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'Indignati'. Reportage sentimentale dalla pazza folla

di Francesco Corbisiero
 

Non poteva essere una giornata normale. L’ho capito alzandomi dal letto stamattina e, come ormai ogni giorno ancora prima di mettere la moka sul fornello, mettendo le cuffie, ho fatto partire il lettore mp3 in riproduzione casuale: Muse‘Uprising’, Il Teatro degli Orrori ‘A sangue freddo’ e Fabrizio De Andrè ‘Il bombarolo’, l’una dopo l’altra, in sequenza. Le solite coincidenze profetiche che impressionano se le si guarda in retrospettiva. Oggi è sabato 15 ottobre e si scende in strada.

‘Ti prego, non manifestare domani’.

‘Mamma, stai tranquilla, me la so cavare e andrà tutto bene’.

Poveri genitori miei, l’hanno sempre saputo che la minaccia di violenze e disordini non mi ha mai spinto a rimanere chiuso dentro le quattro mura di un appartamento, semmai il contrario. Nelle vene, al pari dei globuli rossi, mi scorre la curiosità e l’incoscienza di un ventenne il cui unico desiderio è buttarsi nella mischia. Non voglio che la televisione mi dica, né che i giornali mi raccontino: voglio vedere, voglio provare. E magari bruciarmi, ma per conto mio. Senza farmi lobotomizzare dai sistemi d’informazione. E poi c’è quella vecchia battaglia, quella contro il Dio denaro che ci monopolizza la vita e le scelte e contro i banchieri che schiavizzano i politici, che in teoria dovrebbero rappresentarci. Quella vecchia faccenda rimasta in sospeso dai tempi in cui mi ci arrovellavo al liceo studiando filosofia: homo oecomomicus oppure homo politicus. Vuoi davvero che non dimostri da che parte so stare?

Ed è così che mi son ritrovato dalla calma piatta del quartiere Trieste-Salario alla Babele di colori di piazzale Aldo Moro, Università La Sapienza. A rivedere gli splendidi visi puliti di amici venuti da Pisa, da Napoli o da Lecce e arrivare tutti insieme a Piazza della Repubblica, dove il corteo completo partirà. E forse proprio lì, in Piazza dei Cinquecento, che accade l’unico episodio della giornata che mi strappa un convinto sorriso: tra le facce della vecchia guardia e quelle della nuova generazione, le bandiere rosse di Rifondazione comunista che sfilano proprio a fianco alla bruttissima statua di Papa Wojtyla di Piazza dei Cinquecento. Solidarnosc sentitamente ringrazia. C’è un gran revival dei miti storici del socialismo reale: Che Guevara e Marx, soprattutto. Evidentemente queste persone non saranno passate dalle parti di Berlino nell’arco degli ultimi venti anni, che vuoi farci? Penso: vuoi vedere che questi alla prossima tornata elettorale su scala nazionale ritornano in Parlamento e pure con una sostanziosa pattuglia? Ma è un pensiero che finisce lì e dura poco, il tempo di una sigaretta, perché incamminandosi verso via Cavour si vedono già le colonne di fumo nero in fondo al corso.

Ora, io non ho mai fatto nulla per nascondere a me stesso e alla gente che mi sta intorno di essere una gran testa di cazzo e forse è anche per questo che il sogno della mia vita è sempre stato quello di fare il reporter di guerra. Fatto sta che alla prima avvisaglia di incendio, ho fatto partire le gambe correndo lungo tutto il corteo pur di vedere cosa stesse succedendo. E per sbrigarmi ad arrivare nei pressi dell’inferno che stava materializzandosi a Roma.

‘Era ‘na festa, poi è successo ‘sto macello e ho abbassato le serrande. Ma perché devono fa’ così?’.

Il gestore del chioschetto di panini in via Cavour è incredulo. Gli chiedo una Coca Cola e, dato che un tipo con la bandiera della Corea del Nord mi ha guardato male mentre la chiedevo ( che è peccato e reato dare soldi alle multinazionali del male e per di più in una manifestazione di sinistra ), la consumo in gran segreto nel locale in cui gentilmente, derogando la regola, mi fa entrare. La commessa dietro al bancone ha gli occhi vivi ma pieni di paura. Ho la bocca secca e impastata dalla corsa e dal fumo insopportabile delle due auto e del negozio di articoli per animali su cui si sono abbattute le bottiglie molotov delle tute nere, che poco prima mi sono passate accanto, beccandosi gli insulti degli altri manifestanti pacifici.

Tute nere che reincontro di fronte al Colosseo, dove, con le bombolette spray in dotazione a ogni buon sovversivo che vuol far conoscere il proprio messaggio urbi et orbi, infestano la recinzione dei lavori della metro C1 a colpi di ‘Smash Capitalism’ e ‘Pianta grane, non tende’. Che belli che sono loro. I loro visini bianco tendente al cadaverico, teste rasate e faccette pulite da cocainomani scafati. Deve avere un che di davvero affascinante il loro nichilismo se riesce a fare proseliti nonostante apostoli del genere. Però, ahimè, io sono troppo stupido per coglierlo e mi accontento della non-violenza. Ma la piazza è anche d’altro avviso: un tripudio di gente di ogni età e di ogni regione facente parte di questa lunga lingua di terra che si stiracchia dalle Alpi al Mediterraneo, di magliette con slogan o scanzonate e acide prese per il culo. Berlusconi, Draghi, Trichet, le banche, la sinistra parlamentare. E mi ritorna in mente quella massima, letta non ricordo dove, che così recita: ‘I grandi sono tali perché li guardiamo in ginocchio. Alziamoci!’. Più di qualcuno qui quella frase l’ha fatta propria, e non solo per modo di dire. E la musica, sempre ad alto volume: dub, elettronica, rap, reggae e pure una spruzzata di indie rock, che non guasta mai. Sotto il sole cocente delle 3 del pomeriggio, sotto l’anfiteatro Flavio, che di idee sovversive ne ha viste morire parecchie, va in scena il concetto chiave, il leit-motiv di tutto questo immenso baccano: quella per cui siamo nati come nomi e cognomi e non moriremo come numeri.

Ma anche le belle feste s’interrompono. E più precisamente su via Labicana, a un passo dal quartiere Prenestino, quando giunge notizia dallo speaker a bordo del furgone al resto del serpentone che i soliti facinorosi hanno preso d’assalto, dandolo alla fiamme, un distaccamento del Ministero della Difesa, un deposito semi-abbandonato all’interno del quale ( fortunatamente ) non c’era anima viva, oltre ad aver fatto a pezzi le vetrine di un paio di istituti di credito e bruciato circa 4 automobili. Il clima è pesante, infatti si passa tout-court dai fumogeni alle bombe-carta e le forze dell’ordine non esitano a intervenire. Primo lacrimogeno della giornata e carica della Polizia: 2-1, palla al centro.

( Il primo lacrmogeno è come il primo bacio: non si scorda mai. Provoca un male terribile agli occhi e pensi che avresti dovuto portarti a presso un paio di limoni, per sicurezza, e non scolarti per intero quella bottiglietta d’acqua solo perché avevi sete. Per non parlare delle telefonate degli amici che ti chiedono se sei ancora vivo che-la-televisione-dice-cose-assurde e dove diamine tu sia andato a cacciarti porcaputtana, torna-a-casa. Piccoli e significativi pensieri nel caos più indiavolato. Ci avete provato, niente da fare ).

L’inferno prosegue e la gente corre. Pamplona durante la corsa dei tori in confornto è un luna park per bambini. E gli agenti non si scompongono, avranno un piano. Infatti fanno circolare il corteo fino a Piazza San Giovanni, lasciano passare i violenti e lì caricano e fanno sul serio. Le uscite dalla piazza sono bloccate: passare dagli archi delle mura antiche e scappare dall’Appia Nuova vuol dire perdersi tra i fumogeni e rimanere paralizzati nel bel mezzo con gli occhi chiusi e la kefiah in faccia, in via Emanuele Filiberto e via Carlo Felice ci sono i blindati della Guardia di Finanza e dei Carabinieri che girano vorticosamente in cerchio a velocità elevata, attaccati dai black bloc. Mazze, sanpietrini come se piovesse. Così, dopo vari tentennamenti e ulteriori fumogeni, come la maggioranza della gente, salgo sulla scalinata della basilica e lì rimango. Ma assistere a uno spettacolo del genere non è una scelta migliore del parteciparvi.

A Piazza S.Giovanni io ci sono stato. E, nel terrore allo stato puro che ho provato di fronte a ciò che è accaduto, ho visto devastare la mia città e quel sogno di giustizia sociale e partecipazione politica che animava il 15 ottobre 2011, facendolo diventare velleità e illusione.

Ho visto i poliziotti prendersi ingiustamente sputi e insulti da gente che nemmeno era presente e aspettava solo di sentenziare dall’alto del pulpito costruitosi. Per gioco, per moda o perché semplicemente non aveva nient’altro da dire.

Ho visto un intero movimento, grande, colorato, generoso e pacifico polverizzarsi di fronte alla violenza e prendersi addosso il fango di chi ama fare di tutta l’erba un fascio, di chi avrebbe preferito per quieto vivere che le strade di Roma non si riempissero, che certi problemi non fossero sollevati e che certe miserie non venissero alla luce.

Ho visto i soliti politici ridere e mettere in pratica ancora una volta il ‘divide et impera’. Come fecero 40 anni fa con i rossi e i neri e la strategia della tensione.

Ho visto gli occhi dei black bloc. Occhi vuoti. Occhi pieni di una disperazione che questi giovani drogati di ideologia coltivano dentro ogni giorno come un fiore marcio e che puntualmente fanno esplodere come un’ordigno a orologeria.

La rabbia è un futuro a perdere.

 

Foto: Francesco Corbisiero

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