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Veto all'Onu per lo stato palestinese. Obama: negoziato unica soluzione

di Paolo Cappelli

 

Se la politica è scontro, la diplomazia è tutto l’opposto. E’ accomodamento, mediazione. Entrambe, però, condividono il fine, il conseguimento di unobiettivo. La miglior soluzione sta, come dicevano i classici, in medias res, cioè nel mezzo. Quando la volontà della politica e gli auspici della diplomazia coincidono, si ottiene un risultato che, almeno in teoria, sta bene a tutti. A una situazione di questo tipo, che potremmo definire ideale, si giunge quando i contendenti sono disposti a cedere qualcosa, a rinunciare a una parte delle proprie pretese e delle proprie rivendicazioni e ad accettare il compromesso.

Non è questo il caso di Israele e Palestina, entità divise da un conflitto per la rivendicazione di un territorio, le cui radici affondano nella diaspora originatasi dopo l’annientamento della rivolta contro il dominio romano a Bar Kokhba, nel II secolo d.C., e dalla nascita del movimento sionista ad opera di Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Cerchiamo di condensare in poche righe una questione che ha prodotto fiumi di inchiostro e di sangue. Se vogliamo, la pretesa originaria degli israeliti non era neanche tanto astrusa: la Bibbia ha promesso quella terra agli ebrei, quella terra che contiene la rocca di David e gli altri luoghi a loro sacri. Gli ebrei, cacciati e dispersi nel mondo da millenni di persecuzioni, ne volevano la restituzione e inizialmente, proprio attraverso il sionismo, hanno cercato di coagulare attorno a questa idea, il consenso internazionale. Proprio l’ottenimento di una sede nazionale dotata di legittimità giuridica e internazionale era il fine ultimo del sionismo. Raccontata così, sembra una gran bella idea.

Per contro, dopo la fine della dominazione romana, in Filistea (che comprendeva l’odierna striscia di Gaza), Galilea (l’odierno Israele settentrionale) e Giudea (a dispetto del nome) vivevano le popolazioni autoctone, eredi di popolazioni quantitativamente minoritarie insediatesi nell’area, come greci di Creta, dell’Anatolia e della Lidia, amoriti, edomiti, romani, arabie crociati europei, egizi, ittiti, persiani, babilonesi e mongoli. Si trattava di gruppi etnici di fede diversa, prevalentemente cristiani e, dopo l’avvento di Maometto, musulmani. Fin qui, tutto bene.

I problemi come si accennava in apertura, nascono quando a Israele viene concesso un territorio nel 1947, quando cioè, gli ebrei sparsi nel mondo “atterrano” come marziani ed esigono di farsi spazio in un luogo dove spazio non ce n’era, a meno che gli occupanti del momento non avessero accettato di spostarsi o avessero subito una deportazione.

Ora, sessantaquattro anni e migliaia di morti dopo quel momento (nelle varie Intifada, dal 1987 al 2007, sono morti più di 6600 palestinesi e più di 1000 israeliani, senza contare le vittime nella Striscia di Gaza. Fonte: Peacereporter) il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas è pronto a presentare domani alle Nazioni Unite una richiesta ufficiale di riconoscimento della Palestina come Stato, ma non è più certo di volerlo fare.

Fino a poche ore fa erano due le strade percorribili: da un lato, adire il Consiglio di Sicurezza, nell’ambito del quale sarebbero necessari 9 voti su 15 in favore dell’accoglimento della richiesta e naturalmente nessun Paese dovrebbe porre il veto. Dall’altro, chiedere ai 193 Paesi dell’Assemblea Generale di concedere alla Palestina lo status di Paese osservatore (lo stesso del Vaticano). In questo caso l’approvazione arriverebbe ottenendo almeno 129 voti, ovvero i due terzi di un’Assemblea che vede diversi schieramenti, anche e soprattutto tra gli europei, laddove la Germania, l’Italia e soprattutto la Francia sono a favore dello status di Stato osservatore non membro. Come spesso avviene, le cose cambiano molto in fretta. Si attendeva con interesse il pronunciamento degli Stati Uniti, oscillanti tra il sostegno a Israele e il forte impegno quale mediatore nei negoziati di pace tra i due contendenti. Il messaggio di Obama è stato salomonico: giusto che i palestinesi abbiano un riconoscimento giuridico a livello internazionale sotto forma di Stato, ma non ad ogni costo. E’ un punto, questo, su cui gli Stati Uniti sono tornati in molte esternazioni dei propri presidenti, da Clinton in poi. Uno stato palestinese è possibile, ma non ora. Non ci sono le condizioni. Prima, Israele e l’ANP dovranno accordarsi e affrontare in maniera definitiva le questioni irrisolte, come quelle degli insediamenti, di Gaza e del rapportocon Hamas. “La pace è qualcosa di difficile” – ha detto Obama – “che non si raggiungerà con dichiarazioni o risoluzioni” e ha aggiunto che “la pace dipende dal compromesso tra persone che dovranno vivere insieme anche molto tempo dopo che i nostri discorsi si saranno conclusi”.

Sono diverse e molteplici, oggi, le voci di coloro chechiedono l’istituzione di uno Stato palestinese e ora che questo Stato è pronto, è scoppiato un putiferio. Questo perché Abu Mazen ha sorpreso il mondo con la sua risolutezza, ma ha anche reso le cose più difficili a chi vorrebbe aiutarlo. Egli, inoltre, sta mettendo gli interlocutori internazionali di fronte alle proprie responsabilità, mentre ha dimostratoal popolo palestinese che è veramente un uomo di pace, uno che ha offerto i propri interlocutori occidentali tutte le opzioni possibili, anche se questi non hanno potuto (voluto?) alleviare la pressione su Israele.

E così, mentre i popoli arabi si ribellano ai rispettivi regimi repressivi in quella che viene definita la “primavera araba”, Abu Mazen ha scelto di vivere una primavera di battaglia politica e diplomatica pare rinunciando, per il momento, a presentare all’ONU la richiesta di riconoscimento e pensando già alle prossime mosse. Più che a uno scacchiere internazionale, sembra di trovarsi di fronte a una scacchiera, in cui ogni mossa deve essere attentamente ponderata. Un fallimento del processo di pace, qualsiasi sia il modo in cui esso si sviluppa, non è più immaginabile.

 

1 COMMENTO

  1. Abu Mazen oggi smuove comunque un fatto politico davvero planetario: L’assuefazione Onu alla politica americana e il voto europeo alla deriva ancora irresponsabilmente indistinto (altro che Tarantini).

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