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Riparare… la testa

Di Francesca Lippi
Il cervello è un mistero, ma con le moderne tecniche cliniche si stanno facendo avanzamenti per la comprensione e il trattamento dei disturbi mentali. Dalla ricerca e dalle neuroscienze arrivano risultati che potrebbero aprire porte sulla speranza di trattamento di alcune malattie.
Cortocircuito deprimente
Thomas R. Insel, psichiatra e neuro scienziato del National Institute of Mental Healt, dice che la difficoltà di  raccogliere elementi sulle cause delle malattie mentali, accade perché finora non era “possibile individuare nessuna causa fisica specifica”. Ma grazie alle ‘neuroimmagini’ (in grado di individuare la sede delle funzioni del cervello) si è evidenziato che “i disturbi mentali si possono studiare come anomalie delle connessioni tra aree cerebrali distanti o come problemi di coordinazione tra aree, la cui attività in genere è sincronizzata”. Si sono fatte così scoperte interessanti sulla depressione che, secondo i dati dell’Istituto superiore della sanità, affligge ben il 10% degli italiani tra i 15 e i 44 anni. I sintomi sono di bassa attività cerebrale: umore sotto tono, poche energie e tempi di reazione e di formazione dei ricordi inibiti. A questo si aggiungono stati di ansia e disturbi del sonno che sono indice di iperattività di alcune strutture cerebrali. Lo scienziato dice che “le immagini mostrano che è coinvolta l’area 25” poiché la depressione è un “disturbo dei circuiti cerebrali in cui è implicata un’attività anomala della zona 25 che interrompe il corretto funzionamento della rete di connessioni riconducibili all’area stessa”. Le altre zone interessate sono dunque l’ipotalamo e il tronco encefalico (per le variazioni dell’appetito e il sonno); l’amigdala e l’insula (ansia e umore);l’ippocampo (memoria e attenzione) e la corteccia prefrontale (intuizione e autostima). “Se l’area 25”, conclude Insel, “induce il cervello a rimanere bloccato in un ciclo di attività anomala, come accade a un computer, allora l’obiettivo del trattamento potrebbe essere analogo al riavvio di un Pc in stallo”.
Se il neurone non funziona
Anche l’autismo e i problemi nell’apprendimento potrebbero avere una causa di natura fisica e biologica. Questi disturbi potrebbe essere causati da un malfunzionamento di alcuni neuroni che si trovano nella corteccia visiva, nella corteccia frontale mediale (deputata a selezionare i movimenti) e nella corteccia temporale mediale (legata alla memoria). Negli anni ’90 un gruppo di studio dell’Università di Parma li ha battezzati “neuroni specchio” e, nei macachi oggetto di studio, si attivavano sia quando questi eseguivano un’azione, sia quando la vedevano compiere a uno degli scienziati. All’epoca si pensò che i neuroni specchio avessero la funzione di interpretare e apprendere azioni e emozioni e che fossero implicati quando si prova empatia. Fino ad ai giorni nostri, però, la presenza di questi neuroni nei cervelli umani si poteva solo dedurre grazie all’elettroencefalografia e alla risonanza magnetica. Ma Itzhak Fried dell’università  della California a Los Angeles e il suo team sono stati in grado di mappare i neuroni specchio arrivando a teorizzare che un loro malfunzionamento possa provocare disturbi come l’autismo e i problemi dell’apprendimento. Il gruppo si è trovato nella condizione di dover inserire elettrodi nel cervello di 21 pazienti affetti da crisi epilettiche al fine di identificare la causa del loro disturbo. Ai soggetti poi sono state mostrate immagini di azioni e di espressioni ed è stato chiesto loro di imitarle o meno. Sono stati così monitorati ben 1177 cellule di questo tipo scoprendo che l’essere umano ha una percentuale più alta di neuroni specchio rispetto ai macachi e che sono maggiormente distribuiti.
Staminali italiane
Buone nuove provengono anche dal fronte della ricerca sulle cellule staminali. La notizia più recente è del laboratorio di medicina rigenerativa sostenuto dalla Bmw Italia, il Bmw Research Unit –Hsr presso l’ospedale San Raffaele di Milano. Gli studi preclinici effettuati sugli animali, fanno sperare in un loro utilizzo sull’uomo per la trattazione della sclerosi multipla, delle lesioni dei nervi o dei traumi midollari. Gianvito Martino, responsabile dell’unità di neuro immunologia nonché direttore del laboratorio, spiega che “le ricerche hanno dimostrato che le cellule staminali non solo sono in grado di raggiungere  selettivamente le aree del cervello e del midollo spinale danneggiate dall’infiammazione, ma in più possono ripararle attraverso il rilascio di sostanze anti-infiammatorie e neuroprotettive”. Vedremo come andrà a finire, poiché i “test sugli uomini avranno un percorso di almeno 10 anni al fine di garantire la sicurezza di queste cure”.
La mente che invecchia
Rientra nell’ambito delle lesioni cerebrali l’Alzheimer. Si stima che solo l’1% dei casi sono causati da mutazioni genetiche ereditarie e fino ad ora la previsione di questa tipologia del morbo in soggetti privi di sintomi si limitava a coloro che presentavano nella propria storia familiare la forma genetica del disturbo.  La scienza però sta facendo passi da gigante per quel che riguarda l’anticipazione della forma più comune dell’Alzheimer a esordio tardivo, dovuto all’interazione tra fattori ambientali e genetici. Ma cosa provoca lo stato confusionale? A far danno sono dei grovigli sia extraneuronali, sia endocellulari. I primi sono placche di proteina beta amiloide e i secondi sono formati dalla proteina tau. Si tratta di “cicatrici” che provocano demenza senile precoce. In passato questi danni cerebrali si potevano identificare solo alla morte del soggetto, mentre il morbo in sé poteva essere diagnosticato con visite che escludessero altri disturbi. Da cinque anni a questa parte, però, è possibile effettuare un imaging poco invasivo delle placche amiloidi, grazie alla tecnica dello psichiatra William Klink dello University of Pittsburgh Medical Center. Si inietta un a un tracciante radioattivo che si lega chimicamente all’amiloide nel caso fosse presente nel cervello del paziente. Il soggetto viene introdotto in uno scanner per la tomografia a emissione di positroni (PET) ottenendo un’istantanea che mostra quante placche sono presenti, visto che una quantità di queste è fisiologica, ma il loro eccesso causa il problema. La possibilità di identificare la malattie prima che questa presenti i sintomi è alla base del trattamento della stessa, dando la possibilità ai pazienti di condurre un’esistenza normale in una sofferenza cronica moderata.

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