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Abu Mazen all'ONU: il discorso integrale

Traduzione a cura di Paolo Cappelli

 

Signor Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite,

Signor Segretario Generale delle Nazioni Unite,

Eccellenze, Signore e Signori,

vorrei iniziare congratulandomi con S.E. Nassir Abdulaziz Al-Nasser per aver assunto la presidenza dell’Assemblea nel corso della presente sessione e augurargli i migliori successi.

Torno oggi a congratularmi nuovamente, a nome dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e del popolo palestinese, con il governo e il popolo del Sud Sudan per la meritata ammissione alle Nazioni Unite quale membro a pieno titolo. Auguro loro progresso e prosperità.

Mi congratulo, inoltre, con il Segretario Generale, S.E. Ban Ki-Moon, per la sua conferma per un nuovo mandato al timone delle Nazioni Unite. Tale rinnovata fiducia riflette l’apprezzamento del mondo per i suoi sforzi, che hanno consolidato il ruolo delle Nazioni Unite.

La questione della Palestina è fortemente legata alle Nazioni Unite in virtù delle risoluzioni adottate dai suoi organi e agenzie e grazie al ruolo essenziale ed encomiabile dell’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione per i profughi palestinesi nel vicino Oriente, che incarna la responsabilità internazionale nei confronti della piaga dei profughi palestinesi, vittime della catastrofe del 1948. Auspichiamo e ci auguriamo che le Nazioni Unite abbiano un ruolo più efficace e di più ampio respiro nel cercare di raggiungere una pace giusta e globale nella nostra regione, una pace che garantisca i diritti inalienabili e legittimi del popolo palestinese, così come definiti nelle risoluzioni di legittimità internazionale delle Nazioni Unite.

Un anno fa, in questo stesso periodo, i leader riuniti in questa sala affrontavano il problema dello stallo degli sforzi volti a ottenere la pace nella nostra regione. Tutti avevano alte aspettative per una nuova e definitiva tornata di negoziati sullo status, già avviati ai primi di settembre a Washington, sotto i diretti auspici del Presidente Barack Obama e con la partecipazione del Quartetto, unitamente a rappresentanti egiziani e giordani, il tutto al fine di raggiungere un accordo di pace entro un anno. Ci siamo avvicinati ai negoziati il con cuore aperto, la disponibilità all’ascolto e intenzioni sincere e avevamo con coi i nostri documenti e le nostre proposte. Solo poche settimane dopo, però, i negoziati si sono interrotti. Successivamente, non ci siamo arresi e abbiamo continuato a promuovere iniziative e contatti. Nel corso dell’ultimo anno, abbiamo bussato a ogni porta, utilizzato ogni canale, percorso ogni strada e non abbiamo ignorato alcun fattore d’influenza o d’importanza, sia formale che informale. Abbiamo valutato positivamente le diverse idee e proposte, così come le iniziative presentate da molti paesi e parti in causa. Ma tutti questi sforzi e tentativi sinceri, intrapresi dagli attori internazionali, sono stati ripetutamente demoliti dalle posizioni assunte dal governo israeliano, che ha rapidamente frantumato le speranze nate dall’avvio dei negoziati nello scorso settembre.

La questione centrale riguarda il rifiuto da parte del governo israeliano di rispettare i termini dei negoziati, che si basano sul diritto internazionale e sulle risoluzioni delle Nazioni Unite, e la frenetica prosecuzione della costruzione di insediamenti sul territorio dello stato palestinese.

Le attività negli insediamenti rappresentano il cuore della politica di occupazione militare coloniale della terra del popolo palestinese e tutta la brutalità dell’aggressione e della discriminazione contro il nostro popolo che tale politica implica. Essa, oltre a costituire una violazione del diritto internazionale umanitario e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, è la causa principale del fallimento del processo di pace, dell’insuccesso di decine di opportunità e del crollo delle grandi speranze nate dalla firma della Dichiarazione dei Principi del 1993 tra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Israele, che mirava a raggiungere una pace giusta che avrebbe segnato l’avvio una nuova era per la nostra regione.

I rapporti delle missioni delle Nazioni Unite, così come di diverse istituzioni israeliane e società civili, danno un’immagine terrificante della portata della campagna degli insediamenti, della quale il governo israeliano non esita a vantarsi, e che continua a sviluppare attraverso la confisca sistematica delle terre palestinesi e la costruzione di migliaia di nuovi insediamenti in varie zone della Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme Est, oltre ad aver accelerato la costruzione del muro di annessione, che fagocita ampie porzioni del nostro territorio, dividendolo in isole e cantoni isolati e separati, distruggendo la vita familiare e le comunità, nonché i mezzi di sostentamento di decine di migliaia di famiglie.

La potenza occupante continua, inoltre, a impedire al nostro popolo di costruire nella parte occupata di Gerusalemme Est, mentre intensifica la sua campagna decennale di demolizione e confisca di case, cacciando i proprietari e residenti palestinesi, secondo una politica di pulizia etnica che segue più strade e che mira a bandirli dalla propria patria ancestrale.

Inoltre, sono state emanate disposizioni di esiliare i rappresentanti eletti dalla città di Gerusalemme. La potenza occupante continua, altresì, a effettuare scavi che minacciano i nostri luoghi sacri, mentre i posti di controllo impediscono ai nostri cittadini di accedere alle loro moschee e chiese, oltre a continuare ad assediare la Città Santa con un accerchiamento di insediamenti voluto per separare quest’ultima dal resto delle città palestinesi.

L’occupazione è una corsa contro il tempo per ridisegnare i confini sul nostro territorio, secondo ciò che tale Potenza vuole, e per imporre il fatto compiuto sul terreno, così da cambiare la realtà, mettendo a rischio la possibile reale esistenza dello Stato di Palestina. Allo stesso tempo, la Potenza occupante continua a imporre il blocco sulla striscia di Gaza e compiere assassinii, attacchi aerei e bombardamenti d’artiglieria contro i civili palestinesi, proseguendo la guerra d’aggressione iniziata tre anni fa a Gaza, che ha causato la distruzione di case, scuole, ospedali e moschee e le migliaia di martiri e feriti.

La potenza occupante continua, inoltre, le proprie incursioni nelle aree dell’Autorità Nazionale Palestinese con raid, arresti e uccisioni presso i checkpoint. Negli ultimi anni, le azioni criminali di milizie di coloni armati, che godono della protezione speciale dell’esercito di occupazione, contro la nostra gente, le loro case, scuole, università, moschee, campi, coltivazioni e alberi si sono intensificate. Nonostante i nostri ripetuti avvertimenti, la Potenza occupante non ha agito per limitare tali attacchi e per questo la riteniamo pienamente responsabile per i crimini dei coloni.

Questi sono solo alcuni esempi della politica di occupazioni coloniale israeliana, che è responsabile del ripetuto fallimento dei successivi tentativi internazionali di salvare il processo di pace.

Questa politica distruggerà le opportunità di trovare una soluzione per due Stati, sulla quale esiste un consenso internazionale, e lo dico qui a gran voce: questa politica degli insediamenti minaccia anche la struttura dell’Autorità Nazionale Palestinese e persino la sua esistenza.

Inoltre, ci troviamo ora di fronte all’imposizione di nuove condizioni, precedentemente non annunciate, condizioni che trasformeranno il violento conflitto nella nostra incandescente regione in un conflitto religioso e in una minaccia per il futuro di un milione e mezzo di palestinesi cristiani e musulmani, cittadini di Israele, una possibilità che rigettiamo e nella quale rifiutiamo di farci trascinare.

Tutte queste azioni intraprese da Israele nel nostro Paese sono unilaterali e non si basano su alcun precedente accordo. Anzi, ciò che osserviamo è l’applicazione selettiva degli accordi volti a perpetuare l’occupazione. Israele ha rioccupato unilateralmente le città della Cisgiordania e ripristinato l’occupazione civile e militare in maniera unilaterale. E’ Israele a determinare se un cittadino palestinese ha il diritto o meno di risiedere in una parte del territorio palestinese. Confisca la nostra terra e la nostra acqua e ostacola il movimento di persone e di beni. Ed è lui a ostacolare il nostro destino. Tutto ciò su base unilaterale.

 

Nel 1974, il nostro leader Yasser Arafat parlò in questa sala, rassicurando i membri dell’Assemblea Generale sul nostro atteggiamento positivo verso la pace, chiedendo alle Nazioni Unite di garantire i diritti inalienabili del popolo palestinese con la frase “non lasciate che il ramoscello d’ulivo mi cada dalle mani”.

Nel 1988, il Presidente Arafat si è rivolto di nuovo all’Assemblea Generale, riunitasi a Ginevra per ascoltarlo, laddove presentò il programma di pace palestinese adottato dal Consiglio Nazionale palestinese durante la sessione svoltasi in quell’anno in Algeria.

Nell’adottare tale programma, stavamo facendo un passo difficile e doloroso per noi tutti, particolarmente per coloro, me compreso, che furono costretti ad abbandonare le proprie case, città e villaggi, portando con sé solo pochi effetti personali, l’angoscia, i ricordi e le chiavi di casa verso i campi d’esilio e la diaspora dell’Al-Nakba del 1948, una delle peggiori operazioni di eradicazione, distruzione e allontanamento di una società vibrante e coesa, che ha fornito il proprio contributo agendo da guida e da innovatrice nel rinascimento culturale, pedagogico ed economico del Medio Oriente arabo.

Tuttavia, proprio perché crediamo nella pace e poiché siamo convinti della legittimità internazionale, oltre ad avere il coraggio di assumere decisioni difficili per il nostro popolo, a in assenza di giustizia assoluta, abbiamo scelto la strada della giustizia relativa, una giustizia che è possibile e che può correggere parte della grave ingiustizia storica contro il nostro popolo. Abbiamo quindi deciso di costituire lo Stato di Palestina comprendendo solo il 22% del territorio storico della Palestina rispetto al territorio palestinese occupato da Israele nel 1967. Noi, nel fare questo passo storico, apprezzato dagli Stati del mondo, abbiamo fatto una significativa concessione al fine di raggiungere un compromesso storico che consentirà di fare la pace nella terra della pace.

Negli anni seguenti, dalla Conferenza di Madrid, ai negoziati di Washington che hanno portato all’Accordo di Oslo, firmato 18 anni fa nei giardini della Casa Bianca e suggellato tramite le lettere di reciproco riconoscimento tra l’OLP e Israele, abbiamo continuato e affrontato positivamente e responsabilmente gli sforzi tesi a raggiungere un accordo di pace durevole. Ma ancora, come prima ricordato, ogni iniziativa, ogni conferenza, ogni tornata di negoziati e ogni movimento veniva annientato dal progetto israeliano di espansione degli insediamenti. A nome dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, unica rappresentante legittima del popolo palestinese, che tale rimarrà fino alla fine del conflitto in tutti i suoi aspetti e fino alla risoluzione di tutte le questioni sullo stato finale, confermo quanto segue:

1. L’obiettivo del popolo palestinese è di vedere realizzati i propri diritti nazionali inalienabili nello Stato indipendente di Palestina, con Gerusalemme Est come capitale, su tutto il territorio della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e sulla striscia di Gaza, che Israele ha occupato nella guerra del giugno 1967, secondo quando stabilito dalle risoluzioni di legittimità internazionale e con l’adozione di una soluzione giusta e concordata sulla questione dei profughi palestinesi, come previsto dalla Risoluzione 194 e stabilito dall’iniziativa di pace araba, in cui fu presentata l’idea araba consensuale per risolvere il conflitto arabo-israeliano e raggiungere una pace giusta e globale. Il raggiungimento della pace auspicata necessità anche del rilascio dei prigionieri politici e dei detenuti nelle prigioni israeliane, senza ulteriori ritardi.

2. L’OLP e il popolo palestinese rinunciano alla violenza, rigettano e condannano il terrorismo in tutte le sue forme, in particolare il terrorismo di Stato e aderiscono a tutti gli accordo firmati tra l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e Israele.

3. Appoggiamo la possibilità di negoziare una soluzione duratura al conflitto secondo le risoluzioni di legittimità internazionale. Dichiaro che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina è pronta a tornare immediatamente al tavolo negoziale seguendo specifici riferimenti quali la legittimità internazionale e la completa cessazione delle attività legate agli insediamenti.

4. Il nostro popolo continuerà la propria resistenza pacifica e popolare all’occupazione israeliana e ai suoi insediamenti, contro le politiche di apartheid e la costruzione del muro razzista di annessione; la sua resistenza, inoltre, riceve sostegno secondo il diritto internazionale umanitario e le convenzioni internazionali e gode del supporto di attivisti per la pace in Israele e nel mondo, rappresentando così un esempio significativo, ispiratore e coraggioso di forza per queste persone indifese, armate solo dei propri sogni, del proprio coraggio, della propria speranza e dei propri slogan, contrapposto alle pallottole, ai carri armati, al gas lacrimogeno e ai bulldozer.

5. Portare la nostra situazione e il nostro caso di fronte a questo consesso internazionale conferma la nostra fiducia per l’opzione politica e diplomatica e riafferma la nostra volontà di non voler agire unilateralmente. I nostri sforzi non mirano a isolare o delegittimare Israele. Vogliamo invece che la nostra causa per il popolo palestinese riceva legittimazione. Vogliamo solo delegittimare le attività relative agli insediamenti, l’occupazione, l’apartheid e la logica della forza bruta e crediamo che, in questo, tutti i paesi del mondo siano al nostro fianco.

Sono qui per dire, a nome dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che tendiamo una mano al governo e al popolo israeliano per costruire la pace. Dico loro: costruiamo con urgenza e insieme un futuro per i nostri figli, nel quale possano godere di libertà, sicurezza e prosperità. Costruiamo i ponti del dialogo anziché checkpoint e muri di separazione, costruiamo relazioni di cooperazione basate sulla parità e l’equità tra due stati confinanti, Palestina e Israele, invece di politiche di occupazione, d’insediamento, di guerra e di eliminazione dell’altro.

Nonostante l’innegabile diritto del nostro popolo all’autodeterminazione e all’indipendenza del nostro stato, come previsto dalle risoluzioni internazionali, abbiamo accettato, negli ultimi anni, di sopportare quella che è sembrata essere una verifica della nostra rispettabilità, dello stato del nostro diritto e della nostra idoneità. Negli ultimi due anni, la nostra Autorità Nazionale ha portato avanti un programma volto alla costruzione delle nostre istituzioni statali. Nonostante l’eccezionalità della situazione e gli ostacoli posti da Israele, è stato avviato un serio progetto di ampio respiro che ha previsto, tra l’altro, l’attuazione di piani volti all’ampliamento e al miglioramento della magistratura, nonché al mantenimento dell’ordine e della sicurezza, allo sviluppo dei sistemi amministrativo, finanziario e di supervisione, al fine di migliorare il rendimento delle istituzioni stesse e accrescere l’autonomia, riducendo così l’affidamento all’aiuto estero. Grazie all’apprezzato sostegno dei paesi arabi e di donatori di paesi amici sono stati attuati molti progetti infrastrutturali, con particolare riferimento ai diversi aspetti del servizio e alla particolare attenzione verso le aree rurali ed emarginate. Nel quadro di questo imponente progetto nazionale abbiamo rafforzato ciò che crediamo rappresenti le fondamenta del nostro Stato: dal mantenimento della sicurezza per i cittadini e dell’ordine pubblico alla promozione del peso della legge e dello stato di diritto, al rafforzamento del ruolo delle donne attraverso la legislazione, le norme e la partecipazione, all’assicurare la protezione delle libertà civili e il rafforzamento del ruolo delle istituzioni della società civile, all’istituzionalizzazione delle norme e delle disposizioni per garantire che il lavoro dei nostri ministeri e dipartimenti sia ispirato a criteri di responsabilità e la trasparenza, al rafforzamento dei pilastri della democrazia quale base della vita politica palestinese.

Quando l’unità della nostra patria, del nostro popolo e delle nostre istituzioni ha vacillato, abbiamo scelto il dialogo per recuperarla. Mesi fa siamo riusciti a ottenere una riconciliazione nazionale e speriamo che la sua attuazione possa avvenire in maniera ancor più rapida nelle prossime settimane. Il pilastro fondamentale di tale riconciliazione è quello, entro un anno, di consentire al popolo di esprimersi attraverso elezioni legislative e presidenziali, perché lo stato che vogliamo sarà caratterizzato dallo stato di diritto, dall’esercizio della democrazia e dalla protezione delle libertà e dell’uguaglianza tra tutti i cittadini, senza discriminazioni, oltre a prevedere il trasferimento dei poteri attraverso il voto.

I rapporti recentemente pubblicati dalle Nazioni Unite, dalla Banca Mondiale, dal Comitato di collegamento ad hoc (AHLC) e dal Fondo Monetario Internazionale confermano e plaudono ai risultati conseguiti, considerando il modello straordinario e senza precedenti. Le conclusioni dell’AHLC, raggiunte per consenso unanime pochi giorni fa, descrivono i risultati come “un’eccezionale storia di successo internazionale” e confermano che il popolo palestinese e le sue istituzioni sono pronte da subito per l’indipendenza dello Stato di Palestina.

Non è più possibile affrontare la questione dello stallo dei colloqui di pace con i mezzi e i metodi più volte utilizzati negli anni scorsi e dimostratisi inefficaci. La profondità della crisi non può essere trascurata e i tentativi di evitarne o ritardarne l’esplosione la rendono ancor più pericolosa.

Non è né possibile, né pratico, né accettabile pensare a una normale amministrazione, come se tutto andasse bene. È improduttivo avventurarsi in negoziati senza che ne siano stati chiariti gli aspetti, senza credibilità e in assenza di un calendario specifico. I negoziati non avranno senso finché l’esercito d’occupazione sul terreno continuerà ad ampliare la portata dell’occupazione, invece di ridurla, e a cambiare la demografia del nostro paese per creare nuove basi su cui fare perno per alterare i confini.

È il momento della verità e il mio popolo sta aspettando di udire la risposta del mondo. Si consentirà a Israele di continuare la sua occupazione, l’unica nel mondo? Si consentirà a Israele di continuare ad essere uno Stato al di sopra della legge e della responsabilità? Si consentirà a Israele di continuare a respingere le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della Corte Internazionale di Giustizia e le posizioni della stragrande maggioranza dei paesi nel mondo?

Vengo oggi a parlare di fronte a voi dalla Terra Santa, la terra di Palestina, la terra dei messaggi divini, dell’ascensione del Profeta Maometto (su di lui sia la pace) e luogo in cui nacque Gesù Cristo (su di lui sia la pace); vi parlo a nome del popolo palestinese che si trova in patria e di quelli che vivono la diaspora per dirvi, dopo 63 anni di sofferenza per l’attuale Nakba, basta! E’ giunto il momento per il popolo palestinese di conquistare la propria libertà e indipendenza.

È arrivato il momento di porre fine alle sofferenze e alla condizione di milioni di profughi palestinesi che si trovano in patria e che vivono la diaspora, di porre fine al loro esilio e assicurarne i diritti; alcuni di essi sono dovuti fuggire più di una volta in diverse parti del mondo.

In un momento in cui i popoli arabi palesano la propria ricerca di democrazia nella primavera araba, è giunta l’ora della primavera palestinese, l’ora dell’indipendenza.

E’ giunto il momento affinché i nostri uomini, donne e bambini possano vivere vite normali, dormire senza dover temere il peggio che il domani potrebbe avere in serbo; affinché le madri sappiano che i propri figli torneranno a casa senza la paura che siano uccisi, arrestati o umiliati; affinché gli studenti siano in grado di recarsi a scuola e all’università senza dover passare attraverso l’ostacolo dei checkpoint. È arrivato il momento affinché i malati possano raggiungere gli ospedali senza problemi e affinché i nostri contadini siano in grado di provvedere alle proprie terre senza la paura che l’occupazione ne confischi i campi e l’acqua, cui l’accesso è impedito dal muro, o senza temere i coloni, per i quali si costruiscono gli insediamenti e che sradicano e bruciano gli alberi d’olivo che sono esistiti per centinaia d’anni. È giunto il momento per le migliaia di prigionieri di essere liberati dalle carceri e di tornare dalle proprie famiglie e per i loro figli di divenire parte del processo di costruzione della propria patria, per la libertà della quale essi si sono sacrificati.

Il mio popolo desidera esercitare il proprio diritto di vivere una vita normale, come il resto dell’umanità. Crede in quanto detto dal grande poeta Mahmoud Darwish e cioè “fermarsi qui, stare qui, qui per sempre, qui in eterno; abbiamo un obiettivo, uno, uno solo: essere”.

Apprezziamo profondamente il valore e le posizioni di tutti gli Stati che hanno sostenuto la nostra lotta e i nostri diritti, oltre a riconoscere lo Stato di Palestina dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1988, così come ringraziamo i paesi che hanno recentemente riconosciuto lo Stato di Palestina e quelli che hanno elevato il livello della rappresentanza diplomatica palestinese nelle rispettive capitali. Ringrazio anche il Segretario Generale, che pochi giorni fa ha affermato che lo Stato palestinese avrebbe già dovuto essere istituito da anni.

Questo sostegno al nostro popolo, siatene certi, ha più valore di quanto potete immaginare; dà loro la percezione che qualcuno stia ascoltandone le parole e che la sua tragedia e gli orrori di Al-Nakba e dell’occupazione, che li hanno colpiti, non vengono ignorati. Anzi, ne rinforza la speranza che nasce dal credere che in questo mondo una giustizia è possibile. La peggior nemica della pace è la perdita della speranza, mentre la migliore alleata dell’estremismo è la disperazione.

Vi dico questo: è giunta l’ora affinché il mio popolo fiero e coraggioso, dopo secoli di esilio, occupazione coloniale e sofferenza incessante, possa vivere come gli altri popoli della terra, libero, in una patria sovrana e indipendente.

Desidero informarvi che, prima di rivolgermi a Voi, ho presentato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, S.E. Ban Ki-moon, in qualità di Presidente dello Stato di Palestina e Presidente del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, una richiesta di adesione alle Nazioni Unite della Palestina, così come definita dai confini del 4 giugno 1967, con capitale Quds Al-Sharif, quale membro a pieno titolo.

Chiedo al Segretario Generale di facilitare la trasmissione della nostra richiesta al Consiglio di Sicurezza e chiedo agli augusti membri di tale Consiglio di votare a favore della nostra piena adesione. Chiedo inoltre agli Stati che non hanno ancora riconosciuto lo Stato di Palestina, di farlo.

Il sostegno dei paesi del mondo al nostro sforzo rappresenta una vittoria della libertà, della giustizia, del diritto e della legittimità internazionale e fornisce un eccezionale supporto alla pace, accrescendo le possibilità di successo dei negoziati.

Il vostro sostegno alla creazione dello Stato di Palestina e alla sua adesione alle Nazioni Unite in qualità di membro a pieno titolo rappresenta il maggior contributo alla pace in Terra Santa.

Grazie.

Abaas Abu Mazen

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