Segnala un evento
HomeEsteriSaif al-Adel e il silenzio di al-Qaeda

Saif al-Adel e il silenzio di al-Qaeda

 

Saif al-Adel, conosciuto anche come Muhamad Ibrahim Makkawi, sarebbe il nuovo leader di al-Qaeda

di Paolo Cappelli

Noman Benotman, ex militante di un gruppo libanese facente parte della rete qaedista ha rivelato in un’intervista rilasciata alla CNN che il successore di Bin Laden sarebbe Saif al-Adel, conosciuto anche come Muhamad Ibrahim Makkawi.  Si tratterebbe di una nomina provvisoria non ratificata dalla shura, il consiglio di al Qaeda, perché al momento non è possibile convocarlo. Al-Adel, ex membro delle forze speciali egiziane, si è formato durante il jihad afghano contro l’Unione Sovietica, ed è stato poi attivo in Iran e Pakistan. Avrebbe avuto un ruolo centrale negli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar el Salaam del 1998 e negli attentati in  Arabia Saudita a partire dal maggio 2003. Al Jazeera, oltre a confermare al-Adel quale successore di Bin Laden avrebbe individuato quale nuovo capo delle operazioni militari Mustafa al Yemeni.

Sulla scia delle rivoluzioni pacifiche in Tunisia ed Egitto, la tesi di al-Qaeda che l’attivismo violento sia necessario per conseguire un cambiamento politico si sta dimostrando palesemente falsa. Sono stati i manifestanti pacifici e non la lotta armata a spodestare Hosni Mubarak e Zine el-Abidine Ben Ali. Ma questo non significa che il gruppo terrorista non cerchi di sfruttare l’instabilità in Egitto e nel mondo arabo in generale. In effetti, la comunicazione jihadista utilizzata dopo la crisi iniziata in Tunisia dei primi di gennaio suggerisce che gli estremisti sperano di sfruttare l’attuale instabilità. L’aspetto più discusso del ruolo di al-Qaeda nella rivolta in Egitto è stato un non evento: il fatto che Ayman al-Zawahiri, egiziano e comandante in seconda di al-Qaeda, non abbia ancora rilasciato una dichiarazione sugli eventi in corso. Né lo hanno fatto esponenti delle sue cellule se non dopo settimane dall’inizio delle sommosse tunisine ed egiziane. Ma il silenzio assoluto di Zawahiri non significa che la comunità jihadista nel suo complesso sia rimasta tranquilla. Dopo la rivoluzione in Tunisia ed Egitto, diverse figure ispiratrici jihadiste, tra cui Abu al-Mundhir Shanqiti, Abu Basir al-Tartusi, Akram Hijazi e Hamid al-Ali hanno dichiarato di sostenere ideologicamente i movimenti di opposizione. Nel frattempo, gli attivisti hanno discusso online del valore delle proteste nel lungo periodo. La risposta ufficiale di al-Qaeda è stata non solo lenta, ma anche, ovviamente, non coordinata con la comunità jihadista nel suo complesso, rivelandone le fratture interne. Ad esempio, Shanqiti, autorevole membro del Consiglio della Shura della biblioteca Minbar Al-Tawhid wal Jihad per la dottrina jihadista ha sorpreso gli osservatori occidentali lodando il coraggio dei manifestanti laici in Egitto e condannando i salafiti per il loro scarso, se non nullo contributo. Quando gli ideologi della jihad hanno assunto posizioni critiche rispetto alle proteste, lo hanno fatto talvolta in maniera inaspettata, come quando Tartusi, ideologo che da molto si dichiara apertamente contrario agli attentati suicidi, ha lanciato una fatwa che condanna gli atti di auto-immolazione, in quanto contrari al divieto islamico del suicidio. Gli stessi ideologi hanno sempre sostenuto però che il successo di una rivoluzione non è determinato da come vengono rovesciati gli autocrati, quanto piuttosto dalla scelta del nuovo governo di imporre la legge islamica. In generale, queste rivoluzioni sono rappresentano una pessima notizia per i jihadisti. Tunisia ed Egitto dimostrano incontrovertibilmente che la tesi strategica jihadista della violenza obbligatoria è errata: gli arabi e i musulmani possono effettivamente eliminare regimi arabi corrotti senza violenza e gli Stati Uniti non si oppongono affatto alla loro rimozione. Nel breve periodo, in particolare, le nuove dinamiche ostacoleranno i già difficili sforzi di reclutamento jihadista in tutto il Medio Oriente. Ma non è tutto rose e fiori. I successi in Tunisia ed Egitto hanno ispirato movimenti politici in tutta la regione, ma non tutti riescono ad ottenere gli stessi risultati in tempi così brevi, come le dure repressioni in Siria e Yemen dimostrano. Riguardo alle rivoluzioni di massa ancora incompiute, i jihadisti promuovono l’idea che il dissenso pacifico sia una falsa promessa e che la violenza resta l’unica forma efficace e religiosamente valida di protesta. Allo stesso modo, se il governo post Mubarak e post militare non sarà in grado di garantire reali vantaggi economici e sociali alla popolazione egiziana, l’atteggiamento profondamente conservatore di al-Qaeda e la legge islamica potrebbero trovare terreno fertile.

Il pericolo non è che al-Qaeda riesca a controllare o dominare gli attuali movimenti di opposizione in Medio Oriente. Le sue idee e le campagne omicide sono troppo radicali per riuscire in un tale intento. Il vero pericolo rappresentato dalla “base” è dal suo appeal sugli strati al margine della società, che non sono disposti a rigettare al-Qaeda a priori. Se è vero che la stragrande maggioranza dei riformatori in Algeria, Egitto e Yemen non sarà mai incline alla violenza, indipendentemente da quanto lento sarà il processo di riforma. Ma alcuni potrebbero scegliere la via di un tentativo spicciolo, quanto violente. E’ questa una ragione in più per restare vigili, fornire assistenza materiale e appoggiare un vero cambiamento politico in Egitto e Tunisia, incoraggiando allo stesso tempo una vera stagione di riforme in altri Paesi, ogni qual volta il popolo lo esigerà.

Articolo precedente
Articolo successivo

SCRIVI UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome

- Advertisment -

più popolari