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L'inadeguatezza (preventiva) del politico

di Paolo Cappelli

In guerra e in amore – dice un antico adagio – tutto è permesso. Ma è anche tutto accettabile? Competizione politica e sesso sono spesso collegati, ma l’elettorato non accetta che la reputazione dei candidati sia macchiata.

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Uno degli sport preferiti in campagna elettorale è quello di screditare l’avversario politico di turno andando a scavare nel suo passato, andando a cercare ogni singolo particolare, ogni elemento, piccolo o grande, sul quale fare leva per convincere gli elettori che no, non è lui (o lei) quello(a) da scegliere, che non va bene per quel posto, che non merita il premio di un voto.

E mentre l’Economist propone come sfondo della propria campagna abbonamenti la copertina che ritrae Silvio Berlusconi sotto il titolo “Colui che ha fottuto un intero Paese“, la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane inizia a entrare nel vivo ed emergono i primi retroscena sui candidati presidenziali.

Sotto i riflettori, al momento, c’è il il candidato repubblicano Herman Cain, da mesi al centro di uno scandalo ormai chiuso da tempo, ma a sfondo sessuale. I fatti risalirebbero al 1990, quando l’attuale e principale candidato alle primarie del partito repubblicano americano rivestiva la carica di Presidente dell’Associazione dei Ristoratori d’America. Due donne lo hanno accusato di averle molestate sessualmente in due diverse occasioni. Ad una sarebbe stato addirittura detto che rifiutare le “proposte” di Cain avrebbe messo a rischio il suo posto di lavoro. Venuta alla luce grazie alle rivelazioni del quotidiano online Politico.com, la storia assume contorni nostrani dopo le dichiarazioni dell’uomo politico, che ha detto di non essere a conoscenza di alcun accordo intervenuto tra l’Associazione e le due donne che hanno lamentato le molestie, le quali avrebbero ricevuto, rispettivamente e a loro dire, 45mila e 35mila dollari per chiudere la questione e mettere a tacere ogni voce. E poiché nulla avviene per caso, Cain ha subito cercato un responsabile alla fuga di notizie, individuandolo nel rivale alle primarie, il Senatore Rick Perry, o meglio in un suo ex collaboratore, oggi consigliere di Perry e importante elemento della campagna elettorale di quest’ultimo. Perry ha ovviamente negato ogni addebito e definito le accuse “false e destituite di ogni fondamento”. Ma l’aspra e accesa competizione tra i due candidati, che hanno la medesima base elettorale, rischia di minare l’efficacia dell’azione di contrasto politico all’avversario Democratico.

Herman Cain
Herman Cain

Ma la domanda che molti elettori americani si pongono, al momento, riguarda l’idoneità di Cain alla presidenza, una domanda che non trova risposta pur considerando le ipotesi di complotto o la contraddittorietà delle giustificazioni addotte. In realtà, dovrebbero chiedersi se il consenso di cui gode sarà sufficiente a garantirgli il primato nella Convention repubblicana e successivamente nell’elezione a Presidente. La sua campagna elettorale non è un esempio di efficienza o di fedeltà, viste le molte defezioni nel suo seguito. Né Cain sembra essere un esperto di politica estera come il suo futuro ruolo richiederebbe, al punto che le recenti dichiarazioni sulla Cina (la prossima acquisizione della capacità nucleare, di fatto già acquisita dal 1964) hanno generato non pochi dubbi. Non meno preoccupanti, confuse e imprecise sono state le dichiarazioni sull’opportunità di una recinzione elettrificata al confine con il Messico o di prevedere uno scambio tra potenziali ostaggi militari e prigionieri di Guantanamo.

L’essere uno dei principali protagonisti dell’economia americana (vi viene in mente qualche parallelo?), sia in qualità di ex Presidente de Ristoratori e CEO di Godfather’s Pizza, non lo rende automaticamente adatto a gestire un Paese, men che meno gli Stati Uniti, il cui presidente è un attore globale nel sistema politico. Per ottenere i risultati auspicati, deve coinvolgere altri politici, un’arte oscura che Cain ha praticato poco, non avendone mai avuto bisogno. Se Cain non avesse ulteriori lacune, quelle elencate non sarebbero poi troppo gravi, o limitanti. George W. Bush aveva ottime capacità politiche, pur essendo un neofita della politica estera. Reagan, mediocre uomo di spettacolo (anche qui, un parallelo salta alla mente), ha occupato la poltrona di presidente per due mandati, nonostante la sua esperienza politica fosse minima e il suo staff un esempio di burocrazia spinta all’inverosimile.

Tuttavia, l’ambiente politico dal quale Cain nasce – peraltro diffidente nei confronti dei principali media – non vede queste lacune come problemi e anzi ha ribadito che non è pronto a disfarsi di lui solo perché alcuni hanno tirato fuori dal cilindro storie di molestie sessuali vecchie di vent’anni, sottolineando che tutti abbiamo scheletri nell’armadio, in un modo o nell’altro. Altri, invece, suggeriscono che una tale situazione è solo la punta dell’iceberg e la spia di un problema più grande, ovvero l’intrinseca imprevedibilità di Cain rispetto a temi che appaiono, ora e in futuro, molto più grandi di lui.

La questione dell’adeguatezza del nuovo candidato a occupare lo studio ovale rimane una questione aperta sul tavolo dei repubblicani, che dovranno valutare quanto, nel sostenerlo, il gioco valga la candela. A Cain spetta dimostrare il suo pedigree come politico di razza, o accettare di galleggiare fino alla Convention, per ottenere, probabilmente, un risultato che lo lascerà con l’amaro in bocca.

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