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FMI: la missione impossibile di salvare la Grecia

di Paolo Cappelli
 

Da pochi giorni la Grecia ha terminato i colloqui con la cosiddetta troika di rappresentanti europei e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) riguardo un piano quinquennale di misure di bilancio contenitive volte a ridurre il proprio deficit. I contenuti del piano non sono ancora stati svelati, ma l’idea di fondo è abbastanza chiara: in cambio del prestito di 110 milioni di euro già ottenuto dai propri partner europei e dal FMI, la Grecia interverrà con tagli alle spese a nuove tasse per circa 28 miliardi di euro, oltre a mettere finalmente in pratica un ambizioso e a lungo ritardato piano di privatizzazione da 50 milioni di euro.

Si tratta di cifre realmente importanti per l’economia greca, che è relativamente piccola, di misure che imporranno di stringere ulteriormente la cinghia in un paese al suo terzo anno di recessione. Il governo, che dovrà valutare come dosare e trovare il giusto equilibrio tra le nuove imposte sui beni di prima necessità e il taglio ai salari pubblici, è oggetto di una forte reazione da parte dell’opposizione, come dimostrano le proteste di migliaia di “indignati” in piazza Syntagma ad Atene, di fronte al Parlamento. I molti sindacati hanno proclamato una batteria di scioperi che prevedono anche sit-in e cortei. Come se non bastasse, oltre ad aver bisogno di altri 60 milioni di euro nel prossimo biennio per soddisfare le proprie esigenze finanziarie, la Grecia si scontra con la riluttanza dei partner europei, Germania in testa, che hanno chiamato in causa gli investitori privati a condividere il giogo del debito. Ciò ha naturalmente spaventato questi investitori, già infastiditi dalle condizioni annunciate di un nuovo fondo permanente di salvataggio che sarà attivato nel 2013 e che vedrà un certo grado di condivisione degli oneri.

Il risultato è un tasso da usura sui bond a scadenza biennale pari al 24% e il declassamento dei titoli di credito greci a poco più che carta straccia da parte dell’agenzia di rating Moody’s stante l’elevata probabilità di default (50%) del sistema economico finanziario ellenico nei prossimi 5 anni e che potrebbe avere effetti a cascata su paesi già indebitati, come Irlanda e  Portogallo, parte del cui credito è in titoli greci. Gli aiuti alla Grecia dovranno venire, almeno in parte, da un ulteriore impegno da parte dei contribuenti dei paesi europei economicamente più solidi, ma nell’incontro tenutosi recentemente a Vienna, i rappresentanti del Ministero delle Finanze tedesco non hanno evitato di fare appello alla disponibilità da parte dei possessori dei titoli di stato greci ad accettare un rimborso dei titoli a più lungo termine (la cosiddetta “rimodulazione del debito”).

Tuttavia, per quando la posizione tedesca sia ferma, Berlino non ha altre alternative che erogare ulteriori fondi a favore della Grecia per evitarle il default, anche se un accordo sulla rimodulazione del suo debito non potrà essere raggiunto in tempi brevi. Lo stesso vale per le altre capitali. A gettare benzina sul fuoco ci sono le opinioni di molti analisti privati, secondo i quali è molto improbabile che la Grecia possa mai ripagare il suo debito, indipendentemente dal fatto che le vengono concesse dilazioni. La soluzione immaginata dall’Unione Europea, ovvero garantire al paese un’iniezione di liquidità per calmare i mercati e permettere un nuovo ricorso alla finanza internazionale come strumento di sovvenzione, sembra non aver sortito gli effetti sperati. L’ipotesi di un ritardo nelle riscossioni, che al momento sembra essere l’unica via percorribile, non riduce il rischio di default del paese e la Banca Centrale Europea (BCE) ha già fatto sapere che, qualora dovesse presentarsi lo scenario peggiore, i bond greci non sarebbero bancabili (cioè non si potrebbero riscuotere), esponendo il sistema bancario greco a un grave rischio di insolvenza. Dal canto proprio, la Grecia ha già pronto un piano di vendite di beni e servizi di stato per 50 milioni di euro, cui pensa di sommare risparmi per 1,6 miliardi di euro fino a dicembre 2011, oltre ai 4,8 miliardi già pianificati. Nel quadriennio 2012-2015, il paese pensa di ridurre il proprio deficit di 22 miliardi di euro, principalmente attraverso tagli alla spesa, che dovrebbe essere ridotta al 44,1% del PIL nel 2015, rispetto al 49,6% del 2010. Più complesso sarà incrementare i ricavi, che secondo i piani dovrebbero passare dal 39,1% del PIL del 2010 al 43.1% nel 2015.

Tutto questo non risponde, tuttavia, a una domanda: da dove arriveranno i capitali nei prossimi anni?

Il fondo di emergenza “salva Stati” sarà alimentato, con quote diverse, dai Paesi europei e quindi dalle imposte che questi stessi Paesi hanno incamerato. Quando una nazione è in difficoltà lo è anche la sua Banca Centrale, ovvero l’istituzione che deve fisicamente sborsare il controvalore dei titoli in scadenza. Ora ci si chiede: chi ha in mano i titoli da riscuotere? Chi è maggiormente esposto al rischio di insolvenza della Grecia? Risposta: gli istituti bancari europei e americani, ovvero quelli degli Stati dall’economia tradizionalmente forte. Sono proprio loro i soggetti che avrebbero il maggior danno in caso di default. Un grafico del 2009, apparentemente molto complesso, ci svela la misura del fenomeno. La fonte è la Banca dei Regolamenti Internazionali (Regolamenti va inteso come ‘regolare un pagamento’, non come insieme di norme), il cui scopo è promuovere la cooperazione tra banche centrali e di agire da agente o mandatario nei pagamenti internazionali. Si può osservare che Germania, Francia e Regno Unito vantano un credito complessivo nei confronti di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna di (si dice anche che sono ‘esposti’ per) circa 1258 miliardi di euro. Un tale buco, pardon, una tale voragine in termini di risorse finanziarie non può essere colmata dalle banche un singolo Paese, né in caso di insolvenza greca sarà possibile ripianare il debito con le proprie risorse. Ecco il motivo per il quale è necessario prelevare fondi non soltanto dai Paesi che sono più esposti (che li vedrebbero semplicemente rientrare sotto altra forma). Il prelievo va fatto proporzionalmente da tutti i Paesi dell’eurozona, con buona pace di quei cittadini le cui banche non sono creditrici nei confronti dei paesi maggiormente indebitati e che avranno solo il privilegio morale di aver contribuito (forse!) a salvare un paese in crisi, salvo non avere in cambio la certezza della solvibilità della propria esposizione nazionale.

3 COMMENTI

  1. Questo è quello che accade quando si vuole vivere con un tenore di vita che non ci si può permettere. Pensioni a 50 anni di anzianità e stipendi pubblici altissimi portano a questo. Ritornino alla dracma, forse qualcuno investirà di nuovo in grecia.

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