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Ecologia del vivere: l'Italia degli scolaretti

di Stefania Taruffi

E’ un corso e ricorso nei secoli il defilarsi tutto italiano di fronte alle guerre prima, al buon  governo del paese poi. Non è proprio nell’indole dei politici italiani quello di prevenire, costruire le fondamenta, adottare una strategia o una politica di lungimiranza, in un contesto di etica, sobrietà e, soprattutto, responsabile serietà. Da paese dei mandolini siamo diventati ‘paese dei posteriori a mandolino’ esibiti al mondo dal nostro ex Premier Silvio Berlusconi come trofei di caccia di un feudatario. Per decenni, a destra e sinistra, sono stati curati solo interessi di potere, locali, partitici, personali senza particolare cura al destino politico-economico, soprattutto economico, dell’intero paese. Tutti gli appartenenti alle ‘caste’ erano ben inseriti in contesti di crescita personale e retribuiti ab libitum, mentre il debito pubblico aumentava vertiginosamente e poco se ne parlava. E’ arrivata la crisi e siamo dovuti arrivare a mille e novecento miliardi di euro di debito pubblico per cominciare a pensarci. In un’Italia terzomondista, con pochi ricchi e un impoverimento generale, sia in termini culturali sia sociali ed economici. In questi anni solo gli imprenditori sopravvissuti alla débâcle, hanno contribuito attraverso la managerialità, l’export e un alto grado di qualità di settori portanti e di nicchia, a mantenere in vita l’economia malata del nostro paese e anche i ‘tecnici’ che altro non sono che seri professionisti esperti nel loro settore che sanno gestire aziende e strutture complesse con risultati concreti e misurabili. Quello che servirebbe stabilmente alla ‘cosa pubblica’.

Per fortuna con l’euro siamo stati inseriti in un contesto allargato, quello europeo, con vincoli e obiettivi comuni e questa è stata la nostra fortuna, o sarà la nostra rovina. Non siamo abituati a rendere conto, amiamo vivere alla giornata, al mandato, all’incarico durante il quale si deve arraffare quanto più possibile per se stessi, gli amici, il partito, i creditori. Il futuro è una variabile incerta, da lasciare al futuro. E un giorno arriva questo famigerato futuro, che si chiama resa dei conti, in cui dettano legge le uniche variabili certe e inoppugnabili: i numeri. La cosa triste è che ci siamo ritrovati come un popolo di scolaretti che litigano fra di loro senza riuscire a produrre risultati concreti e a risolvere il  problemone che avevamo davanti. Non ci hanno aiutato i media,  filtrati dal potere e nemmeno la società, indifferente e troppo focalizzata sulle abitudini sessuali del Premier, piuttosto che sul suo lavoro.

Messi alle strette da una borsa e da titoli di stato in continuo ribasso, ci siamo paralizzati di fronte all’ultimatum del mondo intero che gridava al nostro cambiamento, all’azione immediata, a una corsa ad ostacoli con vittoria finale da medaglia di bronzo. Non siamo mai stati molto rapidi, piuttosto restiamo immobili, ci piace vincere con le gambe degli altri. E’ dovuto intervenire Napolitano, il nostro Presidente della Repubblica, uomo equilibrato, integerrimo e di grande esperienza, per fare in pochi giorni quello che si sarebbe dovuto fare negli ultimi vent’anni: il cambiamento. A casa per un po’ la vecchia classe politica, di cui è stato decretato in tal modo il completo fallimento; in fieri un governo di ‘tecnici’ con il sale in zucca e la capacità di rimboccarsi le maniche e portare a segno obiettivi immediati, per salvare l’Italia dal fallimento e dal collasso economico.

A cosa serve dunque la politica in Italia? A nulla pare. Ora servirà soltanto a mettere i bastoni fra le ruote a chi dovrà prendersi cura del disastro prodotto da loro stessi. Sono fortunati, o forse quasi lo speravano i nostri politici, che non dovessero essere loro a prendere decisioni pesanti, gravose per il popolo, impegnative per il futuro, impopolari o lesive di questa o quella casta. Il lavoro sporco in Italia non è mai piaciuto. Per accontentare tutti è regnato l’immobilismo e ora, si spera, saranno tutti a pagare. I soliti contribuenti si augurano che la scure si abbatta anche su chi non ha mai pagato un soldo di tasse e si è arricchito alle spalle degli altri. I pochi illuminati riformisti, sperano che gli sperperi siano ridimensionati, i privilegi aboliti e che ritorni la meritocrazia, un concetto lasciato ai popoli anglosassoni. Riusciranno i nostri eroi in tale impresa? Il dubbio regna sovrano.

Quello che serve ora è serietà e azione ponderata, ma coraggiosa.

La cosa triste è che non ci siamo arrivati da soli! Abbiamo aspettato la bacchettata europea, la caduta in picchiata, i fantasmi greci e lo spauracchio della povertà per svegliarci; perché siamo un popolo di scolaretti ai quali interessa solo la merenda. Chi ci ha governato in primis.

 

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