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Spagna, terra di forti passioni

di Mariano Colla
Spagna, luogo di antiche tradizioni e impetuosa modernità, paese che incorpora valori ed eccessi non mediati, terreno per  impulsività e passioni, da vivere anche a rischio della incolumità.
Tra le cronache estive alcuni fatti, quali la visita del Papa a Madrid, accolta da alcuni con entusiasmo, da altri  con intolleranza, il montante entusiasmo dei giovani per il predicatore  Kiko Arguello, le dimostrazioni tumultuose dei precari e dei disoccupati occupano le pagine dei giornali locali, che sottolineano, anche con veemenza verbale, le passioni insite nei diversi contendenti e nelle diverse posizioni ideologico-culturali.
E non ultima spicca  la curiosa partigianeria per il toro Raton, una massa di muscoli corna e tanta cattiveria, vendicatore dell’estate taurina in terra iberica che, a Valencia, incornando arditi frequentatori della Plaza de Toros di Xativa, ha ucciso ben tre uomini, in una tragica messa in scena che ha fatto  letteralmente impazzire gli spagnoli  per “il toro assassino” – “la leggenda nera“, metafora dell’eterna lotta tra uomo e animale.
La Spagna, si sa, è terra di corride, è luogo, come a Pamplona, dove i tori vengono lasciati liberi per la strade, in un carosello con conseguenze spesso tragiche.
Le passioni violente, spesso drammatiche, fanno parte delle tradizioni di questo popolo, tradizioni che esaltano il coraggio e la temerarietà quali antiche virtù che traggono spunto dal carattere focoso degli iberici.
Ebbene, in questo panorama così ricco  di ardore  e audacia, nell’isola di Minorca, piccola perla delle Baleari, il paese di Ferreries, fondato nel Secolo XIII da Giacomo I, offre il suo piccolo ma festoso contributo alle  ardimentose celebrazioni spagnole con le manifestazioni in onore di Sant Bartolomeu.
In un paese ornato a festa da variopinte bandierine che decorano case e vie, si affollano, nella seconda metà di Agosto, frotte di locali e di turisti per assistere ad esibizioni equestri di particolare suggestione.
Alcune pubblicazioni locali riportano che : “Nel 1558, quando i turchi invasero e distrussero la quasi totalità delle chiese e biblioteche dell’isola, i volumi contenenti tutti i rituali delle feste di Maiorca riuscirono a essere nascosti, e, tutt’oggi, vengono seguiti alla lettera nelle celebrazioni, tramandati oralmente di padre in figlio, mantenendo così viva la tradizione e lo spirito della festa”.
I cavalli impiegati nella manifestazione sono esemplari  autoctoni, di purissima razza minorchina, i cui caratteri più evidenti sono la stazza imponente, il colore nero del manto,  gli occhi rotondeggianti e lo sguardo intenso e vivo.
Dicono le cronache :“muscolosi e potenti, di carattere nobile ed elegante, ma allo stesso tempo forte e energico, i cavalli di razza minorchina, secondo un recente studio, sono tra i pochi cavalli del continente europeo che conservano un colore totalmente nero. E nel 1989 vengono riconosciuti come razza autoctona”.
I cavalieri, giovani uomini e donne, vestono redingotte nere, camicie bianche con pizzi, calzoni bianchi e ampi stivaloni muniti di speroni d’argento. Sul capo portano curiosi cappelli a forma di barca. Gli indumenti richiamano lo stile  settecentesco, privo tuttavia dell’eccesso di orpelli che la moda del tempo richiedeva e che sottolinea l’origine popolare della manifestazione. I cavalli sono ornati da finimenti che esprimono la dedizione e l’attenzione con cui  vengono predisposti per la festa.
La particolarità dell’esibizione, per cui ho ritenuto opportuno considerarla come una dimostrazione di coraggio e di audacia, sia da parte dei cavallerizzi che degli spettatori, consiste, inizialmente, in una sfilata al galoppo dei cavalli nelle strette via del paese, dinanzi alla quale la folla si fende solo all’ultimo momento per far passare i destrieri.
E’ sufficiente uno scarto degli animali, uno scivolone, uno spostamento ritardato per rischiare di finire sotto gli zoccoli del cavallo o, peggio, per farlo cadere con più rovinose conseguenze.
Le coreografie più belle, e nel contempo più pericolose, si svolgono quando, a coppie, cavalli e cavalieri lasciano il punto di adunata, nel caso specifico la sommità del paese, per avvicendarsi sulla  scoscesa  superficie di una piazza  e dare il via a una ricca serie di movimenti, veroniche, sollevamento delle gambe anteriori, come in un estemporaneo imbizzarrimento, e tutto ciò con la folla che circonda i puledri e li tocca e li spinge.
Insomma i cavalli vengono fatti “levare” sulla folla che li incita a pacche sulla pancia , sul sedere, sui fianchi a rimanere più a lungo possibile con le gambe alzate, con il cavaliere sbalzato all’indietro, in equilibrio del tutto precario.
Richiamando le atmosfere dei palii nostrani, la provenienza di cavalli e cavalieri dalle diverse contrade della cittadina alimenta un tifo forsennato a favore dei rispettivi beniamini da cui ognuno si aspetta le esibizioni migliori. La birra  scorre a fiumi, con effetti ben visibili sulla stabilità dei vari soggetti.
L’esaltazione collettiva, legata al montante entusiasmo, spinge i soggetti più esaltati a ridosso degli animali, sicché il rischio che la danza del massiccio animale, con il rapido spostamento dei possenti glutei o con il roteare degli zoccoli, provochi cadute o danni anche peggiori non è trascurabile. Il pericolo di incidenti è elevato, ma la passione popolare è talmente forte da minimizzare la percezione del rischio o di un incombente incidente.
Con l’accompagnamento della musica intonata da una banda paesana, il repertorio va avanti per ore nella montante atmosfera dionisiaca che il sudore e gli sbuffi  dei cavalli, gli olà dei cavallerizzi, le urla sguaiate della folla e dei supporter, gli afrori che si diffondono nell’umidità serale, le oscillanti sagome degli ubriachi, concorrono a creare.
C’è chi cade e, imprecando, si rialza, chi viene stordito da un colpo improvviso provocato da uno scartamento della bestia, i cui occhi manifestano paura.
E’ un gioco, ma in esso, nuovamente, emerge quella calorosa passione degli spagnoli   verso il pericolo, verso  le manifestazioni di temerarietà.
In un vociare collettivo, via via più intenso, e con le prime luci della sera che diffondono una luminosità giallastra, a causa della polvere di segatura sollevata dal turbinio di piedi e zoccoli, la festa assume caratteri inquietanti, quasi a richiamare scenari di antiche feste pagane.
Nello sbuffare dei cavalli, madidi di sudore, ritti sulla marea di teste che li circonda, si compie il rito della cerimonia dove l’intensità della passione e della partecipazione alimenta, ancora una volta, l’irrazionale, luogo in cui la paura e la prudenza non trovano più posto.

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