale verso l’Europa settentrionale e meridionale. Secondo quanto riferisce l’UNODC, in Italia sono ancora molteplici le fonti da cui vengono raccolti i dati sul fenomeno della tratta. Un primo esperimento di database centrale è quello di Osservatorio Tratta, un progetto europeo che sarà presto adottato per armonizzare le differenti fonti di informazioni.

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